OLINDO RAMPIN | A pochi passi dalla prima fila di spettatori, al centro di una scena povera d’oggetti, Imma Villa è la regina di una città che non esiste più. Accasciata a terra, in antichi abiti luttuosi, Ecuba rivendica con regale fierezza il diritto a piangere. Non sarà il silenzio, ma il thrênos, il canto funebre, ad accompagnare il dolore di questa sovrana dýsdaimon, «infelice». Nelle Troiane, nella versione del greco Euripide ma anche nel vario mosaico di testi, da Seneca a Sartre, che ne sono derivati, e dai quali Carlo Cerciello ha elaborato adattamento e regia aggiungendo il sottotitolo Ovvero in guerra per un fantasma, è l’infelicità umana, prima ancora che la disumanità della guerra, il centro del discorso tragico.
È la «filosofia dolorosa ma vera» che più di duemila anni dopo il Leopardi delle Operette morali, nei panni di Tristano, rivendicherà coraggiosamente, replicando ai suoi detrattori che quella filosofia non era affatto una invenzione sua, ma dei poeti e filosofi antichi «i quali tutti sono pieni pienissimi di favole, di sentenze, di figure significanti l’estrema infelicità umana». Ed Euripide è certamente un nobile antenato di questa illustre prosàpia.

Imma Villa è Ecuba

Al centro delle sue Troiane c’è dunque il pianto. C’è, più ancora, l’affermazione del diritto al lamento, il piacere delle lacrime, rifugio degli infelici. Dice Ecuba, con parole programmatiche: «Anche questa è musica per i disgraziati: gridare le loro sciagure». Il Coro esprime ancor meglio questo concetto, centrale nell’opera: «Come sono dolci le lacrime, per quelli che stanno male, e i gemiti delle lamentazioni, e la musica che contiene i dolori». Ne deriva così, a dispetto di facili attualizzazioni, la meravigliosa inattualità delle Troiane euripidee, il presente essendo un tempo che condanna il piangere, dileggia il lamento e celebra l’obbligo alla felicità, quandanche fittizia.

Alla sinistra della dolente vedova di Priamo vediamo alzarsi e prendere la parola Mariachiara Falcone, grintosa e combattiva Cassandra, profetessa invasata ma lucida. Destinata ad Agamennone come concubina, è follemente felice perché ne profetizza la morte, la vendetta essendo l’unica giustizia in un mondo in cui la forza ha preso il posto della legge. Alla destra di Ecuba si solleva Serena Mazzei, un’Andromaca che del dolore è l’espressione più pura, avvolta in un peplo e in un mantello neri che le coprono la testa, funebre maschera di un lutto atroce che segue l’uccisione del marito Ettore: l’assassinio del figlioletto Astianatte, gettato dalle rovine di Troia su crudele proposta di Ulisse.

Mariachiara Falcone è Cassandra

Le Troiane disegnano un epos capovolto, in cui i grandi eroi greci sono rappresentati come dei mostri. Ulisse, che ha scelto come preda di guerra la vecchia regina, è nelle parole di lei «un essere immondo, subdolo, nemico della giustizia, un mostro senza legge. La sua lingua bifida rivolta le cose, capovolge il qui e il là e rende odioso a tutti ciò che prima era caro». E non è forse una perversione sessuale quella che ha reso Agamennone infatuato di Cassandra, essendo la giovane una “religiosa”, destinata da Apollo a restar vergine? Neottolemo, il figlio di Achille, ha straziato il corpo del re Priamo mentre questi pregava sull’altare: un’azione sacrilega che gli frutterà l’ostilità divina.
La versione di Cerciello, con l’ostensione finale della bandiera palestinese, additando nella crudeltà del presente governo israeliano un’analogia con la brutalità greca nella distruzione di Troia, chiude il triangolo di allusioni iniziato dalle due versioni maggiori: di Euripide all’imperialismo ateniese del suo tempo, di Sartre alla feroce repressione francese del movimento di liberazione algerino negli anni ‘50-‘60 del Novecento.

Serena Mazzei è Andromaca

L’atmosfera che si respira in quest’opera, di crudeltà e catastrofe per la fine di una città e di una civiltà, riguarda Troia ma sovrasterà anche i greci, che per rancorosa volontà divina affronteranno un disastroso rientro in patria. Qualcosa risuona con la temperie raccapricciante del brechtiano Terrore e miseria del Terzo Reich. Non è forse un caso che Cerciello abbia messo in scena anche quell’opera, forse percependo torbidi echi tra i sinistri crepuscoli di imperialismi antichi e moderni.
Non sfugge alla sua interpretazione la cognizione di una sorte ugualmente distruttrice che unisce vittime e carnefici. Il regista sfronda e cancella ogni presenza maschile in scena, rendendo l’azione drammatica un perfetto gineceo. Soppressi l’araldo Taltibio e il marito di Elena, Menelao, il Coro stesso è tradotto in voci registrate fuori campo. Assenti anche le divinità: il prologo, che nell’originale contiene il dialogo tra Poseidone e la rancorosa e umorale Atena, che dopo aver voluto la distruzione di Troia decide di «rendere amaro il ritorno della flotta argiva», viene “ridotto” a una serie di scritte luminose che scorrono all’inizio della rappresentazione. Lo spettatore è fatto subito consapevole che la devastazione colpirà anche i carnefici.

Cecilia Lupoli è Elena

Ma la contiguità tra oppressi e oppressori utilizza una ulteriore chiave interpretativa. Quel che emerge dal testo di Euripide è la cruda realtà della condizione femminile nel mondo antico. Assoggettata alla concezione maschile patriarcale della donna come strumento riproduttivo, lodata in quanto sa essere esempio di pudicizia e riserbo. Ecuba vede in Priamo un “fecondatore”, padre di cinquanta figli, Andromaca si racconta fiera della sua ritrosia alle relazioni, custode della quiete domestica e del letto dove svolge la sua funzione di generatrice di discendenza.
Cerciello vede come in Euripide le donne troiane, inasprite dalla brutalizzazione, non rivendicano una visione altra, diversa da quella maschile, individuando erroneamente in Elena la causa della guerra.

È lei, Elena, il fantasma a cui allude il sottotitolo. Cecilia Lupoli, desituata rispetto alla scena dove agiscono le tre donne troiane, vestita d’abiti novecenteschi e glamour, è collocata su un piano elevato e in un altrove spazio-temporale, una sorta di Miami Beach anni ’60, accanto un cavallino a dondolo, giocattolo di guerra con cui Troia è stata espugnata. È Elena ed è Marylin Monroe: come Elena ostaggio della sua bellezza, come Elena vittima sacrificale dell’uomo di potere, se Menelao o Paride rivivono in JFK e nel celebre Happy Birthday Mr. President, canto di gioia triste, che risuona così non troppo diverso dal thrênos, il canto funebre delle donne troiane.

LE TROIANE
Ovvero in guerra per un fantasma

Da Troiane di Euripide, riscrittura di Seneca, adattamento di Sartre
Da Ecuba e Elena di Euripide
Da La guerra di Troia non si farà di Giraudoux

con Imma Villa, Mariachiara Falcone, Cecilia Lupoli, Serena Mazzei
costumi Antonella Mancuso
musiche originali Paolo Coletta
foto di scena Anna Camerlingo
realizzazione scene Andrea Iacopino
video editing Fabiana Fazio
realizzazione costumi LAB.DONADIO e DANZA CREATA
aiuto regia Aniello Mallardo
adattamento e regia Carlo Cerciello
produzione Fondazione Teatro Due, Anonima Romanzi Teatro Elicantropo

Teatro Due, Parma | 5 febbraio 2025