RENZO FRANCABANDERA | Qui si respira sempre, da sempre, aria di gioventù e di progettualità internazionale. Passano gli anni ma il tempo sembra restare sempre giovane in questo festival. Negli ultimi anni, il POLIS Teatro Festival di Ravenna si è affermato come uno spazio di riferimento per un teatro contemporaneo che intreccia estetica delle nuove generazioni e impegno civile con una cifra sovranazionale. Sotto la direzione artistica di ErosAntEros, ovvero Davide Sacco e Agata Tomšič, il festival ha proposto una programmazione che affronta temi quali diritti civili, migrazioni, guerre, cambiamento climatico e il ruolo dell’arte nella società, sfruttando in forma ampia i legami intessuti dai due nel loro continuo girare per l’Europa e non solo a tessere nuovi legami artistici.
L’edizione 2025 del festival, l’ottava, ha presentato oltre 35 appuntamenti tra spettacoli, incontri e tavole rotonde, con otto prime nazionali e la partecipazione di artisti, studiosi e operatori internazionali. Il festival ha coinvolto vari luoghi culturali di Ravenna, come il Teatro Rasi, il MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, le Artificerie Almagià e il Teatro Socjale di Piangipane. Tra le iniziative di rilievo, l’introduzione di POLIS NEON, una sezione dedicata alla scena teatrale italiana under 35, realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE nell’ambito del programma Per Chi Crea. Inoltre, il festival ha promosso l’accessibilità culturale attraverso progetti come i biglietti sospesi, permettendo a un pubblico più ampio di partecipare agli eventi.
L’apertura della serata dell’8 maggio è stata affidata a Un’Odissea Teen, nuova creazione della compagnia catalana La Mecànica, in prima nazionale presso le Artificerie Almagià, all’interno della sezione Iberian Focus. Il titolo gioca su una duplice suggestione: da un lato evoca il viaggio mitico e formativo dell’Odisseo omerico; dall’altro, pone subito al centro il suo pubblico di riferimento, i “teen”, ovvero quella fascia d’età dove ogni percorso di crescita può assumere i contorni di un’odissea intima e, insieme, collettiva.
Il progetto si presenta come una performance immersiva che fonde teatro fisico e interazione digitale attraverso l’impiego dell’applicazione Kalliôpé, realizzata dalla Fundació Èpica di La Fura dels Baus – storico collettivo catalano noto per la sua radicale sperimentazione performativa. L’uso dell’app da parte del pubblico non è un mero orpello tecnologico, ma costituisce l’ossatura interattiva dell’intero evento: i telefoni cellulari non banditi ma incorporati nello spazio scenico, diventando protesi attive e strumenti di drammaturgia partecipata. Il meccanismo è quello di Domini public di Roger Bernat, che a quasi quindici anni dalla sua creazione continua a vantare numerosi epigoni, curiosi e di qualità. Nel lavoro di Bernat avevamo le cuffie e ci spostavamo sulla base di domande che ci venivano fatte. Qui le domande sono a cellulare, si risponde a quesiti a scelta multipla e poi, in base alle risposte date, ci si sposta in uno spazio buio ma illuminato con lampade di Wood trasportate sulla cima di lunghe aste che i performer muovono nello spazio scenico.
Un’Odissea Teen non si limita a parlare dei legami intergenerazionali, dividendo i partecipanti per generazione, ma cerca di coinvolgerne direttamente il linguaggio e i codici, ricorrendo al mezzo tecnologico con cui intrattengono il loro rapporto quotidiano con il mondo. Non si tratta tuttavia di un esercizio retorico o di un richiamo all’innovazione fine a sé stesso. La tecnologia – come nel migliore teatro post-drammatico – diventa dispositivo di messa in discussione del ruolo dello spettatore, che viene reso parte integrante del racconto. Alcune cose più a fuoco, altre magari solo accennate ma nel complesso l’azione resta coinvolgente per i partecipanti.
La Mecànica, fondata da Jenny Vila e Pau Bachero e con base a Maiorca, ha costruito negli anni un’identità che intreccia vocazione internazionale, attenzione alla fisicità dell’attore e una spiccata propensione alla trasversalità artistica. Un’Odissea Teen conferma questa linea progettuale: al centro non c’è una narrazione lineare, ma un’esperienza scenica pensata per generare partecipazione, attrito e, soprattutto, risonanza emotiva.
Dal punto di vista estetico, lo spettacolo si muove su registri ibridi: la fisicità delle interpreti – costantemente esposti al confronto con uno spazio sonoro e visivo dominato dal digitale – viene usata per modulare lo sguardo del pubblico che non può mai posizionarsi comodamente in uno schema contemplativo ma è chiamato a continui spostamenti; come Ulisse, insomma. L’elemento più interessante risiede probabilmente nella tensione tra il carattere archetipico dell’Odissea e la sua riformulazione contemporanea: qui l’eroe non è un individuo, ma una comunità di corpi, voci e dispositivi; non c’è un viaggio per tornare a casa, ma un movimento per trovare uno spazio di senso in un mondo iperconnesso, segnato dalla sovrapposizione di reale e virtuale, di pubblico e intimo. Certe riflessioni vanno alla velocità del digitale e restano nozioni più superficiali, altre intuizioni, invece, diventano profonde e accurate.
Siamo insomma in un filone di teatro europeo che rifiuta la nostalgia per modelli drammaturgici stabili e cerca invece di rispondere alle trasformazioni cognitive, percettive e relazionali del nostro tempo. Non tutto forse funziona con la stessa efficacia – in particolare alcuni passaggi dell’interazione digitale rischiano di risultare più meccanici che coinvolgenti – ma è proprio in questa tensione che il progetto trova la sua forza: nel tentativo di restituire una scena che sia attraversabile, instabile, disarmante.
Ci spostiamo al Teatro Rasi per lo spettacolo di Annachiara Vispi, Sei la fine del mondo (letteralmente) – Visioni ecofemministe tra corpo, ironia e collasso, spettacolo scritto e diretto da Annachiara Vispi, e interpretato da Valentina Ghelfi e Selene Demaria. L’opera si imposta fin dalle prime battute come una riflessione feroce, stratificata e non priva di ironia sulle implicazioni politiche, etiche ed esistenziali del pensiero ecofemminista. Siamo di fronte a una performance che non si lascia facilmente catalogare: né teatro di parola né performance art in senso stretto, ma un ibrido consapevole in cui corpo, linguaggio e immagine video si intrecciano per disegnare un atlante distorto – e per questo lucido – del nostro presente.
All’ingresso in sala ci accolgono le due figure femminili vestite di shorts e top color carne, quasi a spogliarle di qualsiasi connotazione che vada oltre la loro corporeità e che, di lì in poi, costruiscono e decostruiscono continuamente relazioni, discorsi, ruoli. Il dispositivo scenico è essenziale, ma denso di riferimenti tramite proiezioni a video che seguono in loop il parlato: uno schermo sul fondo trasmette immagini che si fanno talvolta controcampo visivo, talvolta amplificazione simbolica di ciò che le attrici dicono o agiscono. La parola – che mantiene un tono tagliente, quasi aforistico – è usata per smontare pezzo dopo pezzo le narrazioni del capitalismo neoliberista, della cultura patriarcale e dell’antropocentrismo che regolano il nostro rapporto con il pianeta.
Vispi costruisce un discorso drammaturgico che vuole accogliere – talvolta con più efficace linearità, altre finendo per mettere molta carne al fuoco – il paradosso, la comicità, l’assurdo, in piena continuità con la lezione del teatro postmoderno e delle avanguardie performative femministe. Il linguaggio scenico si avvicina a quello della lecture performance, per poi provare comunque di tanto in tanto a deviare, in favore di una corporeità che si ribella alla pura funzione illustrativa. Le due interpreti, poi, non offrono personaggi, ma soggettività frantumate che oscillano tra l’interpretazione e il commento, tra l’identificazione e la distanza.
Non è un caso che la pièce sia stata selezionata dal bando nazionale In-Box 2024, presentata a Carrozzerie n.o.t., Teatro Palladium, Kilowatt Festival e sostenuta anche da realtà internazionali come il Dublin Fringe, dove una precedente creazione di Vispi aveva ricevuto notevole attenzione critica (The Irish Times, 2023). Ma, più che proclamare tesi, lo spettacolo si interroga: possiamo ancora creare nuovi modi di interazione con il mondo? Ci sono culture che l’hanno già fatto? L’approccio ecofemminista non viene così canonizzato, ma rimesso in discussione come possibile strumento di pensiero, come visione alternativa e radicale in grado di proporre un mondo altro.
Dal punto di vista formale, il lavoro mira a essere dissonante, disorientante e forse volutamente ineguale nei suoi passaggi ritmici. Probabilmente, con qualche filo in meno, la trama del tappeto sarebbe stata leggibile in modo più nitido: la scelta su cosa tagliare rispetto al brainstorming drammaturgico iniziale resta il compito fondamentale per il passaggio alla maturità stilistica, l’esercizio sempre più feroce per chi fa arte.
La visione del mondo proposta non è armonica, né conciliatoria: è un frammento, un grido, un avvertimento che si consuma nel tempo stesso della performance e rifiuta le facili morfologie del dramma classico per offrirsi come spazio di interrogazione, come zona liminare tra arte e attivismo, tra affetto e dissenso.
I due spettacoli comunque si avvicinano in qualche modo e si inscrivono, pur nella distanza di linguaggio e riferimenti culturali, all’interno di un teatro che pone al centro la relazione tra il soggetto e il suo contesto, rifiutando ogni neutralità estetica: condividono la vocazione a un teatro esperienziale e politico, sebbene divergano radicalmente nei dispositivi scenici, nella grammatica formale e nel rapporto con il pubblico.
In uno viviamo un’estetica immersiva e multisensoriale, in cui lo spettatore è direttamente implicato nel flusso performativo attraverso l’uso dell’app Kalliôpé. La drammaturgia è frammentata, fondata più sulla costruzione di un ambiente esperienziale che su un’evoluzione narrativa coerente. L’altro si presenta come una performance concettuale e testuale, dove la parola – ironica, dissacrante, spesso aforistica – occupa uno spazio centrale. Lo spettacolo lavora sulla ripetizione, sul montaggio e sulla collisione fra livelli di senso, facendo uso di proiezioni video non interattive, ma simboliche. È un teatro che interroga senza offrire appigli emotivi, dove l’effetto di straniamento è uno strumento politico quasi brechtiano, non solo estetico.
Ma c’è una differenza sostanziale e sta nel rapporto con la dimensione del futuro: il lavoro di La Mecànica mantiene un registro più aperto, quasi educativo, con un’attenzione all’intergenerazionalità e all’inclusività del percorso giovanile. Il teatro è qui spazio di confronto e riconoscimento. Il lavoro di Vispi, invece, si colloca in un orizzonte apocalittico, in senso letterale e culturale: non cerca riconciliazioni, ma denuncia il collasso, lo mette in scena come processo già in atto. Il suo è un teatro che non interpella lo spettatore per coinvolgerlo, ma per destabilizzarlo, per renderlo consapevole della gabbia ideologica in cui si trova. Non c’è tentativo di mediazione, ma un affondo frontale nella contraddizione, meno interessato a costruire ponti e più incline a denunciare l’inadeguatezza degli strumenti esistenti.
POLIS suggerisce quindi che la trasformazione è necessaria, ma non garantita, e che forse ci stiamo avviando verso l’estinzione culturale prima ancora che biologica. In entrambi i casi, il teatro torna a essere spazio di crisi, di domande non pacificate, e per questo – forse – ancora indispensabile.
UN’ODISSEA TEEN / ODISSEES
direzione e drammaturgia Pau Bachero
performer Sienna Vila, Joan Maria Pascual
assistente di direzione Carme Serna
artista associato Jonathan Holloway
engagement Marga Salas
sound Joan Vila
visual Carme Serna
technology Marc Homar
costumi Aina Moroms
produzione e luci Jenny Vila
prima nazionale
durata 50′
SEI LA FINE DEL MONDO (LETTERALMENTE)
regia e testo Annachiara Vispi
con Valentina Ghelfi e Selene Demaria
movimento scenico Giulia Macrì
proiezioni Elena Costa e Annachiara Vispi
foto Elena Costa
finalista In-Box 2024
in collaborazione con BeiRicordi
con il sostegno di Spin Time Labs, Sementerie Artistiche, Over_Emergenze Teatrali (Argot Produzioni, Fertili Terreni, Teatro Nest)
durata 60′
POLIS Teatro Festival, Ravenna | 8 maggio 2025