MARIA FRANCESCA SACCO / PAC LAB* | Oggi sembra che sia l’immagine a detenere il potere di definire l’individuo: in un mondo dove ogni volto e ogni angolo del corpo sono esposti, l’apparenza è diventata la moneta con cui acquistiamo visibilità, validità e, soprattutto, identità. La ricerca incessante della perfezione fisica, la cura maniacale del corpo e la costante esposizione sui social media sono manifestazioni moderne di un narcisismo che non sembra mai saziarsi.
In questo senso, Dorian Gray non è solo l’espressione di un desiderio superficiale di perfezione fisica ma rappresenta un’idea molto più complessa, che affonda le radici in una filosofia estetica che vede nella bellezza e nell’arte il fine ultimo dell’esistenza umana. Il suo bell’aspetto è così straordinario che diventa il suo unico scopo, al punto da spingerlo a cercare l’immortalità attraverso l’illusione di non invecchiare, affidandosi a un ritratto che appassisce al posto suo.

La riscrittura teatrale di Annig Raimondi, presentata in prima assoluta al Pacta Salone di Milano con il titolo Il ritratto di Dorian Gray ovvero La moda dell’Eccesso, si apre con la frase di Oscar Wilde: «La bellezza è una forma di genio, anzi è più alta del genio, perché non richiede spiegazioni». Ma è davvero la bellezza un concetto assoluto, indiscutibile, privo di sfumature? Per Dorian Gray, protagonista del romanzo e della performance, essa non è solo un ideale astratto: è la giovinezza, che egli è disposto a proteggere a ogni costo, fino a scendere nei meandri più oscuri dell’anima. La narrazione ha al centro il giovane e affascinante Dorian Gray che, dopo aver posato per il ritratto realizzato da Basil Hallward, è ossessionato dalla sua stessa immagine e dall’idea che bellezza e piacere siano le uniche verità fondanti dell’esistenza. Esprime così il desiderio che il dipinto invecchi al posto suo, mentre lui rimane giovane e bello. Il suo aspetto rimane infatti immutato ma il ritratto inizia a riflettere i segni della sua decadenza interiore che lo rendono mostruoso, specchio dei suoi eccessi e immoralità. Finché, annientato dai suoi peccati, Dorian lo distrugge, uccidendo così anche se stesso.
Tre sono le figure principali sulla scena del Pacta: Basil (Stefano Tirantello), il pittore che rappresenta l’arte come espressione di bellezza ideale; Dorian (Anna Germani), il giovane che incarna il desiderio irrefrenabile di giovinezza eterna e Lord Henry Wotton (Francesco Errico), elegante e cinico osservatore, occhio esterno e quasi distaccato che scruta il destino degli altri, alimentando tuttavia gli ideali edonistici di Dorian.
La scena, come un palcoscenico della decadenza, è divisa in tre livelli simbolici: in alto sta il ritratto che segna il destino di Dorian, al centro l’azione e, infine, un salottino sopraelevato dove i personaggi, come in un angolo di riflessione, si confrontano con le proprie verità. Le suggestive luci di Manfredi Michelazzi sono in grado di trasportare lo spettatore alternativamente in ciascuno dei tre livelli, immergendolo in quell’atmosfera cupa che rappresenta l’anima sempre più nera del protagonista.
Il tema dell’eccesso, suggerito dal sottotitolo, permea tutta la performance, diventando una chiave di lettura imprescindibile: ogni emozione è amplificata attraverso la recitazione, rendendo l’opera una riflessione sull’inquietudine e sulla disperazione. Dorian Gray si fa simbolo di un travolgente desiderio con una serie di stati emotivi contrastanti che Germani riproduce con precisione: ira, disperazione, isteria e dolorosa tristezza. Una figura impetuosa che si scontra e incontra con gli altri due, incapaci di contenerlo e fermarlo.
La corruzione morale del protagonista esplode in climax di mostruosità: la discesa negli inferi ha inizio con la relazione tra Dorian e l’attrice Sibyl Vane, che si uccide dopo essere stata rifiutata da lui, indifferente davanti al tragico evento. La sua trasformazione interiore trova una rappresentazione perfetta nei continui cambiamenti vocali che Germani conferisce al personaggio, dotandolo di una terribile intensità, sempre più distante dall’umanità e sempre più prossima al demoniaco. È proprio questa distorsione, fisica e psicologica, che fa della figura un mostro moderno: un essere che, pur apparendo perfetto, è intrinsecamente viziato.

Come Dorian, molti sono disposti a sacrificare la propria integrità interiore pur di mantenere o ottenere un’apparenza impeccabile, ignorando il prezzo che tale ricerca può comportare. La bellezza, anche nella società odierna, sembra essere la nuova divinità: la chirurgia estetica, in questo senso, può essere vista come speculare al ritratto di Dorian Gray. Così, la rappresentazione di Raimondi diventa di un’inquietante attualità, richiamando alla mente anche il discusso film The Substance di Coralie Fargeat, in cui, allo stesso modo, si affronta la trasformazione fisica come risposta al desiderio di perfezione e di accettazione sociale. Proprio come Dorian Gray, il personaggio di The Substance si trova di fronte a un paradosso: mentre l’ apparenza esteriore può migliorare, l’identità interna viene messa a dura prova. In entrambi i casi, c’è un’esplorazione della disconnessione tra corpo e anima ed entrambi sollevano una domanda necessaria: cosa accade quando la bellezza diventa il centro della nostra identità, e quanto siamo disposti a sacrificare, anche moralmente, per mantenerla intatta? Si può chiamare questa libertà?
Lo spettacolo è inserito nella sedicesima edizione di DonneTeatroDiritti, che quest’anno ha proprio il titolo Se la Libertà è in pericolo. Infatti, qual è la soluzione quando si è imprigionati nella gabbia dell’apparente perfezione? In questo caso, l’autodistruzione appare l’unica via per spezzare il circolo vizioso e ridare dignità al personaggio che, in Dorian Gray, attraverso il sacrificio della sua stessa vita, tenta di cancellare le atrocità commesse: una sorta di purificazione finale che solo la morte può offrire, liberandolo dal passato.
IL RITRATTO DI DORIAN GRAY
ovvero La moda dell’Eccesso
di Oscar Wilde
drammaturgia e regia Annig Raimondi
con Francesco Errico, Anna Germani, Stefano Tirantello
scene Isolde Michelazzi
musiche originali You go, you charm di Maurizio Pisati, Tannhäuser di Richard Wagner
disegno luci Manfredi Michelazzi (AILD)
Pacta Salone, Milano | 23 marzo 2025