RENZO FRANCABANDERA | Con la presentazione del nuovo cartellone 2025–2026, Marche Teatro conferma il proprio ruolo vivo nel il panorama teatrale nazionale, proponendo una programmazione che intreccia prosa, danza, musical e comicità, con una particolare attenzione alla qualità delle produzioni e alla pluralità dei linguaggi scenici. Sono diciannove i titoli in programma, distribuiti lungo sessanta serate da novembre ad aprile, che vedranno alternarsi gli artisti sul palcoscenico del Teatro delle Muse di Ancona.

La stagione 2025–2026 si distingue per la presenza di artisti di rilievo nazionale e internazionale, a testimonianza di una programmazione che intreccia tradizione e innovazione. Con la stagione 2025/26 prende avvio il nuovo corso di Marche Teatro sotto la direzione di Giuseppe Dipasquale. Diciannove titoli, sessanta serate distribuite tra prosa, danza e musical, testimoniano una progettualità che intende consolidare l’identità pubblica del teatro, ancorandola a un’idea precisa di funzione culturale e civile. Il titolo della stagione, 900venticinque – d’annate ricorrenze, suggerisce una riflessione sulle radici del presente a partire da alcune ricorrenze centenarie o simboliche, con particolare attenzione agli snodi del Novecento: il 1925 come anno emblematico della svolta autoritaria italiana, la nascita di Andrea Camilleri, la pubblicazione di opere come Il male oscuro di Giuseppe Berto con la regia di Dipasquale o Le cosmicomiche di Italo Calvino.

La programmazione si muove lungo due direttrici: da un lato il rilancio dei classici della scena italiana e internazionale, dall’altro l’esplorazione di nuove forme drammaturgiche, anche in relazione alle trasformazioni delle arti performative contemporanee. Le produzioni interne di Marche Teatro testimoniano questa duplice tensione. Il birraio di Preston, tratto dal romanzo di Camilleri, apre la stagione con un’operazione che accosta la struttura labirintica del testo a una visione scenica che riflette sul caos come condizione storica e linguistica. In La tempesta di Shakespeare, diretta da Alfredo Arias, la ricerca si concentra sulla stratificazione dei piani temporali e sulla teatralità come dispositivo di reinvenzione identitaria. La nuova versione di Otello, firmata da Giorgio Pasotti e con drammaturgia di Dacia Maraini, interroga invece le dinamiche del potere e della violenza di genere, mentre Il male oscuro, con Alessio Vassallo e Ninni Bruschetta, affronta la crisi dell’individuo moderno tra psicanalisi, letteratura e autofiction.

Anche nel repertorio ospite si avverte l’intenzione di proporre una lettura critica del patrimonio teatrale. Ne è esempio La vedova scaltra di Goldoni, reinterpretata da Emanuele Maria Marinelli in chiave metateatrale, o l’inedita versione al femminile di Riccardo III diretto da Andrea Chiodi, dove Maria Paiato disloca il testo shakespeariano in un territorio ambiguo tra identità e potere.

La Vedova scaltra regia di Marinelli

L’omaggio a Eduardo De Filippo con Sabato, domenica e lunedì, diretto da De Fusco, si distingue per il rigore della messinscena e per l’equilibrio tra oralità popolare e tensione tragica. Il lavoro di riscrittura drammaturgica prosegue ne La cosmicomica vita di Q, che rilegge Calvino attraverso la figura surreale di un narratore fuori dal tempo, e nel Non si sa come pirandelliano, dove Franco Branciaroli restituisce al testo la sua carica perturbante.

La danza, presente con quattro appuntamenti in esclusiva regionale, si configura come spazio di intersezione tra tradizione e linguaggi del corpo contemporanei. Da Gisellə, creazione di Nyko Piscopo per la Cornelia Dance Company, che destruttura il balletto classico in chiave politica, a Brother to Brother di Zappalà Danza con i percussionisti giapponesi Munedaiko, fino alla Notte Morricone di Aterballetto e alla Olympiade \[trace] del Ballet Opéra Grand Avignon, firmata dal collettivo Kor’sia, la scena coreutica si offre come campo di sperimentazione percettiva e drammaturgica.

Notte Morricone ph Christophe Bernard

I titoli fuori abbonamento – dai musical Anastasia e Cantando sotto la pioggia ai balletti del Balletto di Milano – rispondono a un’esigenza di apertura verso pubblici eterogenei, ma restano coerenti con l’idea di un teatro inteso come spazio plurale, capace di tenere insieme intrattenimento e pensiero, di rilanciare il teatro come luogo di memoria attiva, interrogando il passato non come repertorio da celebrare, ma come riserva di senso da mettere in discussione. Nuove regie di maestri riconosciuti e progetti inediti di autori contemporanei, ma anche rivisitazioni di classici capaci di interrogare il presente, questa la linea curatoriale del nuovo direttore artistico Giuseppe Dipasquale, che cerca di tenere insieme l’accessibilità del teatro “popolare” con l’ambizione culturale della ricerca artistica. Questa doppia tensione tra innovazione e radicamento è del resto anche al centro del nuovo progetto che Marche Teatro ha recentemente lanciato: la costituzione della Compagnia dei Giovani, un nuovo ensemble stabile destinato a raccogliere attrici e attori professionisti tra i diciotto e i trentacinque anni, nati o residenti da almeno due anni nelle Marche. L’obiettivo è ambizioso: non solo offrire opportunità concrete di lavoro e di formazione a giovani professionisti del territorio, ma costruire un vero e proprio organico di interpreti capaci di affiancare la linea produttiva di Marche Teatro con progetti propri, in dialogo con la direzione artistica e con i valori fondativi dell’ente.

Il bando, pubblicato online il 7 aprile e aperto fino alle ore 14:00 del 15 maggio 2025, prevede una selezione articolata in due fasi: una preselezione sui curricula e una successiva audizione in presenza, guidata dal direttore Giuseppe Dipasquale. I candidati selezionati entreranno a far parte di un collettivo teatrale giovane, che sarà impegnato in percorsi di ricerca, sperimentazione e produzione, affiancando sia progetti già calendarizzati sia iniziative nate all’interno della nuova compagnia.
Il progetto insiste su quattro principi guida – Tradizione, Innovazione, Popolare, Identità – che intendono fungere da coordinate di senso per le attività future della compagnia. Il riferimento alla tradizione non va inteso come ritorno a forme teatrali datate, ma come riscoperta di una grammatica scenica capace di rigenerarsi attraverso lo sguardo delle nuove generazioni. Allo stesso modo, l’innovazione non viene identificata con l’effetto tecnologico o con la rottura fine a sé stessa, ma con un approccio critico, libero e responsabile alla scena. Il termine “popolare” recupera il senso di un teatro accessibile, civile, partecipato; mentre l’identità si configura come consapevolezza del contesto territoriale, storico e culturale in cui questa compagnia si inserisce.

La Compagnia dei Giovani non sarà un contenitore generico, ma una cellula produttiva autonoma e al tempo stesso integrata nella visione complessiva di Marche Teatro. Gli interpreti selezionati lavoreranno con registi, drammaturghi, scenografi, costumisti e musicisti affermati, ma anche con giovani professionisti in crescita, in un ambiente che intende valorizzare la collaborazione, l’apprendimento reciproco e la ricerca di qualità. Un laboratorio stabile, in cui il tempo del processo creativo non sia schiacciato sulla logica della mera restituzione pubblica, ma consenta lo sviluppo di progetti coerenti e solidi.

Nel panorama teatrale italiano, spesso segnato da precarietà e assenza di continuità, questa iniziativa rappresenta un tentativo concreto di immaginare un futuro diverso per le nuove generazioni di artisti. Più che un’operazione simbolica, si tratta di un investimento strutturale, in cui il teatro torna a essere luogo di costruzione collettiva, generatore di senso e di lavoro, in una regione che possiede un tessuto culturale ricco ma frammentato e che oggi trova in Marche Teatro un centro propulsore di progettualità duratura.

Abbiamo rivolto alcune domande al direttore artistico Giuseppe Dipasquale.

Direttore, cosa rappresenta per lei la Compagnia dei Giovani di Marche Teatro?

Una Compagnia formata da Giovani che vanno dai diciotto ai trentacinque anni possiede in sé il senso di una nave pronta a salpare per il futuro, dove formazione, ricerca e conservazione della tradizione, reclutamento di nuovi talenti e valorizzazione e affinamento di quelli in crescita contribuiscano a rendere salda e sempre innovativa la rotta maestra di Marche Teatro.

Qual è il compito di questa compagnia nel contesto della progettualità complessiva del Teatro?

Quello di una compagnia di supporto, che sperimenti, ma conservi, tracci nuove vie ma persegua anche i dettami di una Direzione del Teatro, che lavori sui testi, sugli attori, su registi, scenografi, costumisti e musicisti che si riconoscono nei valori concreti dell’azione di questo Teatro marchigiano.

Passando alla prossima stagione: il titolo “900venticinque” è denso di implicazioni. Può spiegarcene il significato?

È un tema che racconta la realtà contemporanea attraverso un salto all’indietro di cento anni per merito di alcuni autori che proprio cento anni fa sono nati. Un tema che racconta storie e sogni di persone e che, con un viaggio nel tempo, ci conduce lontano per interrogarci sull’identità nostra di esseri umani nella storia. Un secolo indietro per leggere un secolo avanti: ricorrenze di annate speciali, o, se vogliamo giocare con le parole, d’annate ricorrenze, che cadono e ricadono attraverso gli autori che presenteremo in questa stagione. E a segnare il punto sul Novecento sono sei grandi autori italiani, di due dei quali ci pregiamo avere l’esclusiva: Andrea Camilleri, che segna perfettamente il ’25 con il suo centenario dalla nascita; Giuseppe Berto, che produce il suo più importante romanzo a metà del Novecento; Luigi Pirandello, il più grande drammaturgo del Novecento,  Eduardo De Filippo, che nasce proprio all’inizio del secolo (maggio del 1900); Italo Calvino di cui ricorre il quarantesimo dalla morte e il sessantesimo dalla pubblicazione delle Cosmicomiche; infine Dacia Maraini scrittrice della generazione degli anni ’30 del Novecento, tra le più importanti italiane viventi. D’annate ricorrenze, dunque!

Quale rapporto c’è tra il teatro del Novecento e il nostro presente?

Leggere una crisi, quella del Novecento, dove il ’25 diventa l’anno topico, per riflettere sul presente e la contemporanea crisi dell’io. Il 900 e venticinque, come specchio convesso nel futuro, è il centro di una temperie estremamente interessante per l’arte e il teatro in particolare. Irrazionalismo e simbolismo, futurismo, dadaismo, surrealismo in arte e in letteratura, la centralità dell’attore in teatro e la nascita della regia in Europa. Uno specchio capace di illuminare più di quanto si immagini le tendenze del mondo contemporaneo.