BRUNA MONACO | È con “Generation jeans” che si è aperta la micro rassegna che il Teatro India di Roma ha dedicato alla compagnia bielorussa di Minsk nata nel 2005, il Belarus free Theatre: fuorilegge nel proprio paese, ha partecipato a numerosi festival internazionali con spettacoli di denuncia. Un teatro-documentario, quello del Belarus, che urla contro la situazione politica della Bielorussa, democrazia solo nominale, di fatto una dittatura di Aleksander Lukashenko. Un teatro che urla e sa farsi ascoltare, tanto da convogliare al teatro India un pubblico numerosissimo e caloroso.
“Generation jeans” è un monologo, un one man show o uno spettacolo di narrazione che dir si voglia. In scena c’è solo Nikolai Khalezin, fondatore (insieme alla compagna Natalia Kolyad) del Belarus free Theatre, che ha scritto diretto e interpretato lo spettacolo. Lo accompagna il DJ Laurel (Laur Biarzhanin) che sul fondo, dietro i sintetizzatori, dà musica alla performance.
Nikolai Khalezin ha un borsone da tennis, dentro ci sono gli oggetti di scena, quelli della sua vita: una busta di plastica firmata, come quelle che da adolescente acquistava per tre rubli e rivendeva a cinque, uno status symbol nella Bielorussa anticapitalista degli anni ’90. Dischi di vinile, musica vietata dal regime: rock americano e inglese, musica progressive. Qualche paia di jeans, quelli che rubava negli alberghi ai turisti stranieri, quelli che lo facevano sentire come gli altri, come gli altri fuori dalla Bielorussia, nel resto del mondo capitalista, il mondo che, a chi vive in dittatura, pare il mondo libero. E allora “jeans” diventa sinonimo di libertà. E i “tipi jeans” sono gli spiriti liberi.
Nonostante sia in lingua russa e i sopratitoli scorrano veloci a seguire le parole di Nikolai Khalezin, l’ironia del testo non si perde. Come non se ne perde la drammaticità laddove il racconto si fa duro. Quando, insieme al protagonista, entriamo in una cella punitiva di un metro per un metro, per aver srotolato in piazza cartelloni inneggianti alla libertà.
“Generation jeans” non è uno spettacolo esteticamente perfetto e Nikolai Khalezin che nasce giornalista e si fa drammaturgo, non ha una formazione d’attore, forse nemmeno una vocazione. Si potrebbe dire che è attore per caso, o forse, meglio, per necessità. Necessità vera, prima politica poi personale. Guardando il lavoro del Belarus ci si ricorda che il teatro non è solo un fine, ma anche un mezzo. Un mezzo di comunicazione.

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