finefamiglia-2RENZO FRANCABANDERA | Sono state molto affollate le repliche della pièce che ha visto il rinsaldarsi della coppia drammaturgia-regia composta da Magdalena Barile e Aldo Cassano/Animanera.

Il teatro contemporaneo sta vivendo un’evoluzione, non saprei dire se di linguaggio ma sicuramente di auto rappresentazione. Così, come al cinema e in tv, se un’idea riesce ad incontrare il gusto del pubblico, a torto o a ragione si cerca di darle un seguito, uno sviluppo. E’ stato, giusto per rimanere in ambito lombardo fra le compagnie sostenute da Etre, il caso di Serate Bastarde, della Compagnia Dionisi, ma non solo, ovviamente. Ma non c’è niente di male, sia chiaro, e anche quello di cui stiamo parlando, in fondo, non è un esito infelice.

Tre anni e mezzo fa, infatti, la compagnia, allora in residenza presso il Pim Off di Via Tertulliano (ora non abito più là, tutto è cambiato, non abito più là), presentava un caustico testo sulle relazioni all’interno di un nucleo familiare composto dai genitori e due figli, capaci di superare la soglia della crisi psichica per internalizzarla  in una serie di nevrosi sistemiche, che ne caratterizzavano le forme di interconnessione. Facile capire come la più banale delle feste, la più banale delle torte, possa in tale ambito rappresentare occasione per quelle dinamiche caotiche il cui studio, nelle scienze matematiche, ha persino fruttato un Nobel. Lo spettacolo aveva avuto un meritato successo. Era intrigante e lasciava l’alone di bruciacchiato fumante sull’abito buono dello spettatore borghese a teatro.

Ma arriviamo ad oggi.  Era chiaro che riprendere la drammaturgia da dove l’avevamo lasciata era un’idea perdente in partenza. La Barile sceglie allora di introdurre al centro delle vicenda la figura della nonna (un notevolissimo Giovanni Franzoni).

Questo individuo dal tratto caratteriale particolarmente determinato, lascito di battaglie tardo-partigian settantottine, dialoga ad inizio spettacolo, nella sua ultima fase di vita trascorsa sulla sedia a rotelle, con i due nipoti tardo adolescenti (Matteo Barbè e Natascia Curci), anche loro muniti di pneumatici, ma per più modesti pattini. Sono loro che sfrecciando in qua e in là aprono lo spettacolo, in una visione al buio di particolare suggestione, perché illuminata da lampada fluorescente. Sullo sfondo una scala dai gradini irregolari e sghembi.

La nonna si rivolge ai nipoti, dichiarando il suo odio per loro padre  (un Nicola Stravalaci a suo agio qui come sulle battute di Copi e in generale buon interprete del grottesco), marito di sua figlia (Debora Zuin) , personaggio infingardo e completamente adagiato sull’indole remissiva della conuige, dal cui torpore l’anziana madre agogna il risveglio.

Un colpo di teatro fa prima morire la nonna, e poi risuscitarla, per catapultarla al mare insieme alla famiglia. E’ qui che la figlia, con un passaggio psicologico non molto ben definito, pressata dall’emotività che intorno a lei è ormai fuori controllo (il figlio dichiara la sua omosessualità, il marito ha mostrato senza ombra di dubbio il suo vero carattere, la figlia è una patetica velleitaria), decide di svegliarsi.

Qui, in una scena madre, la Zuin si leva in piedi sulla carrozzina della genitrice e dichiara iniziato il tempo della sua riscossa.

Diciamo pure che da questo punto in avanti lo spettacolo cambia, sia nel testo. La prima parte, infatti, ha ritmo da sit com televisiva, e tuttavia caustica e non banale, con scambi veloci, personalità delineate con ricchezza di sfumature, pur nel gioco dell’ironia.

Ma dal momento in cui inizia il risveglio della donna, il registro si fa più psicologico e composto di semi-monologhi, con i personaggi dei due figli che si eclissano, per lasciare il fuoco sugli altri tre, secondo il più tradizionale dei triangoli. Il finale non lo sveliamo, ma occorre dire che la regia di Aldo Cassano legge in forma più azzeccata la prima parte, sicuramente prossima alle corde e all’ironia della tradizione situazionista e non ordinata di Animanera (la scena dei villeggianti al mare si compone di due tre chicche di sicuro gusto).

La seconda, invece, più di introspezione, sfugge di mano prima alla drammaturga, che infatti chiude la vicenda con un finale non all’altezza della creatività della prequel (forse il suo desiderio di chiudere in via definitiva la saga, l’ha portata a cercare un esito senza appelli), e poi al regista. Cassano comprende che il registro si è modificato, ma non arriva a dare quello scarto necessario per fare il triplo salto mortale, e lascia i quasi monologhi dei tre personaggi principali in balia di recitazioni di stampo tradizionale, azzerando, paradossalmente, ogni effetto espressionista o straniante da cui avrebbe forse potuto ricavare qualcosa di più intrigante,

Questo non accade, e le ciliegine kitch, marchio di fabbrica della compagnia che si materializzano anche in commenti musicali di derivazione cinematografica, aggiungono assai poco. I personaggi minori restano totalmente fuori fuoco, e quello che era stato il combustibile dei primi quaranta minuti diventa negli ultimi venti un brodino da bere un po’ freddo. E’ mancato il coraggio, alla regia, di non guardare alla drammaturgia condizionata dalla psicosi della saga, per osare, specie nella seconda parte, scelte più di rottura. Il combinato scenico di due meno, a differenza che in algebra, non si trasforma in un più.

Sia chiaro, lo spettacolo è godibile, divertente, si ride, lo consiglierei a qualsiasi tipo di intelligenza vivace voglia confrontarsi con il tema delle relazioni interpersonali, e però, e però, il talento della Barile e quello di Animanera non arrivano all’esaltazione incrociata che era stata invece la cifra del primo spettacolo. Non ci hanno messo quella vena di pazzia visionaria necessaria.

 

SENZA FAMIGLIA

di Magdalena Barile
Regia: Aldo Cassano
Con: Matteo Barbè, Natascia Curci, Giovanni Franzoni, Nicola Stravalaci, Debora Zuin
Assistente regia e musiche: Antonio Spitaleri
Costumi: Lucia Lapolla
Scenografia: Petra Trombini
Luci: Anna Merlo
Coproduzione Animanera – CRT Centro di Ricerca per il Teatro
con il sostegno di Comune di Milano – Fondazione Cariplo Progetto Etre