basilicoMARIA CRISTINA SERRA | Le città sono un mosaico di frammenti dove si incrociano esistenze, ricordi, speranze, rovine; sono il luogo dove scambiare parole, merci, esperienze. “Un simbolo complesso”, ha scritto Italo Calvino in Lezioni americane, “che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio dell’esistenza umana”.
Epicentro della modernità e incontro di ogni possibile contraddizione, ma anche “le città sono un libro che bisogna leggere per intero, diversamente si rischia di non afferrarne il senso”, spiegava con l’abituale voce pacata e gentile, il grande fotografo Gabriele Basilico, morto mercoledì 13 febbraio a Milano, all’età di 68 anni.
Delle città gli interessavano soprattutto le periferie, le zone destinate all’espansione, gli angoli dismessi, le prospettive insolite. “Se è vero”, ribadiva, “che la città è come un gran corpo dilatato, incommensurabile, per capirci qualcosa bisogna aver pazienza, tenere a bada quel sentimento di conquista, quella vertiginosa sensazione di possesso che un’immagine troppo rapida e furtiva può restituire”.
Il suo lavoro era sempre accompagnato dalla “misurazione visiva” del territorio in cui si svolgeva e da una riflessione lenta, rigorosa, per comprendere in quale direzione orientare l’obiettivo. Nessuna improvvisazione, nessun attimo fatale, ma la ricerca costante, invece, di un dialogo serrato con le cose e i luoghi da fissare nelle istantanee, per sondare le affinità elettive nascoste, per far emergere un’anima segreta da decifrare. Si deve entrare in contatto ascoltando con gli occhi le parole sottaciute: “Il silenzio, il vuoto, l’assenza di accadimenti aiutano a porci in relazione con lo spazio, senza negarne vita e umanità”.
Le sue celebri foto di Beirut devastata dalla guerra civile non hanno bisogno di cadaveri per descrivere l’orrore: bastano le case sventrate, alte verso il cielo, come cattedrali dell’odio. Le ferite delle bombe richiedono un’emozione controllata, fatta di rispetto, di equilibrio “che esige considerazione e responsabilità. Poi, succede qualcosa, forse la città ascolta, intuisce la situazione e poi subentra un silenzio metafisico, una pausa, dopo la quale si può agire”. C’è commozione nel ricordare la sensibilità particolare, l’emotività, il sentimento che Gabriele Basilico riusciva a trasmettere con il suo lavoro.
Un suo modo speciale di osservare la realtà “contemplandola”, creando un’empatia sottile fra lui, le cose e lo spettatore, coniugando fra di loro le distanze geografiche e quelle temporali in un unico vissuto. Il suo viaggio esistenziale e artistico era partito da Milano, dopo la laurea in architettura. Alla fine degli anni Settanta con “Ritratti di fabbriche”, realizza così un reportage sui manufatti industriali dismessi, per documentare le trasformazioni di un luogo identitario in cui si era formata una comune coscienza civile, per restituire loro un valore estetico. Prosegue in Francia, nel 1984, con un progetto finanziato dallo Stato “Mission Photographique de la D.A.T.A.R.” sulla mappatura dei cambiamenti nell’era post-industriale del Paesaggio.
Lui la registra percorrendo la costa da Mont Saint Michel verso la Normandia, fino al confine con il Belgio.
Questa esperienza segnò la sua svolta e determinò l’intuizione che il paesaggio naturale, integrato dalle costruzioni architettoniche dell’uomo, poteva diventare il suo punto di partenza in direzione dell’infinitezza. Lì, le architetture normanne confuse con gli opifici, la terra, il mare, il vento, le barche, il cielo grigio, tutto rievocava la pittura fiamminga, la sua luce e la sua concretezza. Esperienza fondamentale che tradusse poi nel libro “Bord de Mer” e che gli fornì la chiave di comprensione, per definire il punto di vista ideale da dove far partire il suo sguardo prima dello scatto. La realtà raccontata dalle immagini di Basilico è complessa, è un continuo “prendere le misure”, cogliere i significati, operare delle scelte, individuare i baricentri.
Istanbul rimane sospesa tra Oriente e Occidente, fra modernità e tradizione; si estende lungo il Bosforo e si chiude polverosa e antica nei vicoli, splendida, come nelle pagine di un libro di Pamuk. Gli agglomerati urbani di Shangai visti dall’alto sono rinchiusi fra colonne di grattacieli; quelli di San Francisco si affacciano leggeri sulla baia. Mosca, città orizzontale, è vista per contrasto in verticale, dall’alto delle torri staliniane, mentre si perde lungo le anse della Moscova. Paestum sollecita un’immersione affettiva, una sospensione di giudizio; così come Roma, attraversata dal suo fiume, che sembra scorrere maestoso, interrotto solo dai ponti, dall’ansa dell’isola Tiberina e da Castel Sant’Angelo, che si specchia nell’acqua con riflessi evanescenti. “E’ l’astrazione della fotografia a permettere di svincolarsi del tempo”. Un dono che Basilico ci ha lasciato insieme ad un prezioso suggerimento: “Con la fotografia non puoi giudicare il mondo, ma puoi fare una cosa molto più necessaria: misurarlo”.

Qui di seguito alcuni video in cui Gabriele Basilico spiega cosa significa essere fotografo:

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[youtube http://www.youtube.com/watch?v=jFtI0nF462U]
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=au4zHIRx6Y0]