fausto e iaioRENZO FRANCABANDERA | La categoria delle “morti assurde” è un topos chiaro. Ai giorni nostri si tratta per lo più di incontri col destino, cui spesso sono derubricati incidenti di varia natura. Ma negli anni Settanta e Ottanta sotto la categoria finivano anche omicidi politici, la cui spiegazione, a quarant’anni di distanza appare quantomeno difficile.
Trentacinque anni dopo. Alcuni dei ragazzi in scena(Massimiliano Donato, Andrea Bettaglio, Alice Redini, Umberto Terruso, Federico Manfredi) non erano ancora nati. I loro genitori, nella migliore delle ipotesi, erano giovani fra i venti e trent’anni. Quelli invece che racconta la storia rappresentata in Viva l’Italia è la vicenda di due ragazzi di diciotto anni.
Morire di politica a diciotto anni. Senza neanche avere una colpa specifica, se non quella di interessarsi alle indagini sociali sul consumo di sostanze stupefacenti. Sono morti così trentacinque anni fa Fausto e Iaio a Milano. Due. In una sera. Per mano di un commando di integralisti politici di destra. Che vendicavano forse altri morti di destra, uccisi a Roma alcuni giorni prima. Di età simile. O forse per altre ragioni.
Adesso parrebbe assurdo. E infatti è appunto una morte assurda quella che lo spettacolo racconta.
Il testo, come ci racconterà poi meglio Cesar Brie nella video intervista di oggi, si componeva di cinque monologhi, dialogizzati poi, per inserire nel testo una dinamica di relazione ancora maggiore fra i personaggi, interpretato da un giovane gruppo diretto dal regista italo argentino.
L’esito, pur con qualche peccato di ingenuità sia interpretativa (segnaliamo comunque la bella prova di Andrea Bettaglio nella parte del commissario) che drammaturgica, è certamente interessante per diversi ordini di questioni, dalla ricostruzione dei fatti al recupero dei documenti, all’affresco generazionale, al ritorno su un tempo su cui pare calato l’oblio.
E questa operazione è corroborata dallo stesso Teatro dell’Elfo attraverso la riproposizione di una interessante mostra di cartelloni (all’epoca avevano il più fluorescente e militante nome di taze bao, termine ormai caduto totalmente in disuso). Erano appunto desktop cartacei, come li definirebbe il progresso, su cui venivano affissi in ordine logico documenti estrapolati dalla stampa, integrati con interventi a mano, pennarelli. Insomma documenti, gli stessi che la scuola in cui i due giovani erano studenti volle realizzare per ricordarli. Il percorso nella memoria è affascinante, doloroso, inspiegabile soprattutto alla luce della totale piattezza in cui siamo piombati nel decennio successivo e poi di lì in poi fino ad ora.
Fino al nostro tempo. Ai trota. Alla giovane prostituzione di regime. A questa gioventù disperatissima, così lontana dagli occhi svegli, presenti, vivi di Fausto e Iaio. Forse sbagliati, ma sicuramente formidabili quegli anni per chi li ha vissuti. Perché ha potuto credere. Pensare utopia.
Vi lasciamo all’intervista con Brie.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=ayIJbusg7BE&w=560&h=315]

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