Dongiovanni_timiMATTEO BRIGHENTI | Il sesso è un cannibale del tempo che fugge. Un torero che affoga dentro il toro, incornato da sangue sempre vergine, non ha pazienza, non sa aspettare. Vuole. Vuole tutto. Vuole subito. Nulla, però, stringe davvero. Si accende, ma non brucia. La giostra della seduzione gira ne Il Don Giovanni – Vivere è un abuso, mai un diritto, di e con Filippo Timi, gira e rigira, ma il panorama resta sempre lo stesso: il vuoto riempito di vuoto. Sbeffeggiato, deriso, comunque sdoganato, mitizzato.

Per 3 ore e più Timi compone un collage “hippie” di incontri, travestimenti, baruffe, intervallato da video scaricati da Youtube (virali come intende essere lo spettacolo), che si regge principalmente sulla bravura degli attori: Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino, Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli, ingabbiati nei costumi pirotecnici di Fabio Zambernardi, dimostrano adesione totale al progetto, per fatica, impegno, presenza scenica e partecipazione a ogni battuta, sguardo o lazzo. Devi credere in quello che fai e dici per arrivare in fondo a Il Don Giovanni. E loro ci credono. Ciecamente.

Il pubblico ride. Smette solo con la chiusura del sipario, dopo l’ultimo applauso scrosciante. Ride perché sono anni che, in mancanza di pane, gli vengono dati i chewingum, qualcosa da far rimbalzare tra i denti per illuderlo di mangiare. Timi lo sa a tal punto da cavalcarlo come una tigre. Per lui il vero uomo di successo non ha pudore né vergogna? Bene. Fedele al proverbio latino “cacare al mattino fa bene quanto una medicina”, appena alzato Don Giovanni si fa portare dal fido Leporello un cesso d’oro. Si cala i pantaloni, si siede sulla tazza, apre la “Gazzetta dello Sport” e discetta su quanto sia meglio fare la cacca intera invece che a pezzi.

Il Don Giovanni è quindi il vecchio presentato come nuovo, le gag delle vacanze di Natale sul piccolo o grande schermo spacciate per “ricerca teatrale”. Scontenta la critica, contenti gli spettatori (anche o soprattutto perché la critica è scontenta) che accorrono in massa. Al prezzo, però, non di un cinema, ma di un teatro di prosa. Questo è il genio di Filippo Timi.

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