Enrico_BabiloniaANDREA CIOMMIENTO | I Babilonia Teatri aprono ufficialmente la nuova edizione del festival Collinarea di Lari (PI) con Pinocchio allestito insieme agli Amici di Luca, compagnia composta da persone che hanno vissuto l’esperienza del coma. Abbiamo incontrato Enrico Castellani per farci raccontare il processo di creazione che ha portato alla realizzazione di questo laboratorio/spettacolo a vocazione sociale.

Enrico, come nasce la collaborazione con gli Amici di Luca?
Ci ha messo in contatto tra noi Cristina Valenti che conosceva sia il nostro lavoro che l’esperienza della compagnia degli Amici di Luca. Loro avevano fatto già tutta una serie di spettacoli per la regia di Antonio Viganò e Enzo Toma, e di Stefano Masotti che ha condotto il laboratorio per molti anni lì. Cercavano una realtà nuova con cui condividere un’esperienza e noi siamo stati contattati. Siamo andati lì senza sapere dove ci recavamo.

Cosa avete trovato?
Siamo entrati all’interno di un luogo che di fatto era un ospedale, per quanto speciale. Alla Casa dei Risvegli di Bologna ci sono dieci appartamenti in cui le persone uscite dal coma possono vivere insieme ai famigliari, a diretto contatto con una grande umanità, con i voci e i profumi. Questo per loro è fondamentale. È un tema che ci è molto caro ovvero il fatto di trovare un’umanità in quei luoghi.

Cosa vi ha colpito?
Il loro desiderio di fare teatro nel senso che quando li abbiamo incontrati abbiamo chiesto loro come mai facessero teatro e loro ci hanno risposto che dopo aver vissuto il trauma del coma la società li ha messi da una parte e fare teatro è forse l’unica possibilità che hanno per rimettere un piede dentro la società.

Com’è nato il lavoro su Pinocchio?
Dopo The end, il nostro spettacolo precedente che parlava di morte e del fatto che sia un tabù ancora oggi, volevamo continuare a raccontare la vita e le sue età. Volevamo partire dall’infanzia e da una dedica sull’infanzia come Pinocchio ma era un involucro ancora vuoto. Quando abbiamo conosciuto loro questo involucro si è riempito mano a mano. Non è stato subito chiaro come, per molto tempo ci siamo chiesti quanto la favola di Pinocchio dovesse essere raccontata.

Poi cosa è successo?
I loro vissuti sono stati così forti e importanti che Pinocchio è stato schiacciato e messo da parte. È stata la spalla che ha permesso allo spettacolo di andare avanti permettendo di parlare di loro spostandoci su piani altri.

Qual era il vostro desiderio?
Utilizzare una storia nota davvero a tutti per cui fosse possibile anche soltanto citare personaggi e luoghi di quella storia senza la necessità di entrare approfonditamente nella storia.

Sei con loro in scena?
Più o meno. Lo spettacolo lo facciamo insieme. È una condivisione dell’incontro tra di noi. Portiamo sul palcoscenico questo incontro che c’è stato e che ci andava di condividere. In realtà non sono sulla scena, ci sono loro soli. Questa è stata una sfida da percorrere: portare loro sulla scena diversamente dal solito. Generalmente gli operatori teatrali lavorano sul palco. Noi eravamo determinati nel fatto che stessero da soli sul palco.

Quale soluzione è stata presa?
È nata questa forma di dialogo a distanza in cui io sono una voce fuori campo che lavora live insieme a loro attraverso un canovaccio che ha dei punti di arrivo e dei contenuti che vogliamo consegnare ma non un copione dato.

Prima del vostro Made in Italy avete vissuto esperienze laboratoriali nel carcere di Verona. Cosa significa partire da progetti teatrali di inclusione sociale e ritornarci a distanza di anni?
Qualcuno dice che i Babilonia hanno provato a fare qualcosa di diverso. In realtà è significato tornare da dove siamo partiti come accenni tu. Nel senso che il lavoro con il non-attore è qualcosa che ci è interessato fin dall’inizio e che quando siamo partiti ci ha permesso di scardinare e di porci le domande rispetto a una forma da trovare per stare noi sul palco. Nel prossimo spettacolo torneremo noi sul palco. Sono filoni che procedono paralleli. Ci interessa un’autenticità da portare sul palcoscenico. Per noi questo lavoro ha significato molto perché il tipo di autenticità che loro riescono a portare sul palcoscenico e il tipo di risposta che suscitano nel pubblico aprono a domande rispetto a cosa serve fare a teatro. Domande molto grandi rispetto alle quali non abbiamo delle risposte.

Estratto video dell’intervista a Enrico Castellani (Babilonia Teatri) da Collinarea:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=62Qf6xnEv4o&w=560&h=315]

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