FRANCESCA PEDDONI | L’impiegato postale fisso’ la tigre negli occhi. Istanti interminabili con la belva davanti. Il silenzio. Poi un graffio lacerante.
Si può davvero rimanere indifferenti davanti a un manifesto pubblicitario magari un po’ rovinato e staccato appena? Si può davvero passare oltre senza staccarne anche solo un piccolo pezzo? Chi da ragazzino non l’ha fatto? Un gesto così naturale e senza un fine logico che non può essere considerato un furto: viene quasi spontaneo farlo senza essere visti. Un gesto divenuto una magistrale azione artistica che unisce l’istinto alla progettazione, l’intuito all’azione.
Non capita tutti i giorni di visitare una mostra ed essere accolti da una grossa tigre gialla tutta graffiata e strappata, a meno che non si parli di Mimmo Rotella e dei colorati protagonisti delle sue opere. I più importanti undici anni della carriera artistica di un uomo, un calabrese, con un futuro come impiegato del ministero delle poste, con la passione per l’arte e un grande fuoco fosforescente dentro.
Un passionale del sud che non si accontenta di una vita grigia e di un lavoro “normale”, ma capisce che l’arte è quel fuoco che ha dentro e non può domare. Il percorso espositivo, curato da Germano Celant, inizia con un collage di fotografie in bianco e nero dell’artista che raccontano lo straordinario spaccato di una vita, passata dal completo anonimato della provincia alla frequentazione dei “cattivi ragazzi” dell’arte americana degli anni 50’: Robert Rauschenberg, Oldenburg, Twombly, Jackson Pollock e Yves Klein. Per interpretare al meglio il clima del periodo, il curatore affianca alla ricerca di Rotella proprio le opere di questi artisti.
Per tutti la necessità è trovare un linguaggio nuovo, originale, che si distacchi dalla tradizione, portando la vita nell’arte e riversando la realtà nella pittura. Di conseguenza, giornali, stampe, legni, graffiti e stoffe animano le opere americane di questo periodo. Ricerche che come uno tsunami si abbatteranno anche in Europa sconvolgendo il panorama artistico. Sarà una profonda crisi morale e artistica legata all’incapacità di trovare un linguaggio personale a far rientrare Rotella in Europa nel 1952 e a fargli notare l’opera di due artisti francesi, due eccentrici personaggi, Raymond Hains e Jacques Mahé de la Villeglé (del futuro gruppo del Nouveau Realisme, capeggiati dal critico Pierre Restany) che nottetempo, staccano i manifesti pubblicitari, documentando data, ora e durata della “bravata”. Nello stesso periodo Roma, la città eterna, è decorata con tanti manifesti pubblicitari: il circo, i film, gli attori, i prodotti pubblicizzati, sono una tentazione cui l’artista non può resistere. Ed ecco l’illuminazione, l’idea e il gesto che diventa quasi necessario: “Strappare i manifesti dai muri, è l’unica rivalsa, l’unica protesta, contro una società che ha perso il gusto dei cambiamenti e delle trasformazioni strabilianti”.
L’esposizione mette in evidenza proprio l’originalità “rotelliana”, che inizia con il gesto di appropriarsi dei coloratissimi cartelloni dalle strade della città, andando oltre il documentarne l’evento. In altre parole, egli percepisce sin dall’inizio il potenziale del gesto, e la notte, stacca dai muri quel pezzo di vita urbana che poi assemblerà nello studio su un supporto. Un gesto, che vuole: “superare la pittura e la poesia con colori già stesi e parole già scritte” giocando con gli accostamenti di colore, tagliando e raschiando fino alla nascita dell’opera. Nelle prime sale sono presenti oltre ai Dècollages, i Retrò d’Affiches; anche in questo caso si tratta di manifesti staccati e assemblati al contrario, materici e informali, dove, a differenza dei primi, l’artista non interviene, ma lascia che sia la pura essenza della materia ad esprimersi con la ruggine, la colla e i frammenti. La mostra, con il suo percorso cronologico, documenta l’evoluzione comunicativa dei Dècollages.
Undici anni raccontati in una serie di opere che attraverso le varie sale, diventano veri e propri spaccati della società. Una realtà popolare raccontata dai protagonisti dei films; così dopo i manifesti di un qualsiasi prodotto culinario, ecco i dècollage evolversi e usare come protagonisti le grandi icone globali dell’America pop, eroine del cinema, che hanno fatto sognare migliaia di persone in tutto il mondo. Ed è la bellissima Marilyn Monroe che emerge dagli strappi, dal togliere le strisce di carta attorno alla sua figura senza rovinarne l’immagine di diva intoccabile. Bella, forte, la sua sensualità è tutta lì in quello sguardo ammiccante, in quella posa così naturale e provocante, e come dice l’artista stesso: “Ognuno ha il suo mito, ognuno ha la sua icona, a me spesso domandano: – perché tu realizzi sempre il ritratto di Marilyn? – Perché Marilyn è un personaggio, non è semplicemente una bellissima donna, ma è anche una grande artista, sa recitare, cantare, ballare, ognuno ha il suo mito e il mio è Marilyn!”
Le immagini del circo invece, riportano un po’ tutti indietro nel tempo, quando acrobati e giocolieri erano davvero uno spettacolo, ora come allora è la fosforescente tigre gialla a dare spettacolo, lasciando intuire quanto di stravagante ed eccentrico ci fosse in quest’uomo che stava per essere risucchiato nel grigio di una vita d’ufficio di un qualunque impiegato del ministero delle poste (senza offesa per chi ama il grigio…ovviamente!)

Mimmo Rotella. Décollages e Retro d’Affiches. Palazzo Reale di Milano (13 giugno – 31 agosto 2014).

Foto:
http://www.mymovies.it/cinemanews/2014/108986/
(la tigre)