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Foto di Krzysztof Bieliński

GIULIA RANDONE | Le luci si accendono sul corpo nudo e coperto di sangue di una ragazza. Un istante di silenzio, poi la scena si affolla di personaggi e si mette in moto il processo investigativo che deve condurre l’ispettore alla risoluzione del caso. Una dopo l’altra si inanellano le tappe dell’indagine: dal ritrovamento del cadavere in un fosso alla periferia di una cittadina italiana, all’identificazione della vittima, una giovane di cosiddetta buona famiglia, dal rito di riconoscimento del corpo da parte dei genitori all’interrogatorio dei primi sospettati. Infine, l’individuazione del colpevole grazie a un testimone chiave e il trionfo della verità siglato dalla foto dell’assassino in prima pagina.
Il Teatro Drammatico di Varsavia si apre alla drammaturgia contemporanea italiana, accogliendo nel proprio repertorio Martwa natura w rowie, ossia Natura morta in un fosso, la pièce di Fausto Paravidino interpretata da Fausto Russo Alesi nel 2001 (regia di Serena Sinigaglia) e recentemente riproposta in una versione corale dalla compagnia torinese Nessun Vizio Minore (vd. recensione https://paneacquaculture.net/2014/04/01/nessun-vizio-minore-e-la-provincia-violenta/).
Anche l’allestimento di Małgorzata Bogajewska si affida a un ensemble di otto interpreti di buon livello che, giocando con le convenzioni del genere poliziesco, creano personaggi dai tratti marcati: l’ispettore arguto e l’aiutante un po’ tonto, la madre amorevole ma del tutto ignara della vita della figlia, lo spacciatore di professione, il giovane sballato, la prostituta cinica e il fidanzato vigliacco si alternano nel raccontare ciò che sanno e nel confidare allo spettatore ciò che preferiscono tenere nascosto. La vittima, Elisa Orlandi, interviene in questo mosaico di dialoghi frammentari e monologhi, per osservare e interagire silenziosamente con gli altri personaggi: in particolare, guarda divertita la madre e l’ispettore Salti confrontarsi con il senso di colpa e la pietà per la sua fine prematura e con il desiderio di capire che vita, in realtà, conducesse.
L’opera non si esaurisce nell’intrigo, negli sguardi sfuggenti e nei gesti sospettosi di una provincia annoiata e violenta ma, nelle intenzioni della regista, aspira a mostrare una incrinatura nel mondo che crediamo di conoscere, una spaccatura che costringa a fronteggiare paure più profonde.
E qui Bogajewska manca il bersaglio. Padroneggia discretamente la materia giallistica, ma non riesce a farci percepire le crepe che si allargano sotto la superficie dell’ennesimo episodio di cronaca nera. Vorrebbe afferrare qualcosa che sta tra ciò che è vivo e familiare e ciò che è incomprensibile, vorrebbe distillare il perturbante dalla morte, ma il suo sforzo si vanifica in scelte stilistiche incoerenti.
Nei materiali promozionali lo spettacolo è presentato come un giallo ispirato allo stile dei film di Guy Ritchie e Quentin Tarantino, e in effetti alcuni personaggi come lo spacciatore su di giri e ciarliero interpretato da Waldemar Barwiński ammiccano al pubblico come emuli del Vincent Vega di Pulp Fiction.
Tuttavia, fin dalle prime scene è un altro segno a richiamare maggiormente l’attenzione dello spettatore: il fondale è coperto da un lungo dipinto raffigurante un groviglio di figure antropomorfe, nude e con teste da coniglio, mentre sul palco si insinuano personaggi secondari, anch’essi con teste da coniglio, che tacciono o ghignano malignamente. Queste creature ibride sembrano uscite da Rabbits, il serial web di David Lynch, ma nello spettacolo questo innesto grottesco suona poco convincente. L’intreccio tra elementi realistici e soprannaturali fallisce del tutto e il personaggio di Elisa ne è la prova: non inquieta, non spaventa, non crea disagio, sembra posticcio.
Ad aggravare l’impressione di ambiguità stilistica dello spettacolo contribuisce la locandina: la madre, che in scena piange la figlia in composti abiti borghesi, è qui una femme fatale in veletta e giacca di paillettes, una Katarzyna Herman la cui raggelante sensualità è una forte leva all’acquisto del biglietto.