RENZO FRANCABANDERA | Blue Bird Bukowski è una drammaturgia di Riccardo Spagnulo ispirata alla figura del noto e trasgressivo poeta americano della beat generation morto vent’anni fa, diretta da Licia Lanera per il Teatro Abeliano di Bari, da poco diventato TRIC (in partnership con il Kismet).
I due giovani ma ormai affermati artisti, il cui sodalizio Fibre Parallele è uno dei maggiori esiti del teatro pugliese dell’ultimo decennio, lavorano qui non con il loro marchio di fabbrica, ma su una commissione che li vede replicare quella sempre fascinosa sfida di scrivere un nuovo testo e dirigerlo, affidandolo all’attore da sempre vicino alla tradizione della cultura popolare, spesso dialettale, e comunque da anni impegnato nella proposta teatrale farsesca e di commedia leggera, Vito Signorile, fondatore ed emblema del Teatro Abeliano di Bari, per trarne la meno frequentata corda tragica.
La drammaturgia: in una stanza obitoriale, un’infermiera (Mary Dipace) prepara la salma di un uomo (entrambi in scena all’arrivo del pubblico in sala) che giace sulla barella. La finzione teatrale riporta presto in vita il poeta estinto, in una trama che si basa su un gioco di doppio conflitto: il primo è quello che vede l’uomo imprigionare la donna nella stanza durante il suo turno di lavoro, il secondo è ovviamente quello di maggior respiro e struttura per l’evolvere del plot narrativo, che contrappone la vita dannata ed estrema di Bukowski alla noiosa ordinarietà della figura dell’infermiera, il cui tratto caratteriale è scorbutico e sguaiato. Due personalità solo apparentemente forti e la cui contrapposizione si lenirà pian piano in un avvicinamento, sulle note della fragilità umana. Più sbalzata, come immaginabile, la figura di Bukowski, la cui risoluzione ai fini scenici appare più definita di quella della sua complice-antagonista.
Lo spettacolo: Michele Iannone ambienta la vicenda in un angolo di stanza obitoriale spoglia. Oltre ad una porta che comunica con l’esterno sul lato diagonale convergente sinistro, due finestre sul lato opposto in alto, una barella e un piccolo comodino poggiaoggetti da ospedale con un cestino a fianco. All’inizio la barella è centrale, quasi a segnare l’altezza che dal vertice di scena cade verso il pubblico, e su cui giace il corpo del poeta. Nel seguito gli spostamenti della barella saranno funzionali alla creazione di ambienti e segneranno la partizione del testo.
Lanera sceglie per i suoi attori una recitazione capace di incorporare con naturalezza il registro anche poetico. Il duo di interpreti è affidato ad una coppia la cui logica di giustapposizione è sicuramente quella di amplificare le scelte sull’allestimento, affiancando alle atopicità di Signorile, quelle della Dipace, il cui trascorso attorale e laboratoriale l’ha portata più di frequente sul campo del teatro per ragazzi. Signorile nell’ora circa di pièce riesce a regalare una prova di particolare generosità, sbalzando una figura il cui dialogo con la vita in prossimità della morte, fra poesia, sesso e desiderio, si segnala per intensità spesso fastidiosa e morbosa, ma anche per un’inspiegabile fragile dolcezza che l’attore riesce a disegnare, cercando di spostare la cifra cromatica della sua paletta recitativa più praticata. L’operazione riesce in minor misura alla Dipace, attrice più dello stare in scena che di parola, complice anche una certa fragilità drammaturgica sul personaggio. La sua prova cresce nello spettacolo proprio perché nella seconda mezz’ora le viene affidato un compito legato maggiormente alla presenza, alla dinamica, all’emotività fisica e gestuale. Nella prima parte, ci pare di poter dire che il compito dell’interprete (ma anche della drammaturgia sul personaggio e della regia) abbia margini di crescita.
Si distingue nell’allestimento il disegno luci dell’artista dello sguardo Vincent Longuemare, una sorta di regia nella regia. Su questo elemento vale la pena spendere qualche riga, anche per come questo aspetto finisce per disegnare ambienti ulteriori sia scenici che emotivi. In particolare, Longuemare sceglie un’illuminazione interna al triangolo scenico con tonalità di verde ospedale, per esser chiari, mentre dalle due finestre in alto a destra fa filtrare una controluce arancione, quasi a rendere immaginabile l’inferno, ma visto dal limbo della pre-morte.
Vengono poi sistemati alcuni puntatori di particolare carica evocativa, come la luce fioca che per quasi tutto lo spettacolo illumina il piccolo vano poggia oggetti a destra della scena, e le luci sagomate che seguono la barella nei suoi spostamenti, creando di volta in volta luoghi emotivi, come i bellissimi fari orizzontali che in più di qualche momento dello spettacolo sfruttano le superfici oblique per proiettarvi ombre gigantesche delle due figure. Se la luce riesce ad assegnare significati e poetiche aggiuntive allo spazio, forse meno appuntito risulta il dialogo con il supporto sonoro, pur bello ed evocativo, di cui in alcuni tratti risulta però insistita l’apposizione didascalica a sostegno dei momenti di maggior pathos (più volte riproposta la traccia “Esteban, mi hijo” di Alberto Iglesias, che si ricorderà nella colonna sonora di “Tutto su mia madre” di Almodovar).