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Douglas Kirkland, Dustin Hoffmann, sd, Galleria civica di Modena

MARCELLA MANNI | Che una raccolta pubblica, come è quella della Galleria Civica di Modena, si interroghi sul proprio patrimonio, lo studi, lo recuperi e cerchi di portarlo come argomento, caso, occasione di studio è altamente apprezzabile.

Ancora più apprezzabile il tentativo di mescolare le carte, proponendo un dialogo tra cinema e fotografia, due mezzi che, anche se strettamente legati da un punto di vista tecnico e formale, hanno poi una distanza profonda, quasi siderale, quando si parla di diffusione, fruizione e produzione. La “fotografia animata” come è stato definito il cinema alle sue origini, deve appunto moltissimo ai fotogrammi che quella originaria pellicola andavano a comporre. Compito di fotografia e cinema “non è quello di imitare l’occhio umano, ma di vedere e registrare ciò che l’occhio non vede” ci dicono i primi teorici della fotografia, e questa è una riflessione quanto mai attuale.

La mostra, dal titolo decisamente azzeccato, The Cinema Show, compie uno sforzo proprio in queste due direzioni, da un lato parte da una raccolta esistente, composta in gran parte da ritratti di attori o registi del Novecento, dall’altro cerca di allargare il campo, l’orizzonte, proponendo una selezione più ampia di fotografie di autori che hanno avuto la vita professionale profondamente legata al cinema. Come si legge nella presentazione che introduce la mostra, lo storico dell’arte deve avere un approccio analitico, perseguire la valorizzazione dell’opera, ma anche facilitarne la fruizione.

C’è quindi un intento di mostrare sì, icone del cinema, ritratti che ci parlano di scene di film culto, di protagonisti passati alla storia, ma anche di guidare lo spettatore nell’osservare le fotografie, che meritano uno sguardo attento e che svelano molto più di quello che l’occhio vede, appunto.

Facile perciò scorrere i ritratti di Sofia Loren e Marilyn Monroe, o le immagini rubate, si fa per dire, da quelli che sono stati quasi una istituzione, un corollario fondamentale e necessario per la storia del cinema italiano e cioè i paparazzi. A loro si devono (e si trovano in mostra) fotografie di Anna Magnani rivista (o copione?) sottobraccio e cane al guinzaglio in via Veneto o le mai troppo viste fotografie di Audrey Hepburn durante le sue Vacanze Romane, un classico a dire poco. Più curiosa e inaspettata Rachel Welch che balla a piedi nudi sopra un tavolo, ma non per questo meno significativa di quel ‘backstage’ che sempre incuriosisce e sorprende il pubblico.

Meno scontate e più interessanti quelle che vengono definite le fotografie di scena, lavoro fondamentale per la regia e per la produzione, e in questo senso in mostra si trovano alcune delle prime fotografie di questo genere di cui si ha notizia (e copia conservata, che non è un dettaglio da poco) ad opera di Anton Giulio Bragaglia, datate 1916 sul set di Thais.

Non si può non essere grati a Enrico Appetito per la fotografia di Monica Vitti in Il deserto rosso e a Erich Lessing per riportarci con Gregory Peck sul set di Moby Dick di John Huston.

Ma non con il solo passato si può giocare al “ah ecco”, si trova anche la troupe de I cento passi a Palermo e, soprattutto, una surreale piscina di Cinecittà usata nel 2006 da Emanuele Crialese per Nuovomondo. Il gioco del riconoscimento è quello che viene più facile e istintivo, a volere essere quasi puntigliosi si potrebbe dire che la mostra è un po’ costruita come un elenco di ricordi alla Perec: a fronte di un elenco (o di un accostamento organizzato come in questo caso) ognuno è un po’ libero di immaginare, di pensare e appunto di ricordare questa o quella scena, questa o quella locandina, quel film che si è visto e quell’attore che ‘come era giovane’. Perché appunto, fedele a un genere, quello del ritratto, la fotografia porta ancora una dimensione condivisa e riconoscibile.

Operazioni di questo tipo, nel senso di costruzione di mostre, che giocano sul divismo, se così si può dire, del personaggio non sono nuove, ma spesso sono legate alla scoperta o ri-scoperta di archivi di famosi fotografi, e allora si estrapolano i ritratti degli attori o la fotografia quasi rubata, a suo tempo, del fuori scena casuale e distratto dei protagonisti. Diverso è il caso di questa mostra dove un certo uso strumentale della fotografia aiuta a rendere, o meglio a suggerire, gusti, mode e tendenze di epoche diverse. La mostra sembra voler quasi suggerire un ruolo della fotografia che, più che da depositaria di memoria, si pone con un intento amplificatore autonomo e indipendente. I divi che diventano icone, consacrati quindi grazie alla fotografia che “è ciò che rimane”. Forse non troppo convincente questo passaggio, se ancora le didascalie, precise e puntuali non solo su autori e date, ma anche nomi e luoghi dei ritratti o delle scene, ci ricordano che quello dell’archivio è ancora uno degli usi più sensibili al mito della componente di realtà dell’immagine fotografica, delle origini o contemporanea che sia.

The Cinema Show

A cura di Marco Pierini e Daniele De Luigi

Galleria Civica di Modena

Fino al 6 giugno 2015