unnamed-2EMILIO NIGRO | La parola a figurare scenari. Umani. Un’umanità che attraversa il palcoscenico. E non si vede. Si immagina. In un gioco spiccatamente teatrale: far vedere in assenza. Mostrare senza corpo, senza presenza. Per materia immaginifica. Materia vivida, incarnata per terzi. Con fisionomie, linguaggi, gesti, intenzioni a dirne ancora altri.
L’ora di ricevimento è costruito perché funzioni, questo gioco a teatro. Perché la parola ritmi, muovi la meccanica, sia dominus in scena. E gli attori non il mezzo per portarla in voce, o in gesti. Renderla plastica, piuttosto, darne vita, farne azione, scena.

La parola di Massini, un modello. Per struttura ed estensioni. Estetiche e profondità. Senso e intrattenimento. Certo, l’opera su commissione premette, per circostanza, dei confini. Dettami. E la costrizione si avverte, ogni tanto, in un cucito perfetto senza troppo evadere. Un circuito senza inceppi. Modellato da una regia di mestiere. Espressionista. Forse un po’verista. Anche cinematografica, per ovvie ragioni. Ma capace di non lasciare spazio, a vuoti o intercessioni dubitanti. Nemmeno a licenze o autonomie. Un meccanismo insieme rigoroso e fuorviante. Concreto e astratto. Mirato, ad attingere (dalla parola) e ricreare. Perseguire e innovare. Mestiere, insomma. Nulla da eccepire.

L’attore, primo, un volto noto. Tecnica sopraffina e talmente in agio da non distogliere l’attenzione dalle sue movenze, dalla sua prova. Anche se la scena è affollata o occupata da un dialogo altro, un duetto formale, una situazione in cui è chiamato ad “assistere”, rimanendo brechtianamente sul campo d’azione. La cellula vitale è lui. Bentivoglio. Pedagogo in scena, per attori desiderosi di farsi vedere. Ad alcuni riesce. Riesce pure di mimetizzarsi con schiettezza, da provvedere al naturalismo voluto creando osmosi. Ad altri riesce poco. Troppo impegnati a mostrare il piumaggio, tipico di una giovinezza, in termini di presenze sul palco, che li rende famelici. Nel complesso il gruppo attoriale regge a meraviglia il richiesto. Si distinguono anche individualità, cosa non da poco nelle prove cui si è chiamati a soddisfare il compito. Segno di libertà concessa o conquistata e di non omologazione.

unnamed-1E lo spettacolo si confeziona. Intelligente e godibile. Universale e sfaccettato. Con contenuti, senza troppa morale o trame intricate, piuttosto sbirciando su un’umanità variopinta: una classe di una banlieue ai bordi di Tolosa, di cui i tratteggi psicosomatici approdano in platea, più o meno profondamente, per il cinismo del suo insegnante (Bentivoglio), e le attitudini culturali dei genitori. E tra le righe riflessioni semitiche. Sullo sfondo, lasciato apparire da un sipario movibile prima del fondale (suggerimenti drammatici), l’ombra di un albero. Il fuori. Che muta. E fa mutare anche dentro. Dentro la scena e dentro i corpi. Uguali a sé stessi o determinati da circostanze sociali, etniche, culturali, religiose. E uno sguardo. Adulto. A educare. Senza troppo distinguere. E una moltitudine di sguardi. Da questa parte. Senza possibilità di giudizio. Quando il teatro non sentenzia. Ma lascia porte aperte.

 

L’ORA DI RICEVIMENTO

Banlieue

 

di Stefano Massini

regia Michele Placido

con Fabrizio Bentivoglio

e Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti

scena Marco Rossi

costumi Andrea Cavalletto

musiche originali Luca D’Alberto – voce cantante Federica Vincenti

luci Simone De Angelis

una produzione Teatro Stabile dell’Umbria

si ringrazia Fondazione Brunello e Federica Cucinelli

Visto al Teatro Sociale, Brescia, il 20.01.2017