photo-©-Giuseppe-Distefano-DSC_8953_3RENZO FRANCABANDERA | Dura ormai da un decennio l’avventura di CollettivO CineticO e di Francesca Pennini coreografa. È stato un tempo che ha portato a riflessioni diversissime, che riguardano tanto il linguaggio coreografico quanto i luoghi in cui lo si utilizza. Eppure un filo lega tutto, ed è un interesse sottile per la deformazione fino al limite della rottura, l’anatomico al limite dell’anatomia patologica. Già gli spettacoli di esordio, dai titoli evocativi come Liberati del tuo alluce o XD scritture retiniche sull’oscenità dei denti, rivelavano un sorprendente sguardo indagatore sull’arte e sulle varie forme di umano esibizionismo, osservati con occhi impietosi e a tratti crudeli.  E dell’uomo, attraverso l’uso di specchi deformanti, arrivavano a restituire l’essenza animale profondissima, legata al senso biologico del vivere  prima ancora che alla sua dimensione raziocinante.

Il repertorio di coreografie e di performance di CollettivO CineticO può essere complessivamente interpretato come un corpus fatto di elementi molto diversi, ma riconducibili in fondo ad un’idea rigorosissima di pensiero “ludoscenico”, inteso come contenitore di quella grammatica del gioco che tanto bene descrisse Huizinga in un suo celebre saggio, intitolato Homo ludens.
Sylphidarium da questo punto di vista è probabilmente la summa delle riflessioni svolte fino a questo punto. L’opera del decennale pare incorporarle, persino, in una sapiente architettura del riuso, che non getta via il passato, ma lo rielabora nella costruzione del presente: la rarefatta e simbolica estetica di 10 miniballetti e le sue considerazioni sullo spazio che si uniscono alla parata umana di Age; la rilettura out of the box del classico, come in Hamlet, che diventa qui nuovo gioco rispetto ad un momento fondante e archetipico del linguaggio della danza moderna e contemporanea, nel confronto a distanza con la musa ottocentesca del ballo sulle punte, Maria Taglioni, e il suo spettacolo manifesto, La Sylphide.

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Qui di danza sulle punte non v’è quasi traccia, ma probabilmente il ragionamento a suo modo rivoluzionario di CollettivO è proprio nel pensiero sul codice, sugli elementi fondanti la sua declinazione contemporanea.
Dalla favola nordica che diede origine al balletto e che sa di elfi e creature mitologiche della natura non resta che una divertente lettura iniziale, mentre il palcoscenico è foderato di bianco ed abitato a sinistra dai musicisti che eseguono le musiche dal vivo , e a destra da una serie di attaccapanni cui sono appesi decine e decine di improbabili abiti di scena.
I danzatori-performer per due terzi dello spettacolo daranno vita ad un frenetico e continuo cambio d’abito, una sfilata di moda coreografata con l’esibizione di tipi paraumani, di bestialità antropomorfe capaci di suggestionare la fantasia dello spettatore senza mai risolversi in una vicenda. La parata, sovrumana e fantastica, è fatta di figure via via sempre più surreali, fiabesche, fra kilt scozzesi a tute di latex dal sapore vagamente bdsm. Questo tono non di rado erotico è giocato sui ruoli e i personaggi della fiaba iniziale con combinazioni coreografiche che gli otto giovani in scena definiscono, andando avanti e indietro, avanzando come modelli in passerella, per fermarsi alla soglia del proscenio quasi ad aspettare qualche foto, per poi tornare nell’universo fantastico e assurdo che li ha partoriti.

photo-©-Giuseppe-Distefano-DSC_7079_4.jpgGiocando sulla differenza fra maschile e femminile del sostantivo silfide si propone poi via via una metaforica autopsia del balletto, essendo, i silfidi, coleotteri che vivono dentro corpi di vertebrati morti, e che non di rado vengono usati nelle autopsie per capire da quanto tempo è avvenuto un decesso. I corpi in scomposto e scomponibile movimento diventano metafora di un mondo che non c’è più, eredità distorta del fiabesco danzare sulle punte, di cui null’altro resta se non la corrotta sfilata di esseri tutti diversi, mai coinvolti in una coreografia che abbia alla base un apparente concetto di ordine plastico minimamente riconducibile all’ordine romantico. Anzi, è tutto in qualche modo disturbato, come le notevolissime musiche proposte in esecuzione live composte da Francesco Antonioni ed eseguite dal musicista accompagnato dal violino di Marlène Prodigo e dalle percussioni di Flavio Tanzi, in dialogo con le partiture di Chopin, autore oltre un secolo fa delle musiche poi utilizzate nella ripresa del balletto Lei Sylphides di inizio Novecento. Un intreccio di metacitazioni su più livelli, da quello coreografico a quello musicale, in un contesto visivo abbacinato dal bianco fondale scavato dalle luci iper-realistiche del light designer Fabio Sajiz.

article-0-04BA63DD000005DC-705_468x660.jpgLa copertina patinata per sua natura rimanda al mass mediatico televisivo e a quell’altro uso non meno distorto e parossistico della danza come metodo per espellere tossine, usato da Jane Fonda nei suoi celeberrimi rituali ginnici che portarono l’America alla devastante scoperta dello scaldamuscolo.

Sylphidarium, con le otto presenze sceniche che in nome di Maria Taglioni si offre nel concludersi alle tribalità della Fonda in un travolgente finale che trascina il pubblico per i capelli verso il senso del ritmo più profondo: una resa alla corruzione  dei linguaggi, al loro mutamento transgenico, al quale sopravvivono le specie più adattabili, quelle che appunto sono capaci di nutrirsi dei cadaveri. E l’arte da sempre fa esattamente quello che fanno i coleotteri silfidi, mangiano i simboli e i rituali per deporre nella carne putrescente del Caravaggio moribondo le uova per l’inarrestabile ciclo vitale. Silfide genera Silfide. Che parentela c’è fra la Pennini e la Taglioni? Forse uno stesso amore per la vita nel senso del nuovo respirare arte, il potersi dire creatore di una novità, di uno scalino, di un passaggio, con il coraggio di farlo in forma libera e senza guardarsi indietro, con l’istinto animale di chi senza scrupolo e riverenza si nutre di quanto è esistito (che sia Shakespeare o il balletto Ottocentesco) per provare ad esistere e resistere.
Sylphidarium è uno spettacolo a suo modo fantastico, sia nel senso dell’ambientazione mentale che del tentativo semiotico di restituire il senso della corruttela del linguaggio ed in questo momento è quanto di meglio abbia da offrire la scena italiana, con ricerche di stampo più profondamente ibrido: pensiamo a CollettivO o ad Alessandro Sciarroni, come a profondità diversissime negli esiti ma probabilmente le uniche in questi anni in grado di valicare il confine nazionale con una densità animalesca ma soavemente intellettuale, abili ad arrivare a parlare oltre la lingua, oltre la parola. Come aveva fatto Castellucci vent’anni fa. E non è un caso che siano tutti artisti, nel loro diversissimo attraversamento generazionale, ospiti della stagione della Triennale di Milano, che unica nel suo genere guarda all’arte nell’evolvere dei suoi codici, delle sue grammatiche, delle sue declinazioni più cannibalesche.

 

SYLPHIDARIUM – Maria Taglioni on the ground
concept, regia e coreografia Francesca Pennini
musiche originali Francesco Antonioni
azione e creazione Simone Arganini, Margherita Elliot, Carolina Fanti, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Francesca Pennini, Stefano Sardi, Vilma Trevisan
violino Marlène Prodigo
percussioni Flavio Tanzi
disegno luci e tecnica Fabio Sajiz
co-produzione CollettivO CineticO, Théâtre de Liège, Torinodanza, Festival MITO
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, L’Arboreto -Teatro Dimora di Mondaino – CANGO Cantieri Goldonetta Firenze

un progetto Triennale Teatro dell’Arte e Teatro Franco Parenti
durata: 80’