RENZO FRANCABANDERA |L’incontro con il linguaggio scenico di Katie Mitchell ha una dimensione spiazzante per il fruitore della scena. La commistione spuria che avviene sul palcoscenico fra arte teatrale e cinematografica ha un portato che lascia uno spazio quasi equivoco, ambiguo in entrambi i linguaggi.
Il pubblico italiano ha avuto la possibilità di confronto con questa regista, attiva da molti anni nel centro Europa grazie alla tournèe di La maladie de la mort, che ha toccato Torino, Prato e Bologna (Arena del Sole, dove abbiamo visto lo spettacolo).

Tratto da Testi segreti lo spettacolo si ispira a un piccolo scritto del 1982 di Marguerite Duras, inserito in una pubblicazione che si compone di tre brevi racconti, L’uomo seduto nel corridoio, L’homme atlantique e, appunto, La maladie de la mort. Si tratta di tre scritture che, pur diverse, mantengono una intonazione piuttosto convergente verso atmosfere decadenti ed erotiche, in cui rapporti di coppia logori, al bordo fra amore, morte, pornografia e violenza, sviluppano trame invero asfittiche.
Del secondo, peraltro, la Duras stessa aveva già realizzato un mediometraggio l’anno precedente (fruibile di seguito).

In tutti questi anni la Mitchell ha esplorato con costanza un codice espressivo racchiuso attorno a una compresenza di due medium che, basati sullo sguardo, sulla visione, non possono che convivere in una dimensione alternativa, sebbene offerti al pubblico in compresenza, e idealmente, in possibilità di visione contemporanea

Nell’analisi dello spettacolo che già Laura Bevione ha redatto per PAC si evidenzia già come

Attore e personaggio si sdoppiano e occupano nello stesso momento il palco e l’occhio dello spettatore, coinvolto in una situazione quasi pirandelliana e, dunque, stimolato a riflessioni non soltanto sul contenuto del play quanto pure sulla sua dichiaratamente “finta” messinscena.

L’intelligenza registica di Katie Mitchell è proprio nella sua capacità di creare un microcosmo del tutto credibile dichiarandone allo stesso tempo la natura palesemente artificiale: una “verità” che, anziché sottrarre emozione e riflessione allo spettacolo, le sottolinea ulteriormente, ritraendo con gelido ma struggente pathos la fatica e il sacrificio di sé richiesti dall’amore e, dunque, dalla vita.

RP1Le vicinanze della regista alle tematiche del femminile contemporaneo sono sempre state vive e presenti. Eravamo rimasti colpiti una decina di anni fa durante il Berliner Festspiele dal Wunschkonzert diretto dalla Mitchell sulla drammaturgia di Franz Xaver Kroetz (prod. Schauspiel Köln), in cui una superba Julia Wieninger raccontava una estrema solitudine al femminile, accompagnata allora da un sostrato sonoro rumoristico e di musica eseguita dal vivo.

Questi elementi di iperrealismo cinematografico (che rimanevano ad esempio nel La Signorina Julie di Strindberg, prodotto da Schaubühne Berlin che abbiamo visto ad Avignone nel 2011 – di seguito la mia video intervista alla regista in quella occasione) sembrano ora lasciare spazio a una ruvidità scenico-umana che non ammette edulcorazioni sonore, abbellimenti, sostegni estetici di contrappunto.

Finanche Jasmine Trinca, voce narrante off dello spettacolo, è racchiusa in una cabina quasi a isolarla in un fuori dal quale arrivano più che narrazioni, suggestioni emotivo-ambientali che restano appunto esterne a un microcosmo claustrofobico e tutto umano. L’esterno è quasi privo di vita. Un luogo in riva al mare dove le presenze degli altri sono sporadiche, episodiche.

La vita dei personaggi della Mitchell è tutta in spazi interni, reclusioni. La meticolosa cura iperrealista con cui sono ricreate queste stanze quasi fossero case di bambola in cui si agitano esistenze infelici, trasformano queste vite letterarie, drammaturgiche, in assoluti dell’incomunicabile, dell’inconfessabile.

La riscrittura del testo della Duras affidata ad Alice Birch, definisce e specifica, rispetto al breve racconto della scrittrice, la circostanza per cui la donna che viene pagata dal protagonista maschile della vicenda sia una prostituta, giovane madre vedova di un uomo morto suicida e di cui la figlia ha trovato il corpo. Questa vicenda viene accennata, nella dimensione filmica del racconto, mentre sul palco algidi cambi scena ci rivelano le interiora della macchina teatrale, lo stomaco e l’intestino dell’azione scenica, privata, sotto gli occhi dello spettatore di ogni poesia, di ogni possibilità concreta di empatia. Un gioco quasi brechtiano, in cui però il dramma assume una sua ulteriore crudezza.

La Maladie de la Mort - Teatro Carignano, Turin 2018
Ph Stephen Cummiskey

Tanto la macchina scenica quanto la depressione erotica dell’uomo arrivano a spogliare la relazione umana di ogni fingimento emotivo, portandola al limite di un abbrutimento quasi omicida, a cui la donna, portatrice comunque di un’umanità vitale, che arriva da fuori, non potrà portare soccorso.
Il concetto di spettatore, già esasperato nella sua funzione doppiamente voyeuristica, in questo spettacolo si incrementa ulteriormente per il suo ricercare pornografico con il computer del protagonista, per la nudità dei corpi, per il bagno della stanza d’albergo che nella scena non è a vista.

Lo spettacolo, crudo e aspro, non ha pretesa di piacere. Non ha nelle sue corde questo sentimento empatico. Crea il concetto di una animalità umana spiacevole e rassegnata, che l’amore non può guarire. Se l’intento registico ha questa portata, non nuova alle sfumature concettuali della tavolozza della Mitchell, lo spettacolo ha una sua riuscita diremmo completa.

 

LA MALADIE DE LA MORT
libero adattamento dal romanzo di Marguerite Duras

regia Katie Mitchell
adattamento Alice Birch
regia video Grant Gee
video design Ingi Bekk
scene e costumi Alex Eales
luci Anthony Doran
musiche Paul Clark
sound design Donato Wharton
interpreti Laetitia Dosch, Nick Fletcher, Jasmine Trinca

produzione Théâtre des Bouffes du Nord ; in associazione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Théâtre de la Ville – Paris, Théâtre de Liège; in coproduzione con MC2 Grenoble, Edinburgh International Festival, Barbican London, Stadsschouwburg Amsterdam, Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Metastasio Prato, Tandem Scène Nationale; in collaborazione con With Mayhem