FRANCESCA CECCONI | Il sipario si apre lentamente su una scenografia dalle tonalità calde, che sin da subito ci accoglie in un interno domestico, dove un uomo è intento a cucire un grande abito. Questa la prima immagine di Pollicino non ha paura dell’orco, in scena presso il Teatro Stimate di Verona, al quale assistiamo, piacevolmente colpiti, insieme a un folto gruppo di bambini vocianti ed entusiasti.

La storia di Pollicino abita spesso la scena: alcune esperienze ve le abbiamo testimoniate sulle pagine di PAC, come in occasione della rassegna Maggio all’Infanzia – che vedeva, nella sua fitta programmazione, il riadattamento teatrale della celebre fiaba in una produzione Teatro della Tosse/Teatro del Piccione – o della versione Buchettino ideata da Romeo Castellucci, Chiara Guidi e Claudia Castellucci.

pollicino non ha paura dell'orco 2Si tratta, evidentemente, di un testo che si presta bene alla scena con alcuni leitmotiv che ne permettono, d’altro canto,  studi e analisi di tipo antropologico e di educazione all’infanzia. Nella storia di Pollicino, infatti, si è soliti intravedere il superamento della, così denominata da Freud, fase orale (Sigmund Freud, La sessualità). Il costante riferimento al cibo, come avviene del resto anche in Hänsel and Gretel, viene, a un certo punto della narrazione, messo in secondo piano da Pollicino per favorire l’utilizzo della propria intelligenza al fine di comprendere il mondo che lo circonda. Il bambino, come strumento di conoscenza, è solito utilizzare la bocca per comprendere e analizzare ciò che gli viene posto d’innanzi (S.Lebovici, Michel Soulé, La conoscenza del bambino e la psicoanalisi). Non è un caso se i genitori stiano sempre attenti affinché i propri figli non mettano alcuni oggetti pericolosi in bocca, attività che nei primi mesi di vita fanno costantemente proprio per esplorare e conoscere.

È in questo preambolo che va a inserirsi il riuscito allestimento di Pino Costalunga, in scena insieme a Enrico Ferrari (spettacolo prodotto da Fondazione Aida), dove più volte il cibo e il termine “mangiare ” vengono utilizzati dai personaggi in scena. L’ossessione del cibo è onnipresente nella storia: dalle prime scene in cui i genitori abbandonano i propri figli poiché non hanno più possibilità di mantenerli alla continua minaccia dell’essere ingurgitati dall’orco cattivo; dal cibo che la matrigna tiene nascosto in grembo a salsicce utilizzate come mezzo di scambio.

Quando nel bambino si va superando la fase orale, inizia l’osservazione e la visione del mondo attraverso gli altri sensi. Tutto questo gli permettedi utilizzare la propria intelligenza al fine di discernere quale sia la migliore soluzione per oltrepassare gli ostacoli che la vita gli pone davanti. È così che il piccolo Pollicino, una volta che i genitori lo lasciano solo nel bosco, cerca di ritornare a casa, da prima, con dei sassolini, poi privandosi del cibo – le celebri briciole di pane – e utilizzando il proprio ingegno – aggirando l’orco.

pollicino 4C’è un altro tema fondamentale che questa fiaba esemplifica, ossia il superamento della paura, quel senso di abbandono che nei piccoli è sempre presente, soprattutto nelle prime fasi della vita. Pollicino, a causa della povertà in cui la famiglia vive, viene abbandonato più volte all’interno del bosco e in queste situazioni riesce ad attuare un cambiamento interiore e comprendere quale siano le scelte migliori per poter superare le sue terribili condizioni. Il concetto legato alla paura dell’abbandono è molto forte nei bambini, soprattutto durante il periodo in cui avviene l’ingresso alla scuola dell’infanzia, spesso interpretato dal fanciullo come un turbolento distacco dal genitore.  La storia di Perrault, allora, esorcizza il sentimento, riponendo fiducia nel protagonista della storia, che non a caso è definito con il diminutivo “Pollic-ino”, proprio a indicare una fase “iniziale” della sua vita. Nonostante tutte le difficoltà, egli riesce a valicare le proprie paure e addirittura a scappare dalle grinfie di un orco cattivo che vuole mangiarlo.

Anche in questo allestimento di Costalunga va ben delineandosi il filone del superamento dell’abbandono e, di conseguenza, della paura, partendo proprio dal titolo dello spettacolo: Pollicino non ha paura dell’orco.

Dal punto di vista drammaturgico, si ha un ritorno del giovane protagonista sui propri passi, come a voler affrontare nuovamente, in una seconda fase della vita, le sue grandi paure cercando di analizzarle e sconfiggerle un’altra volta.
Pollicino è diventato grande e decide di tornare nel bosco per riconsegnare all’orco cattivo una valigia di denari e gli stivali, che gli aveva sottratto durante il loro primo incontro. L’orco è divenuto un vecchio sarto, che si diletta nel confezionamento di vestiti per principi e conti delle zone limitrofe.
fotopollicino_2Attraverso un meccanismo  metateatrale, Pollicino e il sarto si ritrovano a ripercorrere i punti salienti della fiaba originaria di Perrault, con qualche variazione che punta a modernizzarla.
L’orco si tramuta così in una specie di rock star con cresta arancione, occhiali da sole e giacca di pelle, che gli arriva ai piedi, dilettandosi in gorgheggi sonori con una canzone creata per l’occasione da Ian Lawrence Mistrorigo. Pollicino, invece, è cresciuto e, per raccontare il suo personaggio all’interno della storia, utilizza un pupazzo che lo rappresenta, senza mai dargli voce, semplicemente appoggiandolo su un mobile o su una sedia e rivolgendosi a lui in terza persona.

La scenografia di Marigilda Pisan è composta di pochi elementi: un separè dietro al quale gli attori vanno a cambiarsi per mutare personaggio, una lavagna su cui vengono presi appunti e disegni, una macchina da cucire (che alla bisogna diventa un carretto) e una piccola panca.

In scena, tutto è manovrato e realizzato dai soli due attori, che si ritrovano a interpretare tutti i personaggi: dal padre alla matrigna, dall’orco a Pollicino. La caratterizzazione dei personaggi permette ai bambini di seguire perfettamente la storia, senza confonderli. Divertente la soluzione adottata per rappresentare i sette fratelli di Pollicino: il corpo è realizzato con bottiglie in vetro e la testa con tappi in sughero. Attraverso abiti e accessori gli attori “vestono i panni” dei personaggi, camuffandone ora le voci ora la camminata, regalando risate e divertimento.
L’intero universo fiabesco è rappresentato, per un verso, dal teatro di narrazione, per l’altro, attraverso la scena agita. Non mancano anche alcuni inserti di teatro di figura: ora con il piccolo Pollicino, ora con l’inserimento ex novo del personaggio del serpente, che Costalunga indossa “a guanto” e fa interloquire con il giovane protagonista, divenendone l’aiutante magico, quel fondamentale aiuto nei confronti dell’eroe nel perseguimento della propria ricerca/lotta, come descritto da Vladimir Propp nel suo volume Morfologia della fiaba (1966).

Una commistione di generi che si adatta ai giovani spettatori, sempre più stimolati da opere multitasking, che richiedono una continua attenzione e coinvolgimento al fine di sottrarli per qualche ora dall’audience della televisione o dallo schermo di un pc. Su questo aspetto si inserisce la bella chiosa che Costalunga rivolge al suo pubblico al momento degli applausi, quando, regalando il suo ultimo inchino, ringrazia i piccoli spettatori poiché, in quella domenica pomeriggio, hanno abbandonato per qualche ora un orco televisivo per uno teatrale. E aggiungiamo: così vivo e magico.

 

POLLICINO NON HA PAURA DELL’ORCO

drammaturgia e regia Pino Costalunga
con Pino Costalunga e Enrico Ferrari
produzione Fondazione Aida
in collaborazione con Glossa Teatro
musiche originali Ian Lawrence Mistrorigo
scene Marigilda Pisan
pupazzo Manuela Simoncelli
costumi Antonia Munaretti
luci e fonica Andrea Venturelli

Fascia d’età: dai 4 anni