GIORGIO FRANCHI | Volti coperti da maschere da Salvador Dalì, nomi in codice presi da città da ogni angolo del mondo. I personaggi di La casa di carta sembrano un bizzarro costume da Arlecchino, composto da pezzi di stoffa pescati alla rinfusa tra gli scarti di una sartoria: impossibile, osservandoli, capire quale fosse il loro scopo originale. Nella serie Netflix campione d’incassi una banda di ladri, per passione o per necessità, sfida l’autorità nazionale rapinando le casse dello Stato. La seguiamo mentre spara contro la polizia, minaccia i dipendenti della zecca, sfonda la porta blindata del caveau con la dinamite. Quando finalmente riesce la costruzione del tunnel per uscire dall’edificio, circondato dall’esercito, i membri festeggiano gettando in aria le banconote appena stampate e cantando una canzone in italiano: non Faceva il palo di Jannacci e nemmeno Ladri di biciclette di Baccini, bensì Bella Ciao.

Non serve essere il principe dei moralisti per rimanere spiazzati sentendo una canzone di resistenza intonata da gente che, per il resto della serie, sequestra ottanta persone per rubare del denaro che servirà a farsi una nuova vita alle Fiji. Il parallelismo tra otto disperati in lotta contro il sistema che ha distrutto le loro vite e i partigiani che combattevano il fascismo è troppo fragile per non far pensare a una scelta che privilegiasse l’orecchiabilità piuttosto che l’accuratezza storica. La colonna sonora ottiene un successo spaventoso. La suonano, in un remix hardstyle, i producer e dj Hardwell e Maddix al Tomorrowland, festival belga di musica elettronica che nel 2018 ha raggiunto i 400.000 spettatori; il video su Youtube conta 26 milioni di visualizzazioni e quasi 7000 commenti.

Non è la prima volta che avviene una cosa del genere. Già nel 1994 la coppia Max Monti – Mauro Pilato, dj della golden age di Riccione, rilasciava il singolo Gam Gam, pilastro dell’italodance anni ’90 con tutte le carte in regola: cassa dritta, bassi a palla, hi-hats, voci in loop e una di quelle melodie, semplici e per questo efficaci, in grado di far ballare la pista per ore.

Peccato che il pezzo sia il remix di una canzone di Elie Botbol, il cui testo racchiude i versetti del salmo 23: «Gam Ki Elekh / Beghe Tzalmavet / Lo Ira Ra / Ki Atta Immadì», che in italiano significa «Anche se andassi / nell’oscura valle / non temerei alcun male / perché Tu sei sempre con me». Proprio per il significato del testo, che ricorda la speranza del popolo ebraico durante l’orrore nazista, la canzone viene tradizionalmente cantata dalle scolaresche in occasione della giornata della memoria. La celebre versione di Ennio Morricone, uscita un anno prima di quella dei due dj, nasceva come colonna sonora del film Jona che visse nella balena, con la regia di Roberto Faenza.

Mancavano ancora undici anni al primo Tomorrowland, ma la canzone è ugualmente rimbalzata da un locale all’altro. Ancora oggi la si può sentire nei cori da stadio, assieme a Seven Nation Army dei White Stripes che chi ha seguito i mondiali del 2006 ricorda come “Po poropo po po po”; curioso pensare che certi gruppi ultras sono covi di antisemiti, evidentemente inconsapevoli del significato della canzone. Ma non è tutto: anche il trio Aldo, Giovanni e Giacomo ha ripreso la canzone per il personaggio di Tafazzi che, per chi non lo conoscesse, è il protagonista di brevi sketch in cui non fa altro che prendersi a bottigliate sull’inguine. Cantando Gam Gam.

L’epoca del remix, del collage, della citazione è anche l’epoca in cui si punta di più il dito contro l’assenza di memoria, la non percezione di ciò che eravamo e da dove arriviamo. È più attuale che mai la celebre frase di Karl Marx «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa», non fosse che la farsa rischia di diventare una seconda tragedia. Un sondaggio compiuto dal sito Skuola.net rivela che il 42% del campione di 3000 studenti di elementari, medie e superiori non conosce Liliana Segre e il 33% non sa dove si trovi Auschwitz.

Dimenticare, su questo non ci piove, è sempre sbagliato; in questa epoca di ritorni alle fantasie di certi nostalgici lo è ancora di più. Si può concedere il beneficio del dubbio agli autori dei remix anni ’90, ma oggi, per ritrovare l’origine di una canzone, bastano cinque secondi su Google. Che in trenta episodi da tre quarti d’ora di una serie non siano stati trovati due minuti per raccontare l’origine di Bella Ciao è un segnale preoccupante sul senso che oggi si dà alla memoria del passato.