RENZO FRANCABANDERA e ARIANNA LOMOLINO | AL: Sulle sorti di Odisseo si è nutrita la letteratura di tutti i tempi generando immaginari, producendo interpretazioni moltiplicatesi in una miriade di letture e riletture che dal mito hanno attinto per restituire, nei casi più fortunati, ritratti capaci di descrivere i sentimenti più intimi dell’animo umano: succede anche in Itaca per sempre di Luigi Malerba, pubblicato nel 1997, un lungo racconto che vuole dare voce allo sgomento provato da Ulisse e Penelope nel momento del ricongiungimento. Un sentimento che, insieme al dubbio, entra a far parte della storia; una storia in cui la figura femminile assume una nuova posizione narrativa centrale che mette in moto il meccanismo su cui si struttura la trama.
In questa riscrittura Penelope riconosce il suo sposo, o meglio, ammette di riconoscerlo, e non accetta – forse non comprende – la finzione dietro cui Ulisse si nasconde, a sua volta combattuto per la delusione delle aspettative nutrite durante il suo lungo peregrinare. Malerba, come altri autori, da Dante a Cesare Pavese, storicizza la parte del mito per parlare dell’amore oggi; i suoi Ulisse e Penelope sono personaggi senza scampo dalla modernità, rosi dalle insicurezze, vittime del loro stesso narcisismo e del lancinante dubbio in cui affondano le radici di questa versione della vicenda.

RF: I personaggi distillati da Malerba hanno però la volontà di andare oltre gli stereotipi a cui la letteratura li ha condannati: la passione irrefrenabile per il viaggio, la calma astuta l’uno, la pazienza, l’attesa senza domande l’altra. Una sorta di tentativo di sfuggire la tipizzazione – più letteraria che reale – degli esseri umani. Un tentativo di umanizzazione dell’eroe per un verso e di restituzione della complessità del femminile, quasi che le virtù e i vizi dell’una figura si riversino e si riconoscano anche nell’altra. La sintesi dei due dovrebbe ricomporre l’unità della maturità nella vicenda umana. L’età dei bilanci.

AL: Nella scrittura per la scena di Itaca per sempre firmata da Maria Teresa Berardelli sfiducia e scetticismo guadagnano terreno a ogni battuta, sul limitare di ogni pausa, insinuandosi finanche nell’uditorio. La suggestione malerbiana accolta nella drammaturgia si riassume nella scissione dei due personaggi, tratteggiata attraverso un dialogo come a quattro voci, dove a un confronto diretto si alterna l’esternazione del lavorio interiore di ciascuno. Una partitura ben orchestrata tra ciò che viene espresso e la censura dei sentimenti, tra il noto del mito e l’ignoto dell’umano; il pubblico stesso a tratti potrebbe dubitare di conoscere le sorti dei protagonisti che, ormai dotati del libero arbitrio, potrebbero prendere qualunque decisione, anche la più inaspettata.

RF: Questa caratteristica straniante, per altro verso, si abbina a un tranquillizzante ripercorrere le vicende dell’Odissea nei suoi passi più noti circa il ritorno di Ulisse ad Itaca, che consentono di avvertire da subito familiarità con il narrato, fino a incontrare, in qualche punto, anche un po’ di didascalia nell’accessibilità del linguaggio cui è affidata la riscrittura drammaturgica. La trasposizione scenica sceglie, per questo accoglimento della memoria collettiva di una delle vicende più note della letteratura di sempre, un allestimento di grande semplicità ma anche di particolare efficacia, che nasce da una felice combinazione di luci ed elementi scenici, composti dentro uno spazio molto ben pensato e messo a disposizione della regia.

AL: La messinscena si affida a un senso geometrico presente peraltro nei movimenti stessi degli attori, interrotto dal fluttuare di leggere tende bianche sul fondale e dal muoversi dell’acqua in acquari privi di vita, abitati da oggetti caduti nell’oblio. L’atmosfera è livida, da naufragio, merito anche delle luci di Javier Delle Monache che ben si incontra con la scenografia di Luca Brinchi e Daniele Spanò.

RF: Come è facile intuire, la questione ambientale è tutt’altro che secondaria. L’antico velo, il tema dell’acqua, del viaggio, di tutto il sistema simbolico di quello che ci portiamo dentro come comunità del tempo presente del mito classico è tutt’altro che banale e diventa in questo caso uno degli elementi di successo del lavoro, a mio avviso, abbinando, come succede anche per i costumi di Marta Genovese, elementi moderni a riferimenti all’antico. All’immaginato.
In questo spazio ispirato e ispirante si muovono le scelte della regia e le azioni degli interpreti.

AL: La regia di Andrea Baracco è incalzante, decisa, complice della consapevolezza scenica dei due attori. È lucida l’interpretazione di Woody Neri nel passare da una preoccupata diffidenza all’esaltazione del massacro, il suo Ulisse è un eroe moderno e cupo, che come ultimo atto (anti)eroico sceglie di rassegnarsi. Più cauta la Penelope di Maura Pettorruso, che restituisce un personaggio forte, sì, ma ancora drammatico.

RF: Nella sostanza il lavoro trova un suo equilibrio nel recitato, che riesce finanche ad attribuire forza al testo: merito delle interpretazioni e delle scelte di Baracco che consentono a ciascun attore di valorizzare i propri elementi di forza, ma anche di accettare qualche sfida, per regalare all’allestimento le giuste temperature nel passaggio tra i piani psicologici che i protagonisti attraversano.
Forse da equilibrare, rispetto al debutto, alcuni livelli di intensità scenica fra l’Ulisse, nelle scene in cui è all’apice della sua forza, e la Penelope “lamentosa“. Ma sicuramente il proseguire delle recite favorirà la composizione del dialogo a due voci e il suo intrecciarsi con le psicologie dei soggetti. A questo scopo risultano utili anche alcuni piccoli momenti di voci off, che da subito chiariscono la distinzione fra l’introspezione e la relazione dei personaggi con il mondo esterno.
La recita, che dura un’ora circa, è ben composta, non ha momenti di flessione, ha un ritmo sostenuto dal buon lavoro di Giacomo Vezzani alle musiche originali che accompagnano quasi tutto lo spettacolo. Fa eccezione il finale, affidato, senza apprezzabile ragione,  a una canzone, il valzer Suspirium, composta da Thom Yorke per il film di Guadagnino del 2018. L’omogeneità con il linguaggio sonoro usato in tutto il resto dello spettacolo sarebbe stato forse un valore in questo caso.
Bello e antico il segno tattoo disegnato sul corpo di Ulisse, che si unisce agli altri elementi positivi di questo lavoro.

 

ITACA PER SEMPRE

di Luigi Malerba
regia Andrea Baracco
drammaturgia Maria Teresa Berardelli
con Woody Neri e Maura Pettorruso
scenografia Luca Brinchi e Daniele Spanò
costumi Marta Genovese
disegno luci Javier Delle Monache
musiche originali Giacomo Vezzani
tattoo designer The Flea Tattoo tecnica Claudio Zanna
organizzazione Daniele Filosi
produzione TrentoSpettacoli con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, Comune di Trento Teatro Comunale di Pergine Valsugana, Spazio Off Trento

Teatro i, Milano
29 gennaio 2020