GIAMBATTISTA MARCHETTO | «La libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber, dichiarando contestualmente che «la libertà non è star sopra un albero» e che «la libertà non è uno spazio libero”. E programmaticamente introduceva al tema suggerendo: “Voglio essere libero, libero come un uomo”.
È davvero così? È libertà quella che porta ad aderire al consesso umano, frenando gli impulsi del corpo animale e soffrendo spesso di eccessiva razionalizzazione nell’approccio alla vita? È questo l’interrogativo di fondo su cui Giuliana Musso ha costruito La Scimmia, un pezzo di teatro denso, difficile, articolato come può essere un esercizio di pensiero che muove da Franz Kafka per un’analisi antropologica del rapporto tra umanità e “corpo animale”. Il punto di partenza è infatti il racconto Una relazione per un’Accademia, ma sullo scheletro del racconto dell’autore boemo la scrittura originale della Musso – con la collaborazione drammaturgica di Monica Capuani – innesta una più contemporanea dissertazione sulla contrapposizione tra natura e cultura.
Il protagonista – la scimmia appunto – ricorda il proprio percorso di “liberazione” dall’animalità, da quel legame con gli istinti che la convenzione sociale sopprime, filtra, ripulisce con la pomice della cultura. E come in uno specchio distorto, il primate strappato alla giungla riconosce come unica opzione di libertà la rinuncia a se stesso, l’abdicazione a ogni istinto per diventare mimesi dell’artefatto che passa sotto la definizione di ‘umanità’.

Giuliana Musso costruisce una straordinaria caricatura della caricatura. A partire dal trucco (che si auto-impartisce per un’ora e mezza prima di andare in scena) fino ai movimenti, tutto è calibrato sull’esibizione di un’umanitudine ostentata. E se nelle movenze rimane la conformazione che rimanda alla giungla, è nell’ironia del protagonista che emerge la potenza di una riflessione cruda, intima, controversa sul processo di annullamento del “corpo animale”. Una riflessione complessa, sfidante sul piano intellettuale.
Un paradosso per la scimmia rapita ai lanci da un ramo all’altro, al sonno sotto le stelle, a tutto quel “selvaggiume” a cui ha dovuto e voluto rinunciare per essere libera. Eppure lo schema si applica anche a ciascuno di noi, seduti in sala con la compostezza culturale di primati educati.

Al Sapiens che ha strappato i peli e la memoria dal corpo, che ha trasformato il mondo in un oggetto al servizio del proprio ego-centrismo, che ha suturato le cicatrici del lifting intellettuale… quella scimmia triste, in scena, confessa l’enorme difficoltà nel dimenticare tutto. Perché estirpare dall’anima la naturalità di un corpo che sente, che suda, che freme, che trema e desidera, che vive è frutto di una violenza subdola.
Il finale assume dunque paradigma di un’ambivalenza tra il corpo che si nasconde, che soggiace a una violenza culturale come strumento di controllo, e il corpo che emerge come forza ctonia da una memoria immemore e profonda. Quel corpo è identità – ci rivela la Scimmia – ed è in qualche modo verità oltre la violenza delle regole. Quel corpo è empatia, oltre la violenza delle guerre ridicole che costellano il quotidiano e la Storia dell’umanità.

«Quell’essere vivente si deve adattare per sopravvivere in un ambiente e un sistema che gli impone il tradimento totale del sé più autentico – rimarca l’interprete – Di fatto la scimmia smette di esser scimmia e diventa uomo. Eppure Kafka ne parla con un tono senza rabbia, bensì con l’ironia tipica della cultura ebraica che stempera il clima di violenza».
Ripartendo da Kafka, Giuliana Musso interpella dunque il senso dell’essere umani. E lo fa, in scena, incarnando una scimmia che per liberarsi dall’animalità diventa… un attore.
«La Scimmia descritta da Kafka diventa un buffone, una figura che ha consapevolezza dei rapporti di potere e dell’origine del male. Anche nella mia c’è una nota melancolica, che si mescola a una graffiante e provocatoria. La Scimmia rinuncia alla verità che sta nel corpo, ovvero all’intelligenza delle emozioni. E diventa una metafora meravigliosa: la finzione dell’attore le concede di stemperare la violenza, perché il buffone fa il cretino per il pubblico, ma è l’unico modo per dire al pubblico dei professori che sono loro i cretini».
Il teatro diviene allora una sorta di tableau vivant che racconta il concetto strano di “evoluzione” o forse un tavolo anatomico su cui sezionare un’anima strappata alla sua corporea fragilità.

@gbmarchetto

LA SCIMMIA

testo originale di Giuliana Musso
liberamente ispirato al racconto ‘Una Relazione per un’Accademia’ di Franz Kafka
traduzione e consulenza drammaturgica Monica Capuani
musiche originali composte ed eseguite da Giovanna Pezzetta
movimento a cura di Marta Bevilacqua
assistente alla regia Eva Geatti
trucco Alessandra Santanera
produzione La Corte Ospitale, coproduzione Operaestate Festival
con il sostegno Di Teatro Comunale Città di Vicenza

Teatro Villa dei Leoni, Mira (VE)