GIAMBATTISTA MARCHETTO | In tempi di “clausura” e di sospensione della normalità per Covid-19, ogni giorno Tiziana Di Masi racconta una storia legata a un’area che inizialmente era stata inserita nella cosiddetta “zona arancione” (limite ora superato dopo l’estensione a tutta Italia del blocco). È il TG del Volontariato, un format di teatro sociale in streaming – che l’attrice bolognese costruisce con il suo autore, il giornalista e dramaturg Andrea Guolo – proposto come una voce di speranza. «In questo momento così difficile per il nostro Paese mi sono chiesta cosa avrei potuto fare per non cedere allo sconforto, dando voce a chi è impegnato in prima linea sostenendo i più deboli», spiega Di Masi.
In poco più di due minuti al giorno, dallo studio di casa racconta tramite video la storia di un volontario o di un gruppo che opera nelle aree più colpite dal coronavirus. «Una situazione drammatica che la mia generazione non aveva mai vissuto – rimarca. Eppure anche ora il cuore pulsante del volontariato continua a battere. Lo fa quando può e nel modo in cui può. Tutelando chi è in difficoltà, ma nel rispetto dei limiti imposti per debellare questo terribile virus. È una forza prorompente di umanità, speranza e solidarietà, proprio quando l’emergenza è massima e i più deboli non possono essere abbandonati».
Il TG ha fatto tappa nelle mense per i poveri di Como, Milano e Bologna, nel carcere di Padova, tra i rider che portano farmaci e spese agli anziani de L’Aquila e di Potenza. Va in onda ogni giorno sui canali YouTube, Instagram, Facebook e Twitter di Tiziana Di Masi. Ogni giorno c’è una nuova edizione, una nuova storia e una nuova città.

Tiziana, come stai trascorrendo il tempo in questo periodo sospeso di chiusura/reclusione?

I primi giorni sono stati uno shock, perché mi hanno annullato tutte le date di marzo e aprile. Lo sconforto è durato poco, perché subito ho pensato a come poter dare valore a questa disoccupazione forzata. Così è nato, insieme ad Andrea, il progetto del Tg del Volontariato. Dal 9 marzo, ogni giorno su Youtube vado in onda dallo “studio di casa mia” con una nuova puntata dedicata a una storia di volontari dalla zona rossa. Per raccontare come, anche nel corso di un’emergenza paralizzante, ci sia un volontariato che non si ferma e che studia nuove forme per essere vicino a chi soffre.

Quali sono le cose che ti mancano di più? Quali alternative hai sviluppato nel tuo personale approccio alla clausura?

Il mio lavoro di attrice sociale implica ascolto e relazioni. Telefono e Skype in qualche modo aiutano, ma certamente manca il contatto umano, quello sguardo capace di aprirti il cuore e il mondo di chi hai davanti. La tecnologia aiuta ma non sostituisce.

Non c’è una dominanza del vorrei ma non posso? Molti di noi hanno il tempo che non hanno mai avuto e che volevano, ma desiderano tornare alla frenesia per rimpiangere un tempo quieto…

No, perché sono sempre stata capace di crearmi uno spazio interiore anche in mezzo alla confusione e alla folla. La spiritualità e il mio credo religioso sono un supporto fondamentale a una rigenerazione di sé. E ancor più lo sono ora, in un momento di forte crisi collettiva, nel quale continuare a nutrire speranza diventa una sfida interiore quotidiana.

Chi è il protagonista in questo tempo? Qual è il perno del presente?

Le persone, tutte insieme: ciascuno può fare la propria parte. Mai come adesso la sensazione di sentirsi una comunità può davvero realizzarsi. Anzi, deve realizzarsi, perché lo stesso andamento dell’epidemia dimostra che le emergenze devono essere affrontate come un collettivo. Da soli si perde sempre. E anche se stare in casa è un tormento terribile, è il nostro unico modo per combattere la pandemia.

Qual è la tua percezione di questo momento? Esiste una condivisione astratta dello spaesamento (attraverso i social, attraverso i media, attraverso i videoaperitivi)?

Molti reagiscono allo spaesamento con una moltiplicazione del proprio ego, cercando di essere presenti il più possibile attraverso i social. E non contribuendo in alcun modo a dare conforto, per dedicarsi a cazzeggio o vuoto intrattenimento. Lo disprezzavo prima, lo disprezzo ancor più ora.

Come evolvono le relazioni umane e sociali in questo tempo sospeso? Si può davvero imparare a convivere con se stessi?

Per farlo, occorre rafforzare spiritualmente le fondamenta della “nostra casa” ovvero noi stessi. C’è chi lo fa attraverso la cultura, chi attraverso la preghiera, chi dedicandosi finalmente alla famiglia. Sicuramente è il momento di essere più profondi. Se non ora, che abbiamo il tempo, quando? E allora va benissimo aderire ai flashmob, io stessa lo faccio e mi commuovo vedendo un popolo unito che fa azioni collettive. Ma riempire il nostro isolamento di mille cose da fare, solo per sfuggire al vuoto, non servirà. Perché da se stessi non si può fuggire.

Una società in coprifuoco è ancora sociale? Per dirla alla Marzullo, la solitudine è dialogo o il dialogo fa deragliare la solitudine?

Ti racconto un fatto personale. Da mesi osservavo i miei dirimpettai dal terrazzo, mi incuriosivano perché li vedevo sempre seduti davanti alla tv e non capivo cos’altro facessero nella vita. Con loro non avevo mai parlato, non ci eravamo mai salutati. Ora li ascolto suonare la tromba durante il flashmob musicale, cantiamo insieme l’inno di Mameli, illuminiamo il cielo di Bologna con la torcia del telefonino. Nel pieno del coprifuoco, posso dire di aver conosciuto i miei vicini.

Quanto fa bene e quanto fa male stare soli? (Soli in senso stretto o soli in un ambito domestico, ma tagliati fuori da relazioni sociali)

Soprattutto in questi giorni, sono grata alla mia vita per il fatto di non sentirmi sola. Mi manca il contatto fisico con la mia amata famiglia e con gli amici, ma non è l’assenza che pesa sul cuore, quando in una voce ritrovi lo stesso calore di un abbraccio. Penso che la costruzione di una vita debba essere finalizzata a non sentirsi mai soli.

Molto del tuo/nostro mondo di relazioni è basato sulla condivisione di codici interpretativi: dall’economia alla gastronomia, dalla religione alla cultura… Questo tempo sospeso ha cambiato i codici? Li cambierà?

Sicuramente, è già tutto cambiato e occorrerà molto tempo prima di tornare alla “leggerezza” di inizio anno. Il sospetto dominerà la scena, e questo vale per la stretta di mano, un bacio di benvenuto, un brindisi con gli amici… Avremo un freno schiacciato nella nostra quotidianità relazionale. Ma poi la voglia di vivere e di condividere pian piano prevarrà.

Quali saranno, dal tuo punto di vista, gli impatti permanenti o persistenti della pandemia sul piano sociale e culturale?

Nutro due pensieri opposti: il primo (che non mi auguro) è una visione dell’altro come possibile untore, da tenere opportunamente distante, secondo la logica del “non si sa mai”… Verrebbero meno le feste, le cene, gli incontri fra amici, ma anche i momenti di cultura condivisa. Quel che invece auspico, ed è l’altro pensiero, è un mondo che impari la lezione in termini di umanità. Dove le persone scendano dai piedistalli e accorcino quelle “distanze” che sono alla base di una società troppo boriosa e che rimarca la distanza dall’altro in virtù di potere, successo, stato sociale differenti.
Questa pandemia ci ha mostrato la nostra fragilità, l’urgenza di essere una comunità, superando barriere sociali. Mi auguro che questa lezione di umanità rimanga profondamente impressa nei nostri comportamenti, facendoci interessare di più all’altro, perché l’io non esiste senza il noi.

Qual è il valore del teatro in streaming?

Il problema è proprio questo: il teatro non è cinema, è qualcosa che si fa “qui e ora”. Assistere a uno spettacolo dal divano di casa propria è ben poco emozionante, perché a mancare è il respiro dell’attore, ma anche il calore del pubblico che è il coprotagonista dello spettacolo. Lo streaming non può essere la soluzione. Occorrerà andare incontro al pubblico anche in spazi non convenzionali.

È questo un tempo che mostra il valore sociale (latu sensu) del teatro?

Il teatro non ha mai perso il suo valore sociale. Può assumere altre forme ma è da sempre la forma d’arte che chiama i cittadini a condividere il valore di essere umani, di costituire una polis. La mia polis, in questo momento, è costituita dai volontari. E il mio teatro, in quarantena, è il Tg del Volontariato.

@gbmarchetto