ELENA SCOLARI | Sono passate solo poche settimane dall’inizio di questa brutta storia, e già ci sono espressioni diventate fruste, parole scomodate a sproposito, aggettivi che ricorrono.
Chi scrive per mestiere è (o dovrebbe esserlo) attento alle parole, le ama, cerca di non usarne troppe e di trovare quelle giuste, che disegnino precisamente il proprio pensiero e che descrivano la realtà in modo puntuale ma originale, se possibile.
E scrivendo posso provare a ragionare, ragionare, ragionare, grazie a quell’abitudine (preziosissima) che aver studiato filosofia mi ha insegnato. Ragiono pensando che ora sembrerebbe sensato trovare un metodo per convivere con questo “accidente” che stenta a volersene andare piuttosto che cercare solo di annientarlo, cosa che per altro non sembra – al momento – possibile.
Probabilmente è retorico pensare che le nostre vite siano cambiate: ha un che di eroico credere di offrire un grande sacrificio, no? Quel pizzico di epica che ti fa sentire coraggioso, mentre non stiamo facendo niente di leggendario, al massimo ci stiamo annoiando.
Forse si stanno solo rendendo evidenti processi che erano già in corso, fatti che tentavamo di celare hanno squarciato qualunque velo, non possiamo più cacciare la polvere sotto il tappeto né la testa sotto la sabbia.
L’interrogativo Cosa cambierà? ce lo stiamo ponendo in tanti, e forse pigliamo granchi.

ph. Maurizio Anderlini

Mentre cerco di mettere ordine in questi pensieri, mi accorgo che è ora dell’incontro lampo con Massimo Cacciari, il filosofo più allergico alla retorica che il mondo conosca. Abbiamo un appuntamento on line e allora mi collego, con un po’ di agitazione, chissà se giustificata. (Non è stato troppo condiscendente nemmeno con Lilli Gruber, l’altra sera).

Professore, come sta vivendo queste settimane di “domiciliari” forzati?

Eh, sto vivendo questo periodo leggendo e lavorando come al solito e non vedendo l’ora che finisca.

(È impaziente anche lui, questo mi conforta. Tutta una balla quella dei filosofi placidi)

Quindi non crede che la situazione stia mutando le nostre vite?

Mutare le nostre vite?! Magari lo potesse!

Pensa che questa pandemia possa invece cambiare alcuni temi della ricerca filosofica?

Ma no, non credo che muterà nulla nella ricerca scientifica e filosofica. La ricerca continuerà a ruotare intorno ai grandi temi degli ultimi decenni, importanti anche proprio in ragione di ciò che sta succedendo ora: il rapporto scienza e “scienze” umane; la ricerca corpo-mente-coscienza; i dilemmi etici nei confronti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, etcetera.

Sant’Agostino individuava la natura divina dell’uomo nella relazione, se le relazioni si interrompono che ne è di noi?

Ah, Sant’Agostino! Dipende da cosa si intende per relazione: le relazioni in quanto fondate sulle informazioni continuano con i mezzi di cui disponiamo anche ora, anche in questo momento in cui le rispondo. Mentre la relazione intersoggettiva in quanto comunicazione era già in crisi prima e lo sarà dopo.

Le relazioni sono fatte anche di spostamenti e ora si discute se controllarli. Intravede in questo un pericolo per la libertà personale?

Beh, gli spazi di libertà personale, intesi come privacy, sono andati riducendosi già da decenni: nel web non esiste privacy, questa è la pura e semplice verità-realtà.
Non cambierà perciò granché con qualche controllo in più sui nostri movimenti, dettato dall’emergenza attuale. Uno stato di cose che non è poi, in realtà, emergenza, essendo stata ampiamente prevista da numerosi scienziati, rimasti inascoltati.

Non ci sarà un D-day dopo il quale si potrà dire Fuori tutti, è più realistica una “rinascita” graduale?

Guardi, non sopporto le metafore belliche su questa crisi: non ci sarà alcun D-Day poiché non vi è alcuna guerra in corso. I medici non sono soldati al fronte, sono professionisti seri e responsabili, che non devono obbedire a nessun Capo.

(Ecco, questa l’ho proprio ciccata, accidenti)

Quanto al rinascere, solo un dio può farlo. E il nostro cervello non cambia sostanzialmente da centomila anni.

Quale pensa dovrebbe essere il ruolo degli intellettuali dopo questo fermo forzato?

Io penso che il ruolo dell’intellettuale sia comprendere, senza piangere né ridere né detestare. E continuerà a essere quello.
Altra cosa poi è chiedersi se esistano intellettuali.

ph. Maurizio Anderlini

ES: E se l’intellettuale esiste deve essere critico.
In queste giornate parole ne sentiamo, ne leggiamo, ne vediamo scritte in forma di ingenui hashtag dal valore niente più che apotropaico, alcune contrastano tra loro, tante si appesantiscono di retorica, di molte si fa strame.
Queste parole si confondono nelle nostre teste sollecitate a governare la paura, a inventarsi rifugi interiori, giardini dello spirito da coltivare quando un giardino vero non è a portata di mano. Ma i balconi, sì, ahinoi.
Balconi dai quali (per poco, a dire il vero) si è cantato dall’inno di Mameli a Bella ciao ad Azzurro, pure il sopravvalutato Rino Gaetano, che comunque in Italia se si parla di cielo va sempre bene, salvo scorgervi un drone che spia i nostri movimenti. Balconi da cui cittadini zelanti ne hanno apostrofati altri colpevoli di aver fatto 100 passi fuori di casa.
E pensare che Aristotele e i peripatetici filosofavano camminando.