GIANLUCA IOVINE | Parco Archeologico di Taureana. Sera d’estate. Oltre l’ingresso, led bianchi conducono alla platea. L’emiciclo è tra i resti di antiche mura, il palco una lunga lastra di pietra e terra. Intorno solo ulivi, e buio. Buon consenso di pubblico, qualche ritardo, la sensazione di uno spazio comunque sicuro. Chi fotografa sente in questa scena ancora vuota luci e forme appena visibili. Luci livide, blu e verdi, scontornano le spoglie di cicala dagli ulivi. Suoni della natura, passaggi, bagliori.
Poi da destra fa ingresso la Clitennestra incarnata da Paolo Cutuli. Ha vesti semplici e chiare, il suo lamento copre ogni cosa. La voce è grido, gemito, rantolo, e parte della scena, mentre narra estraniandosi vicende e oggetti lontani.

Le luci rivelano le vivide lenti a contatto dell’attore, che dettano i tempi della follia. La scena, volutamente spoglia, si ricopre di colori caldi solo quando l’opera cammina verso la fine. Addosso, catene. Sul palco tre valigie, lettere gialle, un cuore rosso, per le attese inutili di un amore distrutto dal tempo, e il microfono, che l’attore trasmuta da lembo di carne in amplesso a lama da affondare, nella strage finale. La bocca, il collo e le mani, accarezzano, frugano, aprono le carni, mostrando anima e viscere di chi ha ferito rifiutando baci o tradendo per corpi più sfrontati e giovani; Clitennestra impara ad amministrare, a scegliersi un amante giovane, rimarcando in realtà l’assenza dell’unico uomo che ama.
Il sangue di scena, rosso sfumato di arancio, dona credibilità al dramma, così come l’alternarsi serrato di urla e silenzi rendono profonda verità alla morte.

La Clitennestra della Compagnia Dracma, interpretata da Paolo Cutuli torna così al maschile della tradizione classica, sperimentando sul fronte dei luoghi, scegliendo Palmi, un lembo di Magna Grecia dove proprio Oreste, l’uccisore di Clitennestra, si dice si sia rifugiato. La rilettura è ispirata alla lezione della Yourcenar, con la protagonista che si rivolge ai giudici ripercorrendo la propria discesa all’inferno. Ma fare teatro, e farlo dopo mesi di blocco imposto da una pandemia, richiede grandi sforzi. E del resto non è raro, per chi recita a Taureana, che il frinire oscuri la voce degli attori, nella metafora di un essere che ha vissuto gran parte dell’esistenza nascosto sotto terra e che ora, vicino alla morte, dona il suo canto più limpido.

Per questo Compagnia Dracma ha scelto proprio la fragile forza della cicala per ispirarsi a un più ampio progetto di festival, con l’aiuto della Città di Palmi. E cicala è in fondo ogni donna capace di mutare pelle, per forza o per scelta, come nella vicenda che Cutuli indaga, nel misterioso passaggio da disamore a odio omicida, mostrando i perché della strage, mai giudicando né sottraendo al giudizio Clitennestra, secondo dinamiche visive e suggestioni care al cinema noir, senza i suoi mezzi tecnici. Clitennestra ci conduce per mano nel delirio, costringendoci a varcare la soglia della pietà e della riprovazione morale, nell’orgogliosa rivendicazione di un Femminile oltraggiato, costretto per sopravvivere, alla vendetta di sangue.

Ai giudici dunque non è indirizzata una richiesta di clemenza o un pentimento, ma piuttosto un’analisi, che ripercorre le radici dell’odio. Un’ironia tragica e sferzante attraversa il racconto, mentre l’impostazione visiva e sonora di matrice pop attenua il rigore compositivo della tragedia senza mai abbassare la credibilità. In questo senso vanno intese le canzoni di Nada e Fiordaliso, trasformate in orazioni, e gli anacronismi voluti, che sospingono il tempo della narrazione lungo un ponte ben strutturato tra classicità e presente.
L’invenzione delle valigie trasformate in corpi da desiderare o squartare, è una buona intuizione del Cutuli attore-autore. Il colore racchiude le mille oscurità dell’odio, sottolineando le componenti della vendetta, dell’eccidio, del rimpianto, in una evocazione di sangue che ricade sullo spettatore, turbandolo.

Questa Clitennestra ha i margini di miglioramento propri di ogni work in progress, ma resta un lavoro elegante, autentico, specie per le qualità vocali e recitative di chi è in scena. L’opera stimola dal palco – come già Capri-Revolution di Martone ha saputo fare sullo schermo – una riflessione sulle rivoluzioni necessarie a conseguire la pari dignità di genere per le donne del mondo. Il dolore di Clitennestra è dunque urlato e silenzioso, represso e potente, come in tante donne di oggi che, proprio come lei, subiscono violenza e indifferenza. L’attesa di anni per il compagno/re, incarna i paradigmi senza tempo della violenza di genere: le molte amanti, gli stupri di guerra, i silenzi e le bugie all’amata. Prima di uccidere altri, la donna dovrà uccidere se stessa, spezzando la propria fragilità per generare odio, spegnendo il desiderio per apprendere la morte. L’uccisione, cruentissima, di Agamennone e Cassandra per mano di Clitennestra, cui l’amante Egisto partecipa, per poi esserne a sua volta vittima, reca in sé la lezione dei tragici greci e di Shakespeare: la donna ripudiata ora sa di poter bastare a se stessa.

Con la scena in luce, applausi ripetuti e convinti di un pubblico costretto a interrogarsi sul confine tra sentimenti e convenzioni e sul perché, ancora oggi, uomo e donna condividano un comune fiume di sangue.


CLITENNESTRA

regia e interpretazione Paolo Cutuli
aiuto regia Andrea Naso
prod. Compagnia Dracma

VINCITORE PREMIO PARODOS 2014 – TINDARI TEATRO FESTIVAL
Miglior spettacolo e miglior interpretazione