RENZO FRANCABANDERA | Sarà per i distanziamenti, sarà per consentire di esserci anche se non ci si può davvero andare. Il teatro fa i conti con i vincoli, con i posti a sedere, con la possibilità di fornire nuove esperienze, percorrere la strada della “altra” interattività, nella speranza di riuscire a scalfire non solo la quarta parete già ormai da tempo abbattuta, ma per abbattere la quinta parete, come la chiama Castellucci, quella dello sguardo e dell’impressione dello spettatore.
Non facile. Per tutto il periodo pandemico il teatro si è dibattuto (ed ha dibattuto) sulla dolorosa frontiera del video: una linea Maginot per molti non superabile. Per altri necessaria da trasformare in frontiera di esperienza, visti i vincoli e limitazioni. Ma è indubbio che il teatro a video è un’altra arte, necessita di altre e nuove competenze, forse anche di un altro approccio drammaturgico e compositivo, con riguardo tanto alla scrittura quanto al pensiero sulla scena stessa. Il medium è il messaggio, per dirla con McLuhan? Alcune riflessioni fatte durante le visioni favorite dall’ampia e articolata proposta di Inteatro 2021 studiata da Velia Papa, che ne cura la direzione artistica, ci portano in questa direzione.

Siamo partiti con la formazione belga Ontroerend Goed, che seguiamo da un decennio ormai, da quel folgorante esordio con uno spettacolo di teatro danza centrato sull’adolescenza. Qui hanno proposto online lo spettacolo TM, al suo debutto nella versione italiana, prodotta da Marche Teatro. Il tentativo è quello di trasformare gli spettatori online in partecipanti per provare ad abbattere la parete dello schermo e lavorare a un tentativo di reale interattività. E questa effettivamente non manca: è uno spettacolo ibrido fra documentario e intervista fra un performer e lo spettatore, cui vengono fatte molte domande sulla propria attitudine a compiere azioni di varia natura. Il tema è quello di arrivare a delineare, anche attraverso queste interviste, delle evidenze su alcune dinamiche di massa che hanno a che fare anche con l’etica individuale e la consapevolezza.
Può definirsi tecnicamente spettacolo la partecipazione a una intervista “performativa” online, seppure con un finale che allaccia l’evento interattivo a una tematica più ampia e sociale? Certamente le questioni che la creazione porta all’attenzione dello spettatore sono intriganti, contraddittorie, utili a pensare e pensarci diversamente ed è uno dei pochi tentativi in qualche modo riuscito di mettere in contatto, attraverso lo schermo del pc, un performer e uno spettatore in una dinamica conoscitiva ed esperienziale. Abbiamo posto tutte queste questioni al regista della compagnia Alexander Devriendt e trovate di seguito il video con la sua ampia risposta alle tematiche dell’azione creativa.

Ma Inteatro quest’anno è stata anche la mia prima volta di esperienza di danza in realtà virtuale a 360°. Grazie al visore VR, insieme ad altre tre persone, in un ambiente dedicato e che era ricostruito identico a quello dello spettacolo in questione, sono stato trasportato sul palcoscenico accanto ai danzatori della T.H.E Dance Company per il loro PheNoumenon. La compagnia, nell’elegante kit che accompagna la visione e in cui troviamo il visore, il pad per il controllo touch, inserisce anche una piccola ampollina con un aroma olfattivo che ci accompagnerà nella visione. E in qualche modo la cosa è sensata perché il visore e il suono trasmesso a 360° e grazie al rilevamento dei movimenti della testa, assecondano in qualche modo i movimenti dello spettatore, imitando un’esperienza sensibile che sia il più aderente possibile al reale.
Ma c’è un momento nello spettacolo in cui uno dei danzatori porta con sé in scena un sacchetto da cui esce fumo profumato. E in quel preciso momento lo spettatore ha comunque una consapevolezza psichica del suo essere fisicamente in un altrove rispetto allo spazio scenico (dove comunque si poteva scegliere dove posizionarsi, se stare in piedi o seduti ecc). Non sono siamo altrove, il visore ci permette di vedere a 360 gradi ma ovviamente non di percepire lo spettatore stesso. La propriocezione, uno degli elementi fondamentali della capacità sensibile neuronale dell’essere umano, sfuma a vantaggio della questione fruitiva. E anche qui gli interrogativi a cui le proposte del festival ci mettono di fronte ci fanno ancora riflettere su quanto sia complesso il passaggio verso l’ibridazione fra identità umana e tecnologia digitale. Guardiamo nel visore e capiamo che, perfettibilità tecnica della registrazione a parte (specie negli ambienti oscuri come quello teatrale), fra alcuni anni potremo vivere esperienze immersive incredibili; ma comprendiamo anche che, pur nella sua imperfezione, il corpo umano è una macchina che sviluppa interrelazioni capaci di avvicinarsi o distanziarsi a seconda che senta quell’inimitabile profumo di verosimiglianza tipico dell’evento dal vivo. Che non significa per forza in presenza ma che ha bisogno di qualcosa che porti i sensi a combinarsi fra loro in modo “credibile” per il nostro sistema neuronale. Una sensazione molto peculiare, su cui questa proposta ci permette di riflettere.

Arriviamo all’ultima proposta centrata sul tema del rapporto spettatore/tecnologia con Teatro Amazonas, docu-spettacolo centrato sulle nuove forme di colonialismo inflitte al territorio e ai popoli originari dell’America Latina. La compagnia Azkona&Toloza propone un excursus storico-artistico che si avventura, è proprio il caso di dire, in una narrazione che fra autobiografismo, cinema, storia, documentario, ritorna e cerca dei fili narrativi lungo gli ultimi cinque secoli della storia del territorio amazzonico brasiliano, quell’immenso territorio spesso descritto come disabitato e selvaggio, sebbene migliaia di indigeni vivano sulle sue rive e all’interno della fitta vegetazione.
Dentro questo luogo impenetrabile, esotico e rigoglioso, dentro il il suo caos suggestivo, la compagnia affronta prima un viaggio reale proprio durante il tempo della pandemia, e poi ne trae uno spettacolo che sulle orme di esploratori, conquistatori e avventurieri, porta la coppia di artisti a cercare un dialogo con lo spettatore su questo enorme affresco sempre vivo di antropologia visiva, con una videocreazione “lo-fi” in cui i due interpreti aumentano la realtà con la narrazione.

Teatro Amazonas ph Giulia Di Vitantonio

La compagnia di Barcellona, di origine basco/cilena, qui in prima italiana al Teatro delle Muse ci porta fra protagonisti, luoghi e racconti, per un amalgama che diventa l’ordito artistico del duo composto da Laida Azkona Goñi e Txalo Toloza–Fernández.
Il binario creativo composto da una documentata video proiezione a fondale, di cui i due interpreti sono la voce narrante, si sviluppa parallelo alla costruzione di una sorta di mindscape composto da un intricato lego di cartone in primo piano, con cui gli interpreti provano a mettere in piedi un ambiente immaginario capace di localizzare i pensieri dello spettatore. Il progetto, di cui Marche Teatro è co-produttore, è sicuramente interessante e suggestivo, porta dentro un viaggio che, pur con qualche ansa fluviale più lenta dovuta al continuo andirivieni dei flashback narrativi, ha un forte potere evocativo.
La versione italiana, come sempre in presenza di sovratitoli, porta lo spettatore a leggere la drammaturgia/sceneggiatura piuttosto che vivere del tutto l’interpretazione, e ci fornisce l’ultimo stimolo di questa interessante carrellata su come ancora il messaggio testuale e la barriera linguistica siano elemento impattante nella fruizione spettacolare. Lo spettatore, in una narrazione così ampia e di parola, ha sete di capire, e quindi per forza di cose cerca il potere del comprensibile.

Il futuro del teatro passa per questi interrogativi, per questi equilibri e barriere, approfondendo il come e il quando di un futuro esperanto sensoriale, e Inteatro ci porta su questa faglia, sul contemporaneo, facendoci ragionare su contraddizioni e opportunità. Un percorso più unico che raro, con Marche Teatro in prima linea a proporre, quando addirittura a produrre e co-produrre, esperienze di frontiera.

 

TM

regia Alexander Devriendt
testo Alexander Devriendt, Angelo Tijssens, Aurélie Lannoy, Karolien De Bleser, Samir Veen
scene/design David Williamson, Nick Mattan
costumi Nick Mattan
fotografia Guinness Frateur
video David Williamson, Angelo Tijssensepijn, Pepijn Mesure,
UX creato da Upian su Ohyay, Adélaïde Desnoë, Gregory Trowbridge, Sébastien Brothier, Viktor Brothier
suono Senjan Jansen
con Gennaro Apicella, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Valentina Illuminati, Dario Iubatti, Giacomo Lilliú, Michele Maccaroni, Cecilia Napoli, Arianna Primavera, Michele Ragno, Daniele Vagnozzi
e con Irene Carloni, Roberto Gibertini, Fabio Leone, Lara Virgulti
produzione e organizzazione Marta Morico, Alessia Ercoli, Emanuele Belfiore
assistente alla produzione Claudia Meloncelli
casting e promozione Benedetta Morico
responsabile allestimento tecnico Roberto Bivona
responsabile di sartoria Stefania Cempini
responsabile comunicazione, ufficio stampa Beatrice Giongo
produzione Ontroerend Goed
produzione versione italiana MARCHE TEATRO/Inteatro Festival (IT)
co-produttori Almeida Theatre (UK), ART HAPPENS (BE), Cambridge Junction (UK), Chicago Shakespeare Theater (US), Esplanade – Theatres on the Bay (SG), Espoon Kaupunginteatteri (FI) Feodor Elutine Impresario Moscow (RU), Festival Internacional de Artes Cênicas Porto Alegre em Cena (BR), Festival Mythos (FR), Kunstencentrum Vooruit (BE), Le Carreau – Scène Nationale de Forbach et de l’Est mosellan (FR), L’ESTIVE Scène Nationale de Foix et l’Ariège (FR), Perpodium (BE), RE:LOCATION// by Wildtopia (DK), Richard Jordan Productions (UK)
Staatstheater Mainz (DE), Teatro do Bairro Alto (PT), Theatre Royal Plymouth (UK), Vlaams Cultuurhuis de Brakke Grond (NL)
con il sostegno di IDFA DocLab (NL), National Theatre Immersive Storytelling Studio (UK)

PHENOUMENON 360°

direzione artistica, coreografia e direzione cinematografica Kuik Swee Boon
performers Anthea Seah, Brandon Khoo, Ng Zu You, Nah Jieying, Klievert Jon Mendoza, Fiona Thng
artista del suono e compositore Kent Lee
sound and systems design Guo Ningru
disegno luci Adrian Tan
costumista & body artist Loo An Ni
produzione Stage Manager Tennie Su
partner di tecnologia immersiva Hiverlab Pte Ltd

TEATRO AMAZONAS

di AzkonaToloza
con Laida Azkona Goñi, Txalo Toloza–Fernández
voci fuori campo Valentino Werner, Tanya Beyeler
colonna sonora originale e audio Rodrigo Rammsy
disegno sonoro Juan Cristóbal Saavedra
luci Ana Rovira
video MiPrimerDrop
scenografia Xesca Salva e MiPrimerDrop
costumi Sara Espinosa
illustrazioni Jeisson Castillo
fotografia Tristán Pérez-Martin
assistente alla regia Raquel Cors
ricerca documentaria Leonardo Gamboa
relatore Pedro Granero
traduzione portoghese Livia Diniz
traduzione tukano João Paulo Lima Barreto
traduzione, sovratitoli Ilaria Carnevali
direttore di produzione Elclimamola
produzione spagnola Helena Febrés

per la versione italiana:
produzione Marta Morico
organizzazione Alessia Ercoli, Emanuele Belfiore
responsabile comunicazione, ufficio stampa Beatrice Giongo
grafica Fabio Leone, Lara Virgulti

Una produzione MARCHE TEATRO, Thèàtre Garonne – scène européenne de Toulouse, AzkonaToloza
Teatro Amazonas è un progetto a cura di AzkonaToloza. Festival Grec de Barcelona, Théàtre de la Ville – Parigi\ Festival D’ Automne a Parigi, Teatre Garonne – scène européenne, MarcheTeatro\Inteatro Festival e Antic Teatre di Barcellona. In collaborazione con DNA creación 2019, Azala Espioza, El Garner – Mercat de las Flores, La Caldera, Teatro Gayarre, Nave, Centro del creación e In-nova Cultural promosso per la Fundación Bancaria Caja Navarra e Obra Social “la Caixa”, LABEA Laboratorio de arte y ecologia.