RENZO FRANCABANDERA | È un bel festival, Danza in Rete, con la direzione artistica di Piergiacomo Cirella e Loredana Bernardi in corso a Vicenza durante i  weekend di giugno e luglio (finisce il 24 luglio). PAC lo segue per raccontarlo, con particolare attenzione alla sezione Off, curata da Alessandro Bevilacqua che lancia uno sguardo attento alle giovani generazioni e alla scena indipendente italiana.

Quello scorso è stato uno dei weekend più ricchi per l’Off, con un trittico esemplare, iniziato nella sala dei maestri italiani del Sei-Settencento della quadreria di Palazzo Chiericati. In questo scenario architettonico e museale incredibile, in dialogo estetico ma non didascalico o logico con le opere esposte, si è esibito Vincenzo Cappuccio in The Halley Solo, progetto firmato da Fabrizio Favale-Le Supplici.


Cappuccio è magnifico interprete del solo che ha una concezione creativa ciclica, come evoca anche la dinamica rotatoria in cui abita il danzatore che, pur nel suo agire il movimento nello spazio, non perde di vista il contatto visivo con il pubblico, in fulminee combinazioni comunicative uno a uno, aumentate dall’avvicinarsi o allontanarsi dalla platea. La musica divide idealmente la composizione in due parti, assecondata dal movimento: una prima di intenzione più armonica e classica (vengono in mente alcuni quadri scenici di Alonso King), la seconda è più distonica e meno armonica. I movimenti diventano sussulto, spasmo, ma senza mai alcun eccesso chiarificatore: lasciano intendere un’interruzione meccanica esterna, una qualche ferita nello scenario dell’equilibrio perfetto.
Venti minuti di ineccepibile grande danza. Creazione e interpretazione che nel luogo vedono amplificato ogni possibile significato sottostante, lasciato allo sguardo dello spettatore, che sempre deve completare l’opera d’arte dentro lo spazio del proprio incognito.
Danza e basta. Corpo in movimento nello spazio, in questo caso totalmente antinarrativo e libero da inutile concettualità riverberante che non di rado in certi spettacoli prende il sopravvento in modo superfluo.

La giornata è proseguita al Ridotto, dove a breve distanza di tempo l’uno dall’altra sono stati proposti Manbuhsa, coreografia di Pablo Girolami e Remember my (lost) family di Grimaldi Capitello.

Manbuhsa è un lavoro creato sulla base di suggestioni esotiche, caratteristiche che ispirano diverse creazioni del coreografo, che ha collaborato anche con Ekman, Schechter, McGregor, Goecke, Soto e ha preso parte alle creazioni di Morau, Siegal, Donlon, Verbruggen  e ora coreografo e ballerino free-lance. Nel 2017 e 2018 ha creato I see you over there per l’Hessisches Staatballet, pezzo selezionato per il Gala del teatro di Wiesbaden, e Mose3 che ha portato a una video collaborazione con DeDa Production e Café Klatsch.
Manbuhsa è una creazione del 2019, nata dall’incontro di Girolami con il danzatore Giacomo Todeschi, con cui il coreografo stesso è in scena, e con cui ha fondato il progetto creativo Ivona.
Il duetto Manbuhsa è la prima creazione del duo: ha partecipato, vincendolo, al Premio Twain_DirezioniAltre 2019, cui sono seguiti il premio del pubblico al CortoinDanza 2019 di Cagliari, al 33, al Certamen Coreografico di Madrid, oltre alla selezione per la vetrina della giovane danza di autore Anticorpi XL 2019 e la Redacielabierto.
Fermata dalla pandemia, la creazione ha avuto modo di maturare e ripensarsi per certi versi.
Spazio scenico vuoto.
Luci che nella prima parte illuminano in modo michelangiolesco i corpi dall’alto, amplificati in questo rimando alle arti plastico pittoriche dall’icastica scelta di costumi di Caterina Politi. Degno di nota il gioco di luci che permette di lavorare fra luminosità, ombra e penombra, sfruttato con maestria per creare spazialità portatrici di valori e temperature calde e fredde: riverberano sui movimenti di un ideale duetto di uccelli in corteggiamento.
L’ambiente sonoro è un soundscape naturale, in cui i quadri, gli spazi abitati dalle creature animali e delimitate qui e lì dal sagomatore, prendono vita. La prima parte è chiaramente ispirata a suggestioni della dinamica di movimento animale. La lezione di Xavier Le Roy del decennio scorso sul rapporto fra biologia e arte coreutica ritrova bellissima compiutezza nel movimento ispirato, come dice lo stesso danzatore, al corteggiamento animale, specialmente quello degli uccelli, al loro comportamento durante la parata nuziale.
La seconda parte, dalle cromie luci giallo caldo laterali, si muove su battiti di danza techno tribale e, pur agìta con coinvolgente intensità (cosa che inevitabilmente richiama il pubblico a un sussulto ritmico ancestrale), dal punto di vista del segno resta, in parte, più decorativa, meno assoluta. Al pubblico, comunque, il lavoro piace molto ed effettivamente resta, nel complesso, suggestivo.

Si arriva così al terzo e ultimo lavoro, la proposta più giovane delle tre, a firma di Nicolas Grimaldi Capitello, autore, performer classe ‘93 e socio dell’associazione Cornelia dal 2019. Al suo attivo, fra le altre, una partecipazione alla produzione What the body does not remember della compagnia belga Ultima Vez di Wim Vandekeybus, oltre ad aver lavorato con Papaioannou, Dubois e Abbondanza/Bertoni tra gli altri. Come autore aveva già portato in scena Lost in this (un)stable life selezionato per Anticorpi XL – vetrina della giovane danza d’autore 2019, studio dello spettacolo Remember my (lost) family, cui abbiamo assistito.
Il narrato coreutico sembra ispirato alla scuola di teatrodanza di estetica mitteleuropea, in cui il parossismo delle relazioni umane, da Bausch a Marthaler, passando per i movimenti scomposti di Platel, hanno creato un imprinting.

L’indagine qui si concentra su una storia di una famiglia, dal tratto finanche personale, come racconta l’autore al termine dello spettacolo in un dialogo con il pubblico condotto da Vanessa Gibin.
Il figlio arriva quasi come evento dirompente nell’equilibrio di coppia descritto ad inizio spettacolo, che fino al momento del suo arrivo è giocato su giravolte, baci e abbracci al ritmo forsennato e ironico della mazurca Balera Club, dell’Orchestra Borghesi. Una tono kitsch che vuole spingere sulla cifra ironica e dolce di gusto retrò, con cui i due personaggi genitoriali sono letti. L’arrivo del figlio innesca invece una sorta di dinamica uranica, con il padre che scatena sul giovane una violenza che annulla l’ambiente giocoso in cui il confronto ha luogo: una piscinetta di plastica colorata per i bagni dei bimbi. La madre resta esterna e spettatrice, fino a veder appassire la vicenda familiare, lasciando lo spazio ad un vuoto in cui la storia, nel finale, annega.
Le suggestioni del sistema relazionale sviluppano segni cui non fa seguito nella creazione un distillato simbolico: si resta così su una cifra più narrativa, che rischia di fagocitare la rappresentazione stessa. Non manca il tentativo di sfumarla per non renderla troppo leggibile, ma non si arriva compiutamente alla staffetta di senso emotivo che solo lo spettatore può completare nel passaggio dal palcoscenico alla platea. Dall’entrata in scena del terzo incomodo (il figlio) il triangolo di relazione si chiude su se stesso, non sviluppando ancora in forma compiuta, in questa versione, il passaggio verso la sublimazione in gesti o significati astratti: si sofferma sulla dinamica conflittuale, ora con la figura paterna, ora con il non vissuto edipico materno, icone che archetipicamente ci portiamo dietro da millenni e a cui occorre quindi avvicinarsi con spirito di novità e rottura. Ma c’è spazio e tempo per calibrare la cifra di questa creazione con buoni margini di risultato, continuando a giocare sull’ironia e sul movimento più ampiamente danzato, che a volte è parso un po’ sacrificato.

 

THE HALLEY SOLO

ideazione e coreografia Fabrizio Favale
danzatore Vincenzo Cappuccio
musiche autori vari
produzione KLm – Kinkaleri / Le Supplici / mk

MANBUHSA versione estesa

coreografia Pablo Girolami
interpreti Giacomo Todeschi, Pablo Girolami
musiche Ugate Sooraj – Jota Karloza; Hey Furtila (hey Perky) – Miss Clo; Demaso – Holed Coin
costumi Caterina Politi
produzione Ivona, DANCEHAUSpiù
Anticorpi Explo – tracce di giovane danza d’autore

REMEMBER MY (LOST) FAMILY

coreografia e regia Nicolas Grimaldi Capitello
performer Eleonora Greco, Nicolas Grimaldi Capitello e Francesco Russo
produzione Cornelia
Anticorpi Explo – tracce di giovane danza d’autore