CARLOTTA SALLEMI ed ESTER FORMATO | C.S. Il pubblico torna ad applaudire Mario Sala nel monologo utopistico Il sogno di un uomo ridicolo, tratto dall’omonimo racconto del 1876 di Fëdor M. Dostoevskij e diretto da Lorenzo Loris. Lo spettacolo era stato portato in scena nel maggio di due anni fa, prima dello scoppio della pandemia. Nella stagione estiva 2021 del Teatro Out Off di Milano se ne ripropone la messinscena per i 200 anni dalla nascita dello scrittore russo inserendolo nel progetto dei Maestri.

Tradotto da Fausto Malcovati e riadattato dallo stesso Marco Sala, Il sogno di un uomo ridicolo è un racconto fantastico che oggi ci trasmette la necessità dell’utopia del sogno, proprio nel momento in cui il nostro futuro rimane incerto.
Entrando in teatro, notiamo subito che lo spazio della rappresentazione, ideato da Daniela Gardinazzi, è essenziale: un lieve rialzo, due lampadine a pioggia, una poltrona e un tavolino. Tutto intorno è libero, intravediamo addirittura il retroscena. Una tenda di corda, posta tra la platea e il palcoscenico, permette all’interprete di modificarne l’ambiente. Il pubblico che nella precedente produzione circondava l’attore, oggi si trova frontalmente, per via delle restrizioni sanitarie.

E.F. Probabilmente l’assetto frontale del pubblico smorza le potenzialità dello spettacolo, sebbene l’attore faccia più volte incursione fra gli astanti. L’originale idea di una disposizione circolare del pubblico rendeva assolutamente icastica la ridicolezza con la quale il protagonista crede di essere considerato dai propri simili e sicuramente faceva risultare la riduzione drammatica più incisiva, evitando la tradizionale quarta parete. Ma senza dubbio la sua caratterizzazione fisica non ce ne fa perdere il senso, anzi proprio la scena potenzia l’aspetto grottesco.

C.S.  Cala il buio, viene illuminato attraverso una luce chiara l’arrivo del personaggio in scena. Cappello da pescatore in testa, naso rosso, cappotto nero, valigetta e scarpe colorate. L’uomo è specchio della realtà contemporanea, indifferente e pieno di risentimento verso una vita che non l’ha mai compreso. Ignaro del senso della propria esistenza, decide così di suicidarsi. Nel giorno piovoso in cui decide di farlo, però, mentre torna a casa, una bambina gli chiede aiuto, lui ne ignora la richiesta. L’incontro però lo sconvolge a tal punto che nel momento in cui prende in mano la rivoltella, in preda a un delirio di pensieri, si addormenta… e sogna.  Quello che viene raccontato è un viaggio metafisico post mortem verso una nuova terra, permeata da  sentimenti d’amore, gioia e fanciullezza. Un mondo innocente in cui il dolore e il risentimento non vengono concepiti. Ma la sola presenza di quest’uomo basterà a sconvolgere gli equilibri di questo luogo paradisiaco, costringendolo a una fine disarmante. Come un bacillo di peste, sarà lui a portare distruzione, rabbia, pazzia e menzogne.
Pienamente aderente al registro tragicomico, Mario Sala interpreta il disagio del proprio personaggio, attraverso connotazioni un po’ clownesche e satiriche che ravvivano gli attimi di ieraticità propria della prosa di Dostoevskij di cui il personaggio finisce per essere un alter ego.

E.F.  La caratterizzazione di questo personaggio consente di adattare la corposa prosa dello  scrittore alla scena, sebbene, com’è naturale in questi casi, il dramma resti abbastanza statico a vantaggio di un’evoluzione tutta interiore. In compenso, la regia sceglie di non confinare il protagonista entro una metratura limitata, ma estende anche oltre, in corrispondenza del retropalco, una certa prospettiva, pensando alla doppia dimensione di cui il personaggio ha esperienza: il mondo e questo misterioso paradiso dei viventi che non sono altro che lo stesso luogo. Solo attraverso vie oniriche difatti, ritrova dentro di sé la compassione per i suoi simili, il desiderio di amare il prossimo, nonostante le miserie di cui è pervaso l’animo umano.

C.S. Al termine di questo viaggio inconscio, l’uomo si risveglia entusiasta, cosciente del fatto che «procediamo tutti per la stessa meta, anche se percorriamo strade diverse»: vuole vivere. Prende la valigetta da cui estrae delle nuove scarpe nere, in forte contrasto con quelle colorate di inizio spettacolo, e che segnano forse l’effettiva rivelazione. Per Dostoevskij l’uomo deve porsi obiettivi positivi nel corso della vita, perché la felicità sulla Terra può esistere, ed è forse l’unica cosa che abbia senso ricercare. Questa può essere ritrovata solo avendo fiducia nell’umanità, anche se a volte ci deride. Una speranza da tramandare alle nuove generazioni. Il teatro ci dona così uno scopo, ci ha parlato nuovamente, rimarcando il fatto che da un momento difficile come quello che abbiamo vissuto tutti noi è necessario rialzarsi e rinascere.

E.F. Non è bene forse guardare a questo spettacolo secondo un’ottica spiccatamente morale o didattica; un’anima come quella di  Dostoevskij può turbare, mettere in subbuglio. Tuttavia è difficile uscire da teatro senza aver avuto compassione per questo piccolo clown che si rifrange negli sguardi del pubblico, dinanzi al quale non ha paura di essere ridicolo.

 

IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO

da Fëdor Dostoevskij
traduzione e drammaturgia di Fausto Malcovati e Mario Sala
regia Lorenzo Loris
con Mario Sala
scena Daniela Gardinazzi
costumi Nicoletta Ceccolini
 luci e fonica Luigi Chiaromonte
consulenza musicale Ariel Bertoldo
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
assistente alla regia Davide Pinardi
Interventi pittorici di Giovanni Franzi
produzione Teatro Out Off, parte del progetto “Maestri

Milano, Teatro Out Off | 20 giugno 2021