GIORGIA NIESI | Torna in scena al Teatro Franco Costabile, nel festival Matrioska, Il rasoio di Occam, una produzione Clan degli attori. Il titolo dello spettacolo trae origine dalla “teoria del rasoio” del frate francescano William di Ockham. Filosofo, teologo e religioso, Ockham fonda il suo pensiero su un principio di “economia speculativa”: tra due teorie è altamente probabile che la più semplice sia la migliore e che implichi un minor numero di complicazioni per dimostrarla. Questo è il suo “rasoio”: un metodo affilato per spiegare i fatti nella maniera più inattaccabile. (E per venire all’attualità potremmo forse dire che una declinazione del pensiero di Occam sia stata applicata con la chiusura netta dei teatri durante la pandemia, come l’adozione della soluzione più semplice).

Fuor di filosofia arriviamo a raccontare come il regista Giovanni Maria Currò (e autore della drammaturgia insieme a Giusi Arimatea) cerca di spiegare i fatti del suo testo e le scelte dei personaggi in scena, uomini che hanno inconsapevolmente seguito uno schema nei loro percorsi di vita, arrivando a considerare superflue le loro ambizioni e relazioni; e così tentano, la mattina del 9 maggio 1978, di ridisegnare il loro destino, compiendo una scelta radicale e dalle conseguenze niente affatto semplici.

Angelo Maggio

Il sipario si apre su quella mattina degli anni ’70, in Sicilia, nel salone di un barbiere. La scenografia è essenziale e rispetta l’epoca, pochi gli oggetti: una seduta con specchio, due sedie, un attaccapanni, un portagiornali e un mobiletto con sopra un rasoio e altri attrezzi del mestiere di barbiere, una radio con musicassette le cui canzoni accompagnano tutto lo spettacolo. Tanino il barbiere, interpretato da Mauro Failla, è un uomo che vive di saggezza popolare più che di cultura, ha imparato a conoscere il mondo – o per meglio dire il suo mondo – attraverso i suoi clienti. Il 9 maggio 1978 entra nel suo locale per farsi la barba “il professore”, Tino Calabrò, un uomo schivo e altezzoso. Durante la rasatura Tanino tenta di farsi dare informazioni sui brigatisti da cui è terrorizzato per via dei disordini che attraversano l’intera penisola in quel periodo, tra le mosse ambigue dello Stato italiano – polarizzato ai due lati più estremisti e violenti –, e le azioni delle Brigate Rosse. Erano anni di violente rivolte di piazza e in Sicilia Peppino Impastato combatteva la sua battaglia contro la mafia.
Nonostante la preoccupazione, il barbiere si sente rassicurato da una convinzione: «tutti dicono che la mafia ci protegge dai brigatisti». Alla faccia delle rassicurazioni, però, all’improvviso irrompe in scena un uomo con pistola e passamontagna, inizialmente scambiato per un brigatista: l’interprete è Alessio Bonaffini, che dopo aver compiuto una mal riuscita rapina in banca, si rifugia tremante nel salone di Tanino, prendendo in ostaggio professore e barbiere.

Da qui in avanti a scandire il tempo che passa sono le interruzioni dei carabinieri – mai presenti in scena – che tentano di far costituire il ladro: si sentono le loro voci provenire da un altoparlante. Ed è grazie all’irruzione del ladro che inizia un altro viaggio nella vita dei personaggi, profondamente diversi eppure egualmente insoddisfatti e arresi alla monotonia della vita, pirandelliani. Con i racconti delle loro disavventure passate muovono a compassione gli spettatori che colgono un certo humour nella situazione creatasi nel salone. Un nascondiglio per sfuggire alle guardie, con ostaggi annessi, diventa luogo di dibattiti culturali e intime chiacchierate: ognuno avrebbe voluto vivere una vita diversa da quella in cui si trovano, sono incastrati dal destino e dalla paura di fallire.
E tra un intervento del commissario, qualche canzone e i racconti arriva dalla radio la notizia della morte di Aldo Moro. Moro è  un esempio di chi ha combattuto per i suoi ideali anche sapendo di rischiare la vita: l’opposto dei tre personaggi in scena. Spetta al professore spiegare il motivo dell’uccisione dello statista, dicendo che in fondo i brigatisti, o meglio il loro mandante, hanno fatto ciò che Tanino fa ogni giorno con i suoi strumenti, tagliando via la barba: si taglia via il superfluo. La scelta più semplice e comoda.

crediti foto: Angelo Maggio

Difficile liquidare il caso così frettolosamente, ma parrebbe trattarsi di un pretesto per analizzare le scelte dei tre uomini che hanno sacrificato “all’immobilità la voglia di tentare”, scegliendo la strada più semplice o ancor peggio non scegliendo affatto. Iniziano a credere per qualche istante di poter modificare il loro fato. E così Tanino dal proscenio rompe la quarta parete e avverte il pubblico di non crearsi false speranze: «davvero le cose sarebbero potute cambiare se la mattinata fosse finita lì, ma non siamo noi a scegliere quando calare il sipario».
Il testo si focalizza non sulla macro storia dell’omicidio di Aldo Moro e i relativi anni di piombo, bensì su come quegli anni di confusione socio-politica si siano ripercossi sulle vite dei singoli, privi di ideali e di punti di riferimento, persone che non hanno saputo come comportarsi sotto quello “strappo nel cielo di carta” di pirandelliana memoria, bloccati dalle convenzioni sociali e dalle loro paure.

Questi tentennamenti e incertezze sono anche nei movimenti degli attori sul palco, coerenti con il carattere dei personaggi: Tanino si muove in modo ansioso, il professore in modo sicuro e pacato anche quando gli viene puntata una pistola alla tempia, e il ladro in modo scomposto e incerto, spesso tremante nei movimenti e nella voce. Tino Calabrò e Alessio Bonaffini, bravi e convincenti, Mauro Failla spicca interpretando un personaggio comico e drammatico al tempo stesso.
Dal punto di vista della fluidità narrativa lo spettacolo è ben costruito su un continuo agganciarsi di battute su battute che stemperano e portano a una miglior comprensione del racconto. Bello il gioco dei paradossi che arriva a ribaltare i ruoli rendendo il professore l’alunno del ladro acculturato, e Tanino, da semplice barbiere che parla spesso a sproposito, detentore della cultura del sapersi accontentare e della saggezza popolare in cui ha trovato il modo più semplice di vivere.

IL RASOIO DI OCCAM

produzione Clan degli attori
drammaturgia Giusi Arimatea e Giovanni Maria Currò
regia Giovanni Maria Currò
attori Mauro Failla, Tino Calabrò e Alessio Bonaffini
aiuto regia Giusi Arimatea

Matrioska festival, Lamezia Terme – Teatro F. Costabile | 09 luglio 2021