RENZO FRANCABANDERA | È iniziato lo scorso fine settimana e proseguirà a Milano fino al 19 settembre Tramedautore – Festival Internazionale delle Drammaturgie, realizzato da Outis – Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea, fondato da Angela Lucrezia Calicchio, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano e con Mare Culturale Urbano, per la nuova direzione artistica di Andrea Capaldi e la consulenza artistica di Michele Panella.
Superata la soglia dei vent’anni, il Festival che si snoda tra i prestigiosi palcoscenici del Teatro Studio Melato, dello Strehler, del Grassi, oltre allo spazio aperto del Chiostro Nina Vinchi, compie un importante passaggio di consegne. Abbiamo intervistato il nuovo direttore artistico.

Andrea, inizia una nuova avventura professionale. Dove nasce la strada che ti porta a questa responsabilità artistica?

La strada che mi porta qui è naturale conseguenza di un attraversamento di tante vite, un arricchimento di un percorso e di una passione che nasce da lontano, essendo prima di tutto appassionato spettattore, poi anche attore e performer per dieci anni in palcoscenici molto diversi tra loro. Fino a quando, nel 2016, abbiamo fatto nascere Mare Culturale Urbano e il gesto artistico si è ampliato, allargato, nel tentativo di restituire al processo creativo e alla fruizione artistica la sua funzione più puramente politica sempre più vicina alle persone e a una comunità di riferimento. Diventare direttore artistico di un festival così importante come Tramedautore, quindi, per me, oltre a essere un onore è soprattutto un tassello molto importante in questo cammino professionale e umano che ha un obiettivo ambizioso, direi quasi utopico: far sì che gli artisti possano aiutare gli altri a capire sempre di più e a migliorare la loro vita, a diventare cittadini più consapevoli e persone con un’anima più grande.

Non si ha un po’ paura per un festival che di fatto da anni è una sorta di ideale pre-stagione del Piccolo Teatro che lo ospita, oltre che una rassegna dalla storia così definita?

Più che paura, la definirei “esaltazione”. Quando decisi che il teatro sarebbe stata la mia vita, avevo un desiderio fortissimo di entrare nella Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Tentai l’ingresso in varie scuole e il Piccolo, nonostante avessi fatto tre mesi da uditore e avessi una sintonia molto forte con gli ex allievi e gli insegnanti, non mi prese. Per me fu una sconfitta che mi spinse a Roma per frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Continuai comunque a seguire il lavoro, soprattutto pedagogico, di Luca Ronconi, tant’è che nei giorni di riposo dall’Accademia tornavo a Milano per assistere alle lezioni del maestro, da uditore. Questo investimento, anche economico ma soprattutto di passione, è poi stato ripagato perché il primo spettacolo in cui ho recitato appena uscito dall’Accademia era diretto da Ronconi, per le Olimpiadi di Torino e in co-produzione proprio con il Piccolo Teatro.
Il Piccolo per me è un padre putativo, quindi tornare nella veste di direttore artistico di un festival così importante, ospitato in tutte le sale di questa istituzione così prestigiosa nel panorama teatrale internazionale, mi fa provare un’emozione che è tutt’altro che ascrivibile alla paura, appunto, ma è esaltazione.
Rispetto all’ereditare la prestigiosissima storia di Tramedautore, l’esaltazione diventa puro divertimento; è pura gioia il poter andare alla ricerca di progetti interessanti, confrontarsi con gli artisti, poter dare un’opportunità a realtà giovani che difficilmente riuscirebbero ad atterrare in una piazza importante come Milano, cercare di trovare le chiavi giuste per arricchirci reciprocamente dell’incontro che ci offre il Festival.

Quale rapporto personale c’è con chi ti ha preceduto e con le figure storiche di Tramedautore che l’hanno creato?

Con Angela Lucrezia Calicchio, fondatrice e anima di Outis – Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea e di Tramedautore, ci lega una profonda stima reciproca: grazie a lei, il percorso di avvicinamento alla direzione artistica del Festival è stato molto organico, fatto con i passi e i tempi giusti. La stessa stima mi lega alle direzioni che si sono avvicendate nel corso di questi ultimi anni.
Sia con Benedetto Sicca, sia con Michele Panella condividiamo intenti animati da una visione molto simile di ciò che il teatro rappresenta all’interno della nostra società in questo momento storico. Prendere il testimone, dunque, non solo è stato un onore ma anche una conseguenza che definirei organica e in totale continuità, essendo Michele Panella consulente artistico di questa edizione del Festival, dopo essere stato direttore e membro del comitato artistico per molti anni.

Cosa è Tramedautore oggi e cosa vuoi che diventi? Quale è il tracciato ideale e anche il segno artistico personale che vuoi dare a questa rassegna?

Questa edizione non ha nessun tipo di strappo rispetto alle edizioni passate, anzi. Procede in un solco molto chiaro e in totale continuità e sintonia con il lavoro fatto da Benedetto Sicca e poi da Michele Panella prima di me. Un’intuizione importante è stata quella di declinare al plurale la parola ‘drammaturgia’, contemplando un’ibridazione di linguaggi artistici presente non solo all’interno della rassegna, ma individuabile all’interno di ciascuno spettacolo. Questa è una linea guida fondamentale su cui spingerò molto, oltre a quella che riguarda il confronto-scontro tra generazioni diverse, nella volontà che il teatro possa riappropriarsi di quella funzione più puramente politica e catartica che deve avere all’interno della società, riscoprendo il rito collettivo come fondamento dell’atto performativo, per ritrovarsi in assemblea e confrontarsi su ciò che avviene nel presente, per costruire insieme un futuro più sostenibile per tutte e tutti. Questa è una funzione che la drammaturgia e le drammaturgie possono e devono svolgere.
Allo stesso modo, come dicevo prima, gli spettatori devono ritrovare l’attitudine a farsi guidare in un percorso che può essere davvero curativo grazie al lavoro degli artisti.

In che modo questa cosa cambierà il tuo profilo personale? È la fine di una parte del tuo percorso con il teatro per quello che è stato finora o tutto può coesistere?

Non so se tutto può coesistere, sicuramente tutto rientra in fasi della vita che si arricchiscono reciprocamente. Sono il direttore artistico di Tramedautore che sono proprio grazie al mio passato di attore, grazie alla mia esperienza in Mare Culturale Urbano e magari tornerò performer a sessant’anni su un palcoscenico, e lo sarò in modo diverso rispetto a quando avevo trent’anni proprio grazie al fatto di essere stato anche direttore artistico di questo festival. Tutte le cose che facciamo sono così intense che necessitano di una quantità di energia molto importante per poterle vivere in maniera egregia. Non possono coesistere allo stesso tempo troppe vite, ma tante vite diverse possono far parte di fasi differenti del proprio percorso esistenziale, professionale e umano.

Progetti già la prossima edizione? Riesci a pensare addirittura all’anno prossimo?

Certo, sto già pensando all’edizione dell’anno prossimo. Eravamo consapevoli del fatto che questa sarebbe stata un’edizione “ponte” che, date le contingenze storiche, non è stata progettata nell’ottica di maggior apertura e respiro, di evoluzione della linea artistica di cui abbiamo parlato. L’utopia (“utopica” solo al momento) è quella che Tramedautore possa diventare da festival di ospitalità un festival di produzione, andando a sostenere delle realtà giovani, diventando un’opportunità ancora più importante di quella che attualmente rappresenta. Un’opportunità di sperimentazione e di laboratorio di linguaggi e di una nuova relazione tra l’artista, l’oggetto creato e le persone che fruiscono della creazione.

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