SARA PERNIOLA | Il teatro della compagnia italiana La Gaia Scienza – composta da Alessandra Vanzi, Giorgio Barberio Corsetti e Marco Solari – negli anni Settanta era immerso in succosi frutti post-avanguardisti, che aveva contribuito a far maturare in molti modi; fra questi si ricorda l’adattamento per la scena de La rivolta degli oggetti, poema di Majakovskij del 1913, un testo pericoloso da cui trarre linfa.
Nello spazio teatrale del Beat ‘72 a Roma, la compagnia sperimentava la cultura del dissenso, attraverso una concreta presenza fisica, alimentata dalle pratiche della contact improvisation di Paxton e dalla nuova gestualità. 

Se è vero che ogni rappresentazione è unica e irripetibile, il tentativo da parte di un gruppo di artisti di riallestire quarant’anni dopo lo spettacolo d’esordio della storica compagnia di ricerca, risulta essere una scommessa interessante: apre spiragli di emotività e creatività tra il pubblico e rende più snebbiato lo sguardo. 

I tre giovanissimi performers di Fattore K (Zoe Zolferino, Dario Caccuri, Lorenzo Garufo) in questa nuova pièce andata in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna – ma che ha debuttato nel 2019 – sono guidati dalle indicazioni degli interpreti originali e seguono ora con leggiadria ora con forza le istruzioni insite nei frammenti del testo di Majakovskij e negli elaborati dai registi stessi, che lasciano cicatrici ed eccedenze, come anche desiderio e furore. 

Lo spettacolo inizia. Un rumore derivante da un tonfo, un rotolo di carta stagnola casca per terra e perde il suo spessore, rigirandosi più volte su se stesso, lungo la diagonale destra dello spazio teatrale.
Subito dopo la voce calda di Alessandra Vanzi accompagna i movimenti sfalsati, gli scatti nervosi e le cadute improvvise della performer Zolferino, che percorre quella via di carta argentata con un’espressione di allucinato distacco: «
Oh, scusatemi! Ho dimenticato di respirare. Occhi verdi, di vetro, nessun dolore, corpo leggero, tempo dilatato», sentiamo dire dalla voce off.
Viene introdotto così il Poeta, Vladimir Majakovskij. Spregiudicato, crea la sua poetica provocatoria per dichiarare guerra alla guerra stessa, per rifiutare la nauseabonda eredità politico-culturale del suo tempo e di sempre, per arrivare alle soglie della storia. É un «Re Magio» che porta doni nascosti tra i vocaboli e i concetti. Insiste nel rinnovare il pathos su un mondo colmo di respiri silenziosi, fatto da palazzi stremati e popolati da anime stroncate.

Per i personaggi in scena solo abiti semplici, chiari. Come se volessero significare che bisogna passare dall’oscurità a una qualche misura di luce. L’essenzialità del vestiario si ispessisce poi con tre paltò e tre cappelli: l’incontro con i corpi rovescia gli organici valori fisico-spaziali, gli oggetti si animano, si ribellano, provocando convulsioni involontarie e brusche. Sono abiti mossi da grida ruvide in procinto di squarciare le membrane di tamburi velati. Cercano spalle di anime nuove da poter riscaldare, accompagnandole nel seducente cammino che conduce alla libertà.
Subito l’attenzione si sposta sul groviglio di corde gialle, che si intrecciano sospese sulla scena e costituiscono un importante segno registico sotto il quale i performers tratteggiano impressioni e allusioni tra volteggi ossessivi e sguardi appassionati, mimando «baci grassi» a ritmo di una danza fluida e dissonante.
Le funi, perciò, insieme ad altri pochi oggetti che popolano lo spazio scenico – una scala, delle pistole, un violino scordato, la scultura rappresentativa del poeta – sono alcuni degli elementi che compongono il quadro dello spazio agito. La musica e le luci ombrose lo completano, determinando un ritmo di contemplazione intima e raccolta, all’interno di una realtà distopica e provocatoria.

Ciò che il racconto teatrale dona è il peso dell’attesa della rivoluzione e delle sue ricerche affannose. Gli attori si muovono nello spazio in una danza avventurosa dello spirito, in quella che sembra essere una chiamata a tutti i proletari del pianeta. Certo, ci interroghiamo oggi anche sul fatto che pochi siano i proletari a occupare posti in platea nei teatri.
Se l’intento dello spettacolo non è quello di ricostruzione storica o di omaggio autobiografico, lo è nel senso di dare vita a un incontro tra epoche, esperienze e corpi diversi, cercando di fare centro nello stesso bersaglio. È il riproporre nella contemporaneità che «l’arte non è uno specchio su cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo», come direbbe il poeta, con ribellione, sdegno, esprit provocateur; è anche il ricordare l’atto politico sovversivo che riflette l’intenzione stessa di cambiare questa realtà in modo progressivo.

Anche se i versi proposti sono sintetizzati da una gestualità in certi momenti fin troppo scattante, esile, in una struttura a intervalli che possa equilibrare le fasi di silenzio e di recitazione, questo accesso non graduato non disturba e La rivolta degli oggetti si dimostra essere uno spettacolo coraggioso, che ricorda come i limiti non siano i punti in cui una cosa finisce, ma ciò da cui si parte affinché possa trovare la sua essenza.
Cosa è cambiato rispetto alla rappresentazione del ‘76? Molte cose: il testo del poeta ricostruito interamente e non più per frammenti, ad esempio, senza più giochi di improvvisazione. Come anche la recitazione di pezzi poetici scritti dai registi, sintomatici della necessità di riraccontarsi e di coprire lo spazio temporale. Il nuovo giovanissimo trio costruisce un ponte sul quale incontra i registi ventenni, animati dall’esigenza di interiorizzare e di condividere una pratica artistica che incorpori la possibile rivoluzione.
«Che dev’esserci un modo di vivere senza dolore», come direbbe Fabrizio De Andrè.             Majakovskij, il teatro, aiutano a cercarlo.

LA RIVOLTA DEGLI OGGETTI

testo di Vladimir Majacovski con testi di Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari, Alessandra Vanzi
regia Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari, Alessandra Vanzi
interventi scenografici Gianni Dessì
con Dario Caccuri, Lorenzo Garofalo e Zoe Zolferino
tecnico Tiziano Di Russo
sarta Gloria Margarita Humàn Rojas
assistente di produzione Ottavia Nigris Cosattini
produzione Fattore K. 2019
in coproduzione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Romaeuropa Festival e Emilia Romagna Teatro Fondazione
Si ringraziano Tiziano Terzoni e Antonio Iodice

Teatro Arena del Sole, Bologna
22/24 ottobre 2021