SUSANNA PIETROSANTI | Un cono di luce fumosa in un palco buio. Due donne vestite di beckettiani tailleur a scacchi, identiche come collegiali invecchiate, volti scavati come maschere, capelli canuti raccolti in crocchie disordinate, guadagnano il cerchio di luce. Entrambe aprono un quadernetto nero e lo scrutano attraverso gli occhiali di tartaruga scesi sul naso. Quella a destra con la mano dà l’avvio. E così inizia un concerto di voci sovrumano, in cui le due interpreti diventano una, in cui le loro voci dimostrano quanta capacità flessibile, molteplice, musicale possa raggiungere la vocalità umana, affidata a una tecnica divina e geniale.

Inizia così Il regno profondo. Perché sei qui? spettacolo della Socìetas, che compone assieme a La vita delle vite e Dialogo degli schiavi il ciclo Il regno profondo. La forma è quella di una lettura drammatica nata dalla penna di Claudia Castellucci – alcuni frammenti sono contenuti nel suo Uovo di bocca. Scritti lirici e drammatici, edito nel 2000 da Bollati Boringhieri – che la regia vocale di Chiara Guidi ha trasformato in un virtuosistico “recitar cantando” di stupefacente potenza. Si tratta dello spettacolo conclusivo della coraggiosa iniziativa Lucca Visioni, rassegna di teatro contemporaneo organizzata dal Teatro del Carretto, curata con attenzione e competenza  da Jonathan Bertolai in programma dal 22 al 28.             Il tema conduttore, l’intimità, è stato declinato in vari linguaggi e ha proposto un affascinante incrocio di sfumature emotive e contaminazioni,  con quattro spettacoli che hanno affrontato temi cruciali quali inconscio e daimon, desiderio di morte, vecchiaia, crisi di sicurezze ribadite e consolidate. Così ecco Lo psicopompo, scritto e diretto da Dario de Luca e prodotto da Scena Verticale, ecco Ferrara Off con Futuro Anteriore. Ecco ANIMA! cinque paesaggi di Leviedelfool, e infine lo spettacolo della Societas, vertice conclusivo dell’iniziativa.

Le due performer, sul palco, portano a livelli profondi il tema prescelto, trascinandoci tutti in un’indagine inaudita sull’intimità. Strettamente intima è la loro fusione iniziale, quando le due voci diventano una, e fuse insieme in un’emissione sola svolgono una monodia ritmica di domande, rivolte spesso a una divinità, a un principio trascendente, dapprima con reverenza, poi con maggiore, aggressiva, sfrontatezza. Le loro parole, comunque, difendono nel profondo la logica, il senso, la sacrale profondità e pesantezza del ragionamento e del linguaggio. Sebbene il gramelot para- dialettale creato da Chiara Guidi per lo spettacolo possa addirittura virare verso effetti comici, è innegabile che la sanguigna forza di questo genere linguistico serva per approfondire ancora di più la serietà cosmica delle domande che si generano sempre più veloci, sempre più incalzanti.

Le due voci, alla fine, si scindono. Non l’intimità. Le attrici iniziano a parlare tra loro impiegando un codice estremamente confidenziale, fitto di riferimenti a un loro profondo rapporto; lo spettatore si sente improvvisamente escluso dalla loro intima relazione, e gli è negata ogni possibilità di sfruttare strumenti razionali per decifrare cosa accade sul palcoscenico. Eppure il messaggio, sottilmente, intimamente, viene trasmesso: ridare senso alla parola. Ridarle una corrispondenza di senso e suono. Renderla di nuovo viva, renderla specchio di senso. Ciao, dice una performer all’altra, e l’altra reagisce: che cosa mi hai detto, davvero, chiede, che cosa? Una parola disimpegnata, lanciata nel vuoto solo come geroglifico sonoro, non significa niente. E non significano niente le parole impoverite, rese solo veicolo di poverissima informazione, le indicazioni pubblicitarie o strettamente geografiche, che per due volte vengono proiettate sullo sfondo nero del teatro abbuiato, specchio evidente di quanto la parola possa essere deformata, allontanata dal suo valore originario, svilita a una luce al neon che dice qualcosa, ma non significa nulla. Del resto, anche i suoni che sopraggiungono durante la lettura, squilli di tromba, tuoni, applausi, e altri stimoli acustici (la partitura sonora è firmata da Scott Gibbons e Giuseppe Ielasi) vengono ignorati dalle voci recitanti, come privi di valore, oppure situati in un’altra dimensione temporale, comunque non in grado di essere incisivi sull’azione, nel presente, o di farsi largo nella stretta incalzante della sticomitia melodica che solo preme effettuare.

Uno spettacolo sublime ed ermetico. Come molta grande arte, in qualche momento addirittura disturbante. Uno spettacolo che pretende dal suo pubblico insieme grande abbandono e grande impegno per avere almeno la possibilità di penetrarne il segreto. Un segreto, del resto, difficile da spiegare con mezzi razionali, ma percepibile intimamente. Mille parole per indagare il mistero inspiegabile del divino e l’infinito del nostro essere umani: l’infinito più grande, scrisse Mark Strand, è quello che sta dietro le palpebre chiuse. Oppure, dentro e dietro le labbra dischiuse.

IL REGNO PROFONDO. PERCHÉ SEI QUI?

testo Claudia Castellucci
regia vocale Chiara Guidi
interpretato da Claudia Castellucci e Chiara Guidi
musica Scott Gibbons, Giuseppe Ielasi
tecnica Francesca di Serio, Eugenio Resta, Andrea Scardovi
produzione Societas

Teatro del Giglio per Lucca Visioni
27 novembre 2021