LORENZO CERVINI | Giacomo Lilliù e Matteo Principi non risparmiano estremi espressivi: ingozzarsi fino a soffocare, applaudire fino ad accasciarsi paonazzi, sghignazzare, sputare.
Sul palco nudo da cui si erige uno schermo di teli per proiezioni, i due si materializzano come ologrammi dalle pagine de La teoria della classe disagiata, in questo allestimento di cui Lilliù firma la regia e che porta in scena il testo di Sonia Antinori, ispirato all’omonimo saggio di Raffaele Alberto Ventura e andato in scena al Teatro delle Spiagge di Firenze a Dicembre scorso.

Il cuore di Teoria della classe disagiata è l’esposizione del nostro ruolo di perpetuatori dei meccanismi autodistruttivi di creazione ex novo.
Nell’animazione di inizio spettacolo, uno stormo di uccelli appare sospeso a mezz’aria, in equilibrio tra il salto e l’impatto a terra.
Dodo, mito e avvertimento, uccello incapace di volare precipita dal cielo.
Il contatto con gli invasori umani ha provocato l’estinzione totale del dodo, indisturbato nel suo ambiente protetto. Il suo corpo, ricostruzione incerta da frammenti impagliati, mostra un totale accomodamento ad un’esistenza priva di pericoli. Inutilità che si estende alla sua carcassa vuota: “uccello dalla carne insapore” lo definiscono gli olandesi, disfunzionale allo sfruttamento.
L’immagine del dodo è presentata come analogia di una classe sovrappopolata di lavoratori intellettuali senza speranze di sopravvivenza. Questi sono i soggetti di scena, i tecnici e gli osservatori a teatro dell’adattamento di MALTE e del Collettivo ØNAR.

La teoria della classe disagiata
Foto di Flavia De Benedictis

La sospensione in caduta libera si rivela prefigurazione degli eventi a cui assistiamo.
I cinque atti sono ipotesi e sviluppo della teoria di Raffaele Alberto Ventura, in un andamento continuo di crescita e successivo collasso.
L’analisi di Ventura, che nei suoi libri ha analizzato le contraddizioni della modernizzazione con particolare attenzione agli effetti dell’accumulazione e della ricerca del riconoscimento, illustra le origini di una crisi del dominio occidentale, dal colonialismo britannico al boom industriale. Riflessa nell’espressioni culturali e artistiche dei secoli passati e vicini, la crisi determina la profilazione di un archetipo di cittadino dell’impero.
Il prosumer è una figura che aspira a posizione intellettuali e amministrative, di derivazione borghese.
Consuma avidamente e produce con efficacia meccanica, contenuti in numero superiore all’assorbimento. Trasforma sé stesso in cliente fiduciario dei suoi avversari, accettando lavori sottopagati, competitivi, con l’aspirazione dell’1% nel suo settore di riferimento.
Con l’intenzione di voler trarre dal saggio economico una disciplina applicativa, l’adattamento drammaturgico di Sonia Antinori capovolge i temi affrontati nei capitoli. Quello che è descritto come simbolo e riflessione conclusiva del testo, il dodo estinto, è introduzione allo spettacolo. La figura che definisce la “malattia” che affligge la classe disagiata, Madame Bovary, è incipit del libro e conclusione tragica degli eventi scenici.
La vastità delle tematiche e dei riferimenti storici è tradotta come salto vignettistico da pratica attoriale a pratica attoriale. Dai finti esercizi di studio teatrale al monologo, dai brevi momenti improvvisati all’interazione col pubblico, siamo resi partecipi di un’impotenza risolutiva.

Raffaele Alberto Ventura
Raffaele Alberto Ventura

Lilliù e Principi si cimentano nel racconto multiforme con intesa di duo comico. Interpretano sé stessi, la loro astrazione di attori in prova, due borghesi.
Lilliù imita personaggi reali e di invenzione, come Carmelo Bene, Vittorio Gassman, Simba de Il re leone. Principi fornisce il suo viso per un fotomontaggio di vari ritratti di donne “alla moda” dei secoli scorsi.
La frammentazione dei linguaggi rappresentativi è accentuata dal buio in sala che taglia le sequenze indicandone il termine. Il fermo immagine avvolge gli attori e il pubblico, che è coinvolto in modo incerto nello sviluppo delle vicende.
Lilliù annuncia l’abbattimento della quarta parete ma l’interazione che ne deriva non è sempre funzionale alla risoluzione dei quesiti della teoria. Questa ambiguità tra realtà e teatrale è rivelazione di una colpevolezza che coinvolge tutti, chi legge, guarda o produce, chi è sul palco o seduto in platea.
In una compresenza, sempre più indefinita, di passato e presente irrealizzato, il prosumer artista è in lotta di sopravvivenza con tutti gli artisti che sono venuti prima di lui, dall’inizio documentato dell’accademia.
Nel paesaggio puntinista del racconto economico di Ventura, teste scolpite nella montagna, sorgenti di acqua dolce e prati fioriti sono le numerose citazioni di teorie e personaggi (letterati, drammaturghi, poeti, filosofi, sociologi), che forniscono materialità alle radici della sua stessa teoria. Consapevole dell’infinità che lo procede, Ventura caratterizza la sua tesi con dissonanza di un narratore principale e impersonale della storia, descrivendo la sua condizione, ai lettori, soggetti e condivisori della sua posizione.

La teoria della classe disagiata
Foto di Claudio Penna

La coesistenza nella stessa figura, di analista e analizzato, evidenzia le contraddizioni su cui la classe di lavoratori culturali agisce.
Sono due prosumer, per definizione del saggio, che vestono gli abiti di due borghesi di inizio Novecento per spiegare il mercato delle idee.
Nel quadro centrale, l’acquistata consapevolezza del meccanismo perverso dello scambio, si manifesta in azioni di contrasto per risalire o affondare.
Con la formula di un problema elementare, Lilliù somma mele come fossero investimenti e Principi aggredisce la fruttiera per assorbire la quantità maggiore possibile di ricchezza. In questa esplosione di ingordigia mentale, il palco si ricopre di pezzetti mozzicati, di sputi, in una catena di distruzione che viene interrotta solamente dal buio in sala.
Questa dinamica maggiormente indica il fulcro di Teoria: autodistruzione e rassegnazione. Criticare, a teatro, gli stessi meccanismi sotterranei per cui si può lavorare, a teatro, ci pone di fronte un bivio etico tra coinvolgimento economico e godimento intellettuale.

Allo sfaldarsi della terra che sostiene, Teoria ci mostra l’abbandono della presa e l’accettazione di una posizione disarmata. Affrontando lo sconforto di scoprirsi artefici del problema, acquistiamo un senso di libertà inedito. Una liberazione pur sempre temporanea, di cui è annunciata la fine.

TEORIA DELLA CLASSE DISAGIATA

di Sonia Antinori
dal saggio di Raffaele Alberto Ventura (editore minimum fax)
con Giacomo Lilliù, Matteo Principi
regia Giacomo Lilliù
drammaturgia Sonia Antinori
video Giulia Coralli, Matteo Lorenzini, Piergiovanni Turco
sound design Aspect Ratio
scene Lodovico Gennaro
costumi Stefania Cempini
luci Angelo Cioci
Produzione MALTE & Collettivo ØNAR / Marche Teatro
in collaborazione con AMAT, Comune di Pesaro
con il sostegno di MiC, Regione Marche
con il supporto di Loop Live Club
selezione Festival CrashTest 2020

Foto in copertina di Claudio di Penna
Teatro delle Spiagge, Firenze l’11 dicembre 2021