LAURA NOVELLI | L’atmosfera è quella sommessa e greve di un threnos pietoso che interroga le coscienze di ciascuno sulla crudeltà dell’inganno, sul non senso del sacrificio, sullo strappo della perdita, sul dolore dell’esilio, sulla scelleratezza della guerra. Di ogni maledetta guerra. E se ai tempi del debutto (era il 2020), l’attualità de La caduta di Troia, assolo che Massimo Popolizio ha tratto dal II Libro dell’Eneide virgiliana, si annodava intorno a conflitti geograficamente più o meno distanti da noi, oggi risulta impossibile non sentire nei versi del grande poeta mantovano le urla, le paure, i tremori, le angosce di un conflitto che è dietro l’angolo e che bussa, con prepotente pathos tragico, alle porte dell’Europa.
È dunque anche questa luttuosa assonanza con la cronaca odierna che conferisce al monologo, prodotto dalla Compagnia Umberto Orsini e sorretto dalle splendide musiche di Stefano Saletti, un afflato umano denso di emozioni e al contempo privo di retorica, capace di mutuare, attraverso la poesia, le evoluzioni vocali dell’interprete e il corpo musicale della partitura, temi necessariamente universali. Temi che ci toccano, ci riguardano, ci chiedono risposte, ci distolgono dal mito per renderci testimoni di una storia, o meglio: della Storia.

Non è un caso d’altronde che Popolizio – non nuovo a operazioni del genere e basti citare titoli fortunati quali Furore o Pasolini. Una storia romana – abbia scelto proprio il II Libro del grande poema latino. È qui, infatti, che Virgilio racconta l’astuto stratagemma del cavallo di legno offerto in dono a Ilio dagli Achei e il feroce attacco notturno alla città che ne derivò. Ed è sempre qui che il poeta affida a Enea-narratore (la scena si svolge alla corte di Didone, regina di Cartagine, e tutto l’episodio è ricordato in un lungo flashback) il racconto della fuga di questi da Troia incendiata, con il vecchio padre Anchise, il figlioletto Ascanio e la moglie Creusa, morta poco dopo aver lasciato le macerie della propria terra.
E ancora qui si annuncia la missione fondativa dell’eroe troiano, mentre al contempo si delinea il suo carattere moderno, fragile ma ubbidiente, pervaso da un emblematico sentimento di pietas. Qui trasuda la sua anima grande, il suo attaccamento alla terra e agli affetti familiari, la sua compassione per i tanti esuli che – siamo alle battute finali del libro – si affollano intorno a lui “parati all’esilio”. Insieme al leitmotiv della guerra, quello dell’esilio e delle migrazioni occupa, infatti, uno spazio di particolare riguardo all’interno di questa complessa evocazione. Segno di un vivo interesse da parte di Popolizio stesso che, nel corso della prossima stagione teatrale affronterà, come regista e interprete, un testo quanto mai significativo in tal senso: Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller (coproduzione Compagnia Umberto Orsini/Teatro di Roma/Emilia Romagna Teatro).

Seduto quasi in penombra davanti a un leggio, l’attore sceglie un registro espressivo molto equilibrato, a tratti quasi sottoesposto, scevro di clamori e bruschi passaggi vocali, omogeneo, fluttuante. Naturalmente non si limita a riferire i versi, e teatralizza i differenti momenti emotivi, i diversi personaggi e ciò che già nel testo giganteggia, ovvero la sua fisiologica natura di racconto per immagini prende corpo nelle percezione del pubblico come un compassato tableau vivant di chiaro impatto cinematografico. La “sceneggiatura” virgiliana attraversa così tonalità e timbri vocali adagiati sui versi stessi (quegli ariosi esametri già di per sé musicali e salmodianti anche in traduzione italiana) prediligendo declinazioni tenui, pacate e insieme vibranti, a volte persino arrendevoli; non per questo, tuttavia, poco incisive. Anzi: quasi per contrappunto quella voce bassa cattura il pubblico, lo tira dentro, lo costringe a immaginare, a costruirsi un proprio montaggio interiore.

E ancora meglio il meccanismo funziona perché la musica eseguita dal vivo “agisce” come elemento drammaturgico imprescindibile, sia dal punto di vista formale sia da quello contenutistico. I tre artisti in scena, oltre allo stesso Saletti, l’iraniano Pejman Tadayon e la cantante Barbara Eramo, cantano in ladino, aramaico, ebraico e sabir (antica lingua del Mediterraneo). Suonano strumenti della tradizione mediorientale come l’oud, il bodhran, il kemence, il daf. E soprattutto evocano una scatola sonora di suoni, melodie, richiami, nenie, presagi materici, cui la straordinaria voce di Barbara Eramo regala spesso picchi di intensa spiritualità.


Via via che la narrazione procede, via via che l’inganno del cavallo si trasforma in massacro di uomini, donne, bambini, via via che la stirpe di Priamo e Priamo stesso muoiono per mano nemica, via via che l’incendio divampa nell’antica città anatolica questo Enea in camicia e pantaloni, Virgilio del terzo millennio, percorre l’irragionevolezza umana in tutte le sue sfumature. Si fa eroe-testimone dei suoi e nostri tempi. Si fa padre, marito, figlio, cittadino, esule sconsolato.
Certamente tutti sappiamo che gli dèi hanno voluto così, che un’alta impresa attende il troiano nella penisola italica, che dalla sua genìa nascerà un grande impero. A ben vedere, però, assai poco conta tale consapevolezza collettiva di fronte alla barbarie di un popolo devastato da un altro popolo. Semplicemente perché, rispetto alla più scandalosa tragedia dell’umanità, persino la missione “fatale” di un eroe classico, persino la sua perentoria Ananke, da assolvere in nome del Mito e della Storia, passa in secondo piano per dare respiro alla sua memoria più intima, al bisogno di ricordare, di dire, anche a bassa voce, quello scandalo. Quella tragedia. Ieri come oggi.

Lo spettacolo è andato in scena al Teatro India di Roma all’interno del programma dell’Estate Romana 2022 ed è disponibile anche su Rai Play in una registrazione effettuata proprio a India nel 2020 con regia televisiva di Marco Odetto. (https://www.raiplay.it/programmi/lacadutaditroia).

LA CADUTA DI TROIA
dal Libro II dell’Eneide
interpretazione Massimo Popolizio
con musiche di Stefano Saletti
eseguite dal vivo da Stefano Saletti, Barbara Eramo e Pejman Tadayon
Produzione Compagnia Orsini

Teatro India, Roma
27 luglio 2022