CHIARA AMATO | Nei primi giorni di settembre è andato in scena a Milano L’abisso lo spettacolo di e con Davide Enia, tratto dal romanzo Appunti per un naufragio (Premio Mondello 2018), e con le musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri.
Già portato al successo da Italia-Brasile 3 a 2, pièce teatrale sulla gloriosa partita del 1982, che nel 2002 ha scritto, diretto e interpretato, Enia da oltre un anno collabora con il Piccolo Teatro di Milano.
L’abbiamo intervistato per approfondire i temi de L’abisso e per parlare dei suoi progetti futuri.

L’abisso, sui palcoscenici dal 2018, è tornato in scena a Milano nell’ambito di “Milano è viva nei quartieri”, presso il centro di produzione artistica “Mare culturale urbano”. Dopo 5 anni di repliche in cosa pensi che lo spettacolo sia rimasto fedele alla sua forma originaria e in cosa, invece, sia cambiato?

Diciamo che L’abisso, fin dal momento del suo primissimo palpito, è quella cosa lì. Il testo non è mai cambiato e il livello di equilibrio lo raggiungiamo cercando di approfondire sempre di più quello che facciamo, nel modo di entrare nei silenzi e nelle sillabe, nella partitura delle note e nell’ascolto che abbiamo io e Giulio.
Ma il testo è quello perché quelle erano le parole che mi erano state dette, e tendenzialmente è quello il sentimento che abbiamo respirato dentro l’isola di Lampedusa. È quindi uno spettacolo che era già compiuto fin dal suo primo debutto. Non abbiamo destrutturato o cambiato nulla, il che, da una parte, è un punto di forza, da un’altra parte, invece, è un punto di fragilità.

Cosa intendi per fragilità?

Che è uno spettacolo che è così, e così va tutelato: è uno spettacolo che ha bisogno del silenzio, è uno spettacolo che ha bisogno di un contesto che lo protegga e che ne protegga l’interprete in scena.

Mi sono domandata spesso cosa voglia dire per un attore e drammaturgo la ripetizione dell’atto artistico. È uno svuotamento o, all’opposto, è un’amplificazione, dopo numerose repliche?

Credo che l’atto della reiterazione sia la cosa che si accompagna più di altre a tantissime attività dell’essere umano. L’esempio più semplice è il cantante che canta sempre la stessa canzone, tanto da diventare un rituale. O anche l’atleta, che cerca di semplificare la partitura di un movimento fisico per ridurla all’essenziale e poi, quello stesso essenziale, lo ripete.

Mi sembra centrale il paragone che fai con il rituale.

Il punto è proprio questo: se ci concentriamo sulla reiterazione, diciamo che la più emblematica è quella della ritualità che accade, ad esempio, nei mantra, nel rosario della tradizione cattolica e in tanti altri modi di pregare che esistono nelle diverse culture. Hanno dentro proprio la ripetizione ossessiva del ritmo, che è la chiave del rituale. La ripetizione è quella che ti permette di sganciarti dai problemi e dalla pesantezza dell’io e del narcisismo per entrare pienamente dentro le cose.

Quale pensi sia stata la chiave di successo dell’Abisso, che tratta un tema così dibattuto come quello delle migrazioni?

Partirei da una precisazione: non è un tema dibattuto, ma un tema strumentalizzato. Il dibattito presuppone conoscenza, approfondimento e ascolto delle fonti dirette ed è quello che non è mai avvenuto. Una delle particolarità de L’abisso è che io e Giulio, che siamo stati tanto tempo a Lampedusa, riportiamo le parole dei primissimi interpreti e a tratti anche le parole nostre riguardo il più importante fenomeno storico degli ultimi “enne” anni.
L’altra peculiarità è che durante questo tipo di lavoro si crea un senso di comunità. In qualche modo il teatro è riportato a quella che è proprio la funzione originaria, cioè riflettere in merito a una ferita che il presente ti sta ponendo davanti e che appartiene a ogni singola persona. È poi questo il motivo per cui nasce il teatro: la verità indicibile ha sempre bisogno della mediazione artistica perché possa apparire.
Il tipo di mediazione che viene fatta nel caso de L’abisso è un lavoro di tessitura delle parole, delle esperienze e dei sentimenti che abbiamo raccolto e su cui abbiamo lavorato, portando anche la nostra soggettività là dentro. Questo riesce a creare un momento di psichismo condiviso, che poi è quello a cui deve tendere il teatro.

Come mai per un fenomeno così corale hai preferito la forma più intima e concentrata di un’unica voce narrante, che poi è la tua?

Perché quello che ha vissuto quell’esperienza è il mio corpo ed è quello che poi la porta in scena. L’abisso è in assoluto il mio lavoro più performativo in cui mi reimmetto nello stato emotivo di chi sta nominando per la prima volta quella cosa lì ed è per questo che parlavo di fragilità e di difesa dell’interprete, perché davvero replica dopo replica provo a reimmettermi in quella emozione e per farlo esiste, come si diceva prima, tutto l’allenamento: come l’atleta, così io mi alleno fisicamente e sentimentalmente per riuscire a soccombere a quello che racconto.
Però, non sono solo perché c’è un musicista con me e tutta la moltitudine di persone che nomino: siamo una moltitudine sul palcoscenico. Quell’io è una moltitudine.

Stai lavorando a nuovi progetti con il Piccolo di Milano o in maniera autonoma?

La risposta è si, e non in maniera autonoma da quando abbiamo la residenza come artisti del Piccolo Teatro di Milano.
Stiamo lavorando a un progetto gigantesco che ci sarà il 10 giugno del 2023, del quale parlerò nella conferenza stampa. Da qualche mese abbiamo iniziato a dedicarci a questo progetto che ci sarà contemporaneamente in tutte le sedi del Piccolo e che ha come titolo Eleusi e durerà 24 ore di fila, includendo una grande moltitudine di persone. Consiglio di venire a vederlo in orario notturno.

Hai nuovi progetti, invece, nell’ambito della drammaturgia o della scrittura in generale?

Tutto è scrittura: un piatto di pasta con le sarde è scrittura, una traversata a mare è scrittura, un sorriso per strada è scrittura. Intanto, con Giulio, stiamo girando con tre spettacoli e già è un esercizio molto interessante per il tentativo di creare compartimenti stagni tra uno spettacolo e l’altro.

L’ABISSO
tratto da “Appunti per un naufragio” (Sellerio editore)
uno spettacolo di e con Davide Enia
musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Biondo di Palermo, Accademia Perduta/Romagna Teatri
in collaborazione con Festival internazionale di narrazione Arzo
organizzazione Luca Marengo