ELENA SCOLARI | Tanto teatro racconta la realtà e porta la cronaca in scena. Perché il mondo è complicato, frammentato, multiprospettico, e il teatro è un mezzo fatto di persone e confronti adatto per provare a capirlo. Spesso vediamo tradurre (dall’etimo latino traducere: trasportare, trasferire) sul palco fatti negativi, probabilmente perché il male è più difficile da spiegare e abbiamo più bisogno di analizzarlo per trovare un bandolo che ci faccia sentire meno sbandati; la ricerca si concentra sul trovare una motivazione ad azioni cattive.
Un secondo elemento è quello della memoria, in Italia, da Vajont di Paolini in giù, il teatro ha raccontato pezzi di storia perché fossero ricordati, indagati, e per tenere (o far tornare) l’attenzione su accadimenti significativi e che hanno concorso a disegnare il paese che siamo.
Di teatro e realismo si discute da anni, è diventata quasi una corrente, molto forte all’estero, fino ad arrivare alla discutibile teoria dell’autofinzione “inventata” da Sergio Blanco. Il regista belga Milo Rau si è fatto conoscere grazie a lavori sull’eccidio in Ruanda (Hate radio), sull’omicidio di un omosessuale fuori da un locale gay a Liegi (La reprise), sugli abusi dell’assassino Marc Dutroux (Five easy pieces), e proprio con Rau ha lavorato Sébastien Foucault, regista e autore di Reporters de guerre, andato in scena in prima nazionale e replica unica al Piccolo Teatro Grassi di Milano in apertura di stagione.
Si parla della guerra nei Balcani, aspro e cruento conflitto consumatosi in Europa tra il 1992 e il 1995, scoppiato per questioni etnico-religiose e che causò la disgregazione della Jugoslavia e la nascita degli stati di Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Kosovo, Montenegro, Slovenia e Macedonia.
Il punto di partenza dello spettacolo è indagare come si può raccontare un conflitto nel ruolo di reporter, Françoise Wallemacq, Vedrana Božinović, Michel Villée, tutti e tre giornalisti che furono inviati in quel territorio che “recitano” interviste sulle sensazioni vissute e ragionano sulla possibilità di far capire davvero la guerra a chi non l’ha vissuta. Un po’ come ha fatto, benissimo, Tiago Rodrigues in Dans la mesure de l’impossible (di cui abbiamo scritto su PAC) mettendo in scena le testimonianze di operatori umanitari in zone calde del mondo.

In scena ci sono molte cose: una scatola/studio di registrazione di un’emittente radiofonica, tavolini di varie fogge e stili, un angolo soggiorno con divanetto, abat-jour, l’immancabile rella a vista con abiti e costumi (l’oggetto più visto nell’ultimo anno teatrale), un frigo minibar. Reporters de guerre si apre con la versione radio di Blade runner in cui – come nel cinema alla radio di ogni domenica sera su RadioTre Rai – si racconta un film, qui naturalmente si descrive l’indimenticabile scena finale con Rutger Hauer e Harrison Ford, bastioni di Orione, colomba bianca e porte di Tannhauser, che il suo effetto lo fa sempre. Fu una trasmissione radio vera di quei tempi in Jugoslavia. Si passa poi a intervistare Françoise Wallemacq, corrispondente belga della RTBF che fece reportage radiofonici dall’ex-Jugoslavia durante la guerra.
Tutta la prima parte dello spettacolo lavora su questo punto di vista, sullo sguardo di chi ha assistito al conflitto da dentro ed è molto interessante ascoltare quanto sia difficile rendere con parole situazioni inimmaginabili da parte di chi, da professionista, riporta a lettori e ascoltatori la storia di una guerra quanto mai complicata e difficile da capire. Curioso il parallelo del giornalista belga Michel Villée (ex addetto stampa di MSF Belgio) che ritrova qualche somiglianza tra la situazione multietnico/linguistica dell’ex-Jugoslavia e il territorio del Belgio diviso tra Fiandre (olandesi), Vallonia (francofona ma con minoranze tedesche) e la zona di Bruxelles bilingue.
Finché ci si interroga la drammaturgia (di Julie Remacle) e la regia reggono – benché il meccanismo del ri-fare sul palco azioni non teatrali con atteggiamento naturalistico cominci a risultare un po’ fasullo, come l’effetto paradosso dei sonniferi che ti tengono con gli occhi sbarrati – e fornisce pensieri non banali proprio sui diversi angoli ottici di narrazione: non necessariamente dal fronte ma le storie possono essere quelle personali dei singoli, gli scampoli di gioia clandestina che comunque resistono, la sbigottita abitudine a correre rischi altissimi senza curarsene, come camminare in strada senza rasentare i muri pur sapendo di essere osservati dai cecchini, come racconta Vedrana Božinović (prima giornalista e ora attrice).

Il problema (teatrale) si presenta quando è il regista a scegliere come raccontare in teatro un episodio specifico della guerra, la strage di Tuzla: il 25 maggio 1995, giorno della Gioventù, alle 20.55 una bomba a frammentazione fu sparata da trenta chilometri di distanza ed esplose nella piazza più animata e frequentata dai giovani della città. Vi furono 71 vittime e 240 feriti, la maggior parte di età compresa tra 18 e 25 anni.
La modalità scelta è quella della ricostruzione di gruppo. Ormai non ci si può esimere dal coinvolgere il pubblico, bisogna fargli fare qualcosa, ha pagato il biglietto e quindi merita di avere il suo minuto gioco-aperitivo, perché l’effetto vero è questo, anche se si parla di una bomba, non nascondiamoci.
Prima, per farci capire quanto i giovani jugoslavi fossero orgogliosi di partecipare alla staffetta della Gioventù – in cui un testimone attraversava tutto il paese passando nelle mani di ragazzi super selezionati per arrivare sul luogo della cerimonia finale alla presenza di Tito – agli spettatori viene chiesto di partecipare a una mini-coreografia (simbolica della festa nazionale) muovendo le braccia, e per maggior disdoro si osservano sullo sconsolato schermo che li mostra inquadrati. E tutti eseguono, ça va sans dire.
E con questo Foucault si è accattivato la fiducia di tutti gli abitanti del villaggio-teatro, ora può passare alla rappresentazione della tragedia: mentre Michel Villée spiega il contesto, descrive la piazza e le persone che lì bevevano, ridevano, ascoltavano musica, V. Božinović è scesa in platea distribuendo al pubblico post-it di diversi colori e srotolando una bindella per mostrare la distanza tra il punto in cui esplose l’ordigno e il bambino che ne fu tragicamente colpito. “Però il teatro è piccolo, 22 metri non ce li abbiamo quindi mi fermo e accontentatevi”.
I post-it rosa consegnati sono quelli dei sopravvissuti e quelli di altri colori sono delle vittime, per mostrarci la proporzione.

La bomba c’è, certo, esplode rumorosamente coriandoli color metallo, e c’è anche il bambino, un pupazzo molto realistico (ora Vallée è burattinaio) mosso lentamente per concentrare l’attenzione su di lui e sulle voci dei genitori che raccontano la straziante consapevolezza di ciò che era accaduto.
“A questo punto è probabile che stiate piangendo, va bene così, ma non preoccupatevi: ve ne dimenticherete fra pochi minuti”, dice Božinović. In realtà non si vedono lacrime in sala, la ricostruzione può aver impressionato ma non commosso, i pianti rimangono così solo una speranza unita all’accusa di indifferenza mossa all’uditorio, che finisce per applaudire così da sentirsi, ancora una volta, dalla parte giusta.

E così il realismo si trasforma nella più ingenua delle finzioni. Quando la realtà trasposta a teatro induce dubbi, colpisce duro il pubblico e lo scuote grazie alla forza della rappresentazione, allora ha ottenuto un effetto reale; quando invece l’applauso finale è espressione di una scontata solidarietà pacificatoria l’obiettivo non è stato raggiunto.

REPORTERS DE GUERRE

(prima nazionale)
di Sébastien Foucault, Julie Remacle et ensemble

drammaturgia Julie Remacle
regia Sébastien Foucault
con Françoise Wallemacq, Vedrana Božinović, Michel Villée
ricerche Sébastien Foucault, Françoise Wallemacq, Vedrana Božinović, Michel Villée, Mascha Euchner-Martinez, Mirna Rustemovic, Maxime Jennes, Nikša Kušelj
scene Anton Lukas
luci Caspar Langhoff
suono Kevin Alf Jaspar
produzione Que Faire? Asbl e Théâtre de Liège
in coproduzione con Kunstenfestivaldesarts, Tandem Scène Nationale Arras-Douai (France), Théâtre Les Tanneurs, NTGent
con il sostegno di Théâtre & Publics, IIPM, Teatro Nazionale di Zagabria (Croazia), Tax Shelter del governo federale del Belgio, Inver Tax Shelter e RTBF
con il supporto di Ministère de la Fédération Wallonie Bruxelles – Service Théâtre & Démocratie ou Barbarie (Décret-mémoire)
Piccolo Teatro Grassi, Milano | 27 settembre 2022