SARA PERNIOLA | Torniamo sulla nostra narrazione di VIE Festival, organizzato da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in diverse città della Regione nel mese di ottobre: con un percorso che si approccia ai fenomeni spettacolari in maniera trasversale, il festival pone l’accento sui diversi stili della scena teatrale e coreografica contemporanea, italiana e internazionale. 

Tra i numerosi spettacoli della rassegna compaiono anche le messinscene di testi narrativi: meritano attenzione e approfondimento per il loro spaziare in campi estetici ed espressivi ampi e interconnessi, e per l’intensità inerente l’universo emotivo. Questi intenti vengono perfettamente rispecchiati da Gli Anni di Marco D’Agostin – tra i più seguiti giovani performer italiani, vincitore del Premio Ubu 2018 e nomination 2021 -, in una coreografia disegnata per la talentuosa danzatrice Marta Ciappina.
Il palco della sala Thierry Salmon dell’Arena del Sole di Bologna diventa così un luogo in cui viene narrata una storia collettiva, attraversata da una scrittura coreografica che esplora il senso di un presente che scorre e di un passato che ritorna. Lo spettacolo prende spunto dall’omonimo romanzo di Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura di quest’anno, e la strategia interpretativa utilizzata tiene necessariamente in considerazione i rapporti tra testo letterario e rappresentazione teatrale.
Attraverso il suo titolo, però, il lavoro evoca anche l’omonima canzone degli 883, inno degli anni Novanta, che affronta il tema della nostalgia dovuta al tempo che passa e di quella dolce e rassegnata tristezza per ciò che oramai è irrealizzabile. Se del primo riferimento vi sarà l’eco della struttura narrativa, del secondo
verrà rinnovato l’andamento malinconico, ma leggero. 

Nell’originalità della regia e della coreografia, infatti, il fraseggio danzato è puntellato da un susseguirsi di citazioni e passaggi che rievocano le giornate, le stagioni, gli anni, appunto. Non di Ernaux, ma della danzatrice. Quello che Marta Ciappina ci mostra è un affresco fatto di tanti piccoli e grandi momenti della sua vita, così ben giustapposti da parlare un linguaggio universale: la performance transcodifica quindi il romanzo, “autobiografia impersonale” in cui parole e cose ci piovono addosso, facendoci immergere in una pratica della memoria che salva la storia di generazioni, trovando una sintesi tra vita e perdita nel fervore incontenibile della bellezza del mondo.
S
e Ernaux, nel romanzo, utilizza un “noi”, una prima persona plurale, per definire un senso che si realizza nella coscienza collettiva – narrando di aborti nelle cucine, divorzi, rivoluzioni femminili senza tempo che non fanno invecchiare; e poi anche del senso di riscatto, della società dei consumi e di un presente che ha un che di tragicamente inutile -, la performer si serve del proprio diario personale per cercare di capire se «la propria storia e quella della propria famiglia possano duettare con quella del genere umano». Racconta, grazie a una coinvolgente danza fatta di calma e violenza, rigore e perdono, la propria “notte ingovernabile”, ovvero l’assassinio del padre, avvocato, ucciso con metodo mafioso nel giardino di casa. 

La materia narrativa acquisisce dunque un carattere irripetibile: la singolare interpretazione della danzatrice è un tuffo nell’umanità del corpo, nelle riflessioni e nei sentimenti, per assecondare il bisogno di tutti di recuperare il contatto diretto con il proprio passato. Una sorta di storytelling costruito tramite narrazione, movimento e confronto con il pubblico, nel tentativo – riuscito – di ricucire lo strappo tra attriti ancora fumanti e le sfumature – simmetriche e irregolari, reali e illusorie – del presente.
Riprese in super8 di Ciappina bambina, biglietti d’amore adolescenziali, ricordi familiari, vestiti, canzoni del cuore personali o richieste direttamente al pubblico, sono segni teatrali dalla funzione intercambiabile: hanno sia funzione decorativa e scenografica sia semiotica, espressiva, di rimando ad altro. Ciascun elemento che compone la messinscena, infatti, per il solo fatto di essere mostrato a degli spettatori si carica di una serie di significati aggiuntivi di secondo, terzo grado e oltre. E tali significati aggiuntivi contribuiscono, poi, alla creazione del significato globale dello spettacolo, al fine di metterne in luce le caratteristiche estetiche e comunicative, in una coinvolgente semantica del corpo e della voce. 

«Sono andata al mercato e ho comprato un limone, due limoni, tre limoni, quattro limoni…»: Gli Anni si aprono con Ciappina che irrompe sullo spazio scenico – riempito solamente da un tavolo – con uno zainetto giallo sulle spalle. Inizia, poi, a tirare fuori degli oggetti tutti di colore giallo: delle cuffie, un telefono, due segnaposti. Anche un cagnolino di porcellana e una tessera del PCI di Achille Occhetto.
Questa simultaneità dei messaggi visivi si articola con quelli auditivi – L’eternità di Ornella Vanoni e i frastuoni degli anni di piombo, Francesco De Gregori con Rimmel, Loredana Bertè e Laura Pausini, i Bronski Beat e i radiogiornali d’epoca – in una realizzazione scenica che porta il pubblico a oscillare tra malinconia ed empatia, all’interno di un sistema estetico globale rivestito di intelligente ironia. In questo spettacolo, infatti, si ride tanto.
«La mia ascella si inarca come la cupola del Brunelleschi», «Immensità, allarga le tue braccia» o, ancora, «Qui è il momento in cui Marco mi raccomanda di essere meno seduttiva» – richiamando il regista al banco della regia – fanno genuinamente divertire, costituendo una parte determinante del contesto, importante perché comporta la genesi, la produzione e la fruizione di tutto il processo teatrale.  

ph. Michelle Davis

Di tale contesto il pubblico, infine, rappresenta un ulteriore e importantissimo tassello, “subendo” un processo di partecipazione all’interno di una logica di pari utilità degli elementi scenici, drammaturgici, coreografici e attoriali.
La bellezza di questo spettacolo è, dunque, proprio questo continuo intreccio, dissolvenza e sovrapposizione di piani. È un caleidoscopio di immagini, di scene che entrano l’una nell’altra: c’è la realtà con la ricostruzione di eventi che non sono più presenti, ci sono le visioni di delicati ricordi e tagli indelebili; gli oggetti che della memoria sono gli osceni feticci. Il tutto affidato alla raffinata mobilità della performer e alla sua ipnotica capacità interpretativa, in un’esplosione creativa tra danza, parola e biografia.
Gli amori e i traslochi, i viaggi e le letture, la politica e le canzoni, la morte e la necessità di colmare i vuoti, diventano quindi comuni a tutti: vicende di alcuni che incontrano vicende di altri, persone che vivono gli stessi spazi, organizzando architetture del benessere collettivo.
Niente, difatti, è più potente e salvifico della condivisione. Esattamente come dentro il dolore di vivere c’è una vibrazione dell’allegro, della leggerezza, da coltivare. E il talentuoso Marco D’Agostin, riassumendo il suo pensiero e quello della straordinaria Marta Ciappina, ce lo ricorda con queste parole: «La nostra nostalgia però non è mai una palude: le colonne vertebrali si proiettano sempre verso il futuro, e il desiderio di migliorare la vita è la nostra vera stella polare». 

GLI ANNI
di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono LSKA
luci Paolo Tizianel
conversazioni Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri
costume Lucia Gallone
costruzione elementi scenici Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa
promozione, cura Damien Modolo
organizzazione Eleonora Cavallo
amministrazione Federica Giuliano
produzione VAN
coproduzione Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Aperto – Fondazione I Teatri, Tanzhaus nrw Düsseldorf, Snaporazverein
sostegni L’arboreto – Teatro Dimora, La Corte Ospitale Centro di Residenza Emilia-Romagna, CSC/OperaEstate Festival Veneto
con il supporto di Istituto Italiano di Cultura di Colonia/MiC-Direzione Generale Spettacolo e Tanzhaus nrw Düsseldorf, nell’ambito di NID international residencies programme

Teatro Arena del Sole, Bologna                                                                                              Vie Festival, 15 ottobre 2022