RENZO FRANCABANDERA | Da anni Arterie, compagnia abruzzese di stanza a Pescara e diretta dalla regista e performer Monica Ciarcelluti, indaga il linguaggio delle arti sceniche al confine fra teatro e performatività contemporanea, con un focus che negli ultimi anni in particolare si è concentrato sull’utilizzo della narrazione digitale al servizio della scena. Diversi i laboratori svolti negli ultimi anni invitando artisti della contemporaneità a proporre ai performer del territorio l’avanguardia del pensiero sui linguaggi dell’arte dal vivo: i prossimi saranno i componenti del collettivo Agrupaciòn Señor Serrano che terranno un Lab di Drammaturgia e Video in scena per l’Atelier Matta, spazio in cui Ciarcelluti opera a Pescara con la compagnia.
Nei giorni scorsi la regista ha debuttato presso il teatro Sant’Andrea della cittadina abruzzese con Truth-ing una pièce crossmediale, che la vede in scena con Gisela Fantacuzzi, co-prodotta da Arterie e da Kultivarnica /Sabrina  Zeleznik (Slovenia).

photo © Mazen Jannoun

Si tratta di uno spettacolo sperimentale multilingue (ita/spa/ingl/slo), nato durante il distanziamento della pandemia 2020-2021 e sviluppato poi in questi mesi per essere affinato e pronto a circuitare nel prossimo futuro.
Non casuale l’anteprima del lavoro all’interno della rassegna Teatri R-Esistenti, rassegna organizzata dall’ANPI – Comitato Provinciale di Pescara e dalla Fondazione Brigata Maiella con il contributo della Fondazione Pescarabruzzo, che nasce dall’esigenza di documentare il lascito culturale, morale e ideale della lotta di Liberazione.

Qui la narrazione prende spunto, in un intreccio drammaturgico che non svela subito il sottostante ma che progressivamente si aggancia agli esiti di una ricerca svolta a partire dalle storie delle madres y abuelas de la Plaza de Mayo di Buenos Aires che, come si ricorderà, tutti i giovedì si incontrano per recuperare l’identità e la verità sui figli e nipoti scomparsi, i desaparecidos, durante la dittatura in Argentina degli anni Settanta e Ottanta. Proprio in questi giorni si piange la scomparsa di una delle figure simbolo di questa resistenza alla dittatura delle donne argentine, Hebe De Bonafini.
La ricerca, sfociata nello spettacolo, è coerente con il percorso della compagnia che negli anni ha sempre mantenuto un profilo di impegno civile, in dialogo con le altre funzioni militanti del territorio, producendo e promuovendo spettacoli per comunità inclusive e organizzando rassegne di teatro sperimentale.
Attraverso la collaborazione artistica con altre compagnie, enti e scuole di teatro operanti a livello nazionale ed europeo, Arterie ha sempre enfatizzato nelle sue produzioni teatrali la questione dell’interculturalità e della fusione di esperienze artistiche di origini diverse, che diventano occasione di arricchimento nella fase creativa.
Nel 2017 la compagnia era risultata vincitrice del bando nazionale Forza con Approdi, progetto di formazione e messa in scena per rifugiati e richiedenti asilo, progetto sostenuto anche grazie al sostegno della Fondazione Intesa Sanpaolo. Del 2019 è la produzione L’Assedio|The Siege, realizzata con il coreografo libanese Bassam Abou Diab, che coinvolge attori e danzatori di 5 paesi, che ha subìto uno stop per via delle restrizioni pandemiche.

L’anno passato, proprio in coda al periodo delle restrizioni, la regista con alcuni membri della compagnia è stata ospite a Lubiana di Emanat e Celije, per una residenza che ha previsto anche percorsi di formazione all’azione performativa digitale per nuove generazioni. E in quel contesto è nata l’idea di Truth-ing.

photo © Mazen Jannoun

In scena, come detto c’è la regista, insieme alla performer e danzatrice Fantacuzzi che lavora anche a una serie di proiezioni live che, come nella pratica più recente della narrazione performativa digitale, alterna video, recitazione, codice coreografato, dialogo con il pubblico e riprese live.

Monica, il tema della verità e del teatro come veicolo di rappresentazione  attraversa la vostra ricerca e viene fuori anche in questo lavoro. Quali domande lo hanno fatto nascere?

In maniera del tutto libera e decontestualizzata, ci siamo poste le domande: che vuol dire raccontare una storia con la “verità in bocca”? Se un giorno ti dicessero che non sei tu? Chi sono i supereroi quelli con i superpoteri? Parleremo di storie di adozioni, di desaparecidos e di ritrovamenti, parleremo di eroi che salvano la vita ad altri eroi, storie di resistenza, di heroes de verdad e di identità. Non so se esistano le casualità ma lo spettacolo vede la luce il 14 novembre e proprio in questi giorni di fine novembre muore Hebe De Bonafini, storica leader delle Madres de Plaza de Mayo, simbolo della resistenza e della lotta delle madri oggi simbolo mondiale dei diritti umani e orgoglio dell’Argentina.

Il debutto in una rassegna legata all’idea della resistenza non appare casuale, e penso non riguardi solo lo spunto di ispirazione, la vicenda dei desaparecidos, ma vuole essere una sorta di grido d’allarme sullo stato del settore teatrale oggi…

Nel contesto socio-economico-culturale in cui l’arte scenica è oggi immersa, c’è un intero universo teatrale che lavora quasi sotterraneamente e quotidianamente nella forma di una “resistenza teatrale”. A volte tale resistenza consiste nel privilegiare il processo creativo rispetto alla veloce necessità di mettere in scena uno spettacolo su commissione; altre volte nello scegliere di raccontare storie apparentemente anonime, convinti però del fatto che ogni piccola storia sia lo specchio della grande storia e che dunque riguarda l’intera umanità; altre ancora il teatro, per questi uomini e donne di scena, può diventare uno strumento di discussione sociale e politica, significa prendersi responsabilità importanti.
La pandemia ha cambiato alcuni parametri di dialogo fra artisti e territorio. Ma anche nella difficoltà voi non avete mai mollato la presa e anzi, pare ne abbiate tratto stimolo creativo. È così?

La pandemia è stato un momento tragico per tutti ma dopo i primi mesi è sorta la necessità di riprendere il cammino, valorizzando le esperienze nate proprio in quelle settimane di difficoltà estrema: si è quindi data l’occasione per l’avvio di percorsi di formazione digitale a distanza “Zoom In Arterie- azioni performative in micro”, eventi di formazione di teatro e danza in formato digitale, veri e propri workshop di Digital Performing Art realizzati con la sovvenzione del MIBACT. E poi come Arterie abbiamo sentito il bisogno di favorire il ritorno a vivere la geografia urbana con l’arte e per due edizioni abbiamo proposto una serie di incursioni di performatività legate alla ripresa di contatto con il territorio, dopo la chiusura della pandemia, che abbiamo ribattezzato Open-Mic.
C’era il bisogno di tornare a vivere lo spazio cittadino in modo partecipato, a ricostruire un tessuto connettivo che coinvolgesse i cittadini, le famiglie. Il ruolo dell’arte è cruciale in questo ritorno alla forma sociale. Molte persone hanno scoperto una grande fragilità e il nostro è stato un modo di creare vicinanza che per molti è stato un sollievo.
In che modo si è sviluppato l’interesse di Arterie per  il linguaggio digitale?

Personalmente sono molto interessata all’ibridazione dei linguaggi, al fatto che l’arte si sviluppi seguendo percorsi di sperimentazione. È un pensiero a cui di recente ho rivolto molte attenzioni, anche in ragione del confronto sempre più necessario con le giovani generazioni che sono il futuro del pubblico teatrale e a cui occorre proporre una forma coerente con i canali di comunicazione che loro privilegiano. A questo proposito ho sempre fatto in modo di poter dare la possibilità alla comunità e al territorio di confrontarsi con artisti che fanno di questo la loro frontiera di ricerca, come sarà a breve con i componenti del collettivo Agrupaciòn Señor Serrano che saranno qui a Pescara a metà Dicembre per tenere un Lab di Drammaturgia e Video in scena per l’Atelier Matta. Un grande successo con un numero di prenotazioni che ci ha stupito, a dimostrazione che quando si opera sulla qualità la risposta del territorio c’è.

E quindi poi è arrivato naturale il travaso di questa pratica nel tuo linguaggio scenico.

Beh sì, dopo tanti mesi spesi, anche durante la pausa pandemica a formarmi e a interrogarmi sul modo migliore per usare queste nuove forme espressive, ho voluto unirle alla pratica di teatro coreografato che ci ha visti impegnati negli ultimi anni. Sono molti i danzatori che hanno attraversato il nostro fare teatro, cercando di sviluppare un’esperienza dove alla potenza delle parole si abbinasse anche la verità del corpo. Poi è arrivata la pandemia, e tutti ci siamo trovati a fare i conti con la necessità di utilizzare il canale digitale per continuare a proporre una offerta culturale che coinvolgesse la comunità, che non lasciasse le persone nella loro solitudine.
Ho quindi scelto di sperimentare, introducendo elementi di performatività aumentata nella creazione che si è andata via via sviluppando dall’anno scorso. L’uso del digitale nello spettacolo segue un doppio binario: per un verso attraverso l’uso del video, con inserti di narrazione filmica che sono stati il primo nucleo creativo, partendo dalla suggestione di immagini sfuocate, costruite intorno al tema della verità. A questo primo nucleo di immaginazioni si è poi aggiunto l’uso della videocamera in presa diretta in cui una performer fa vere e proprie incursioni in scena con la camera, mentre l’attrice-narratrice costruisce la testualità narrativa attraverso le parole.
È una sfida, ma sentiamo di avere dalla nostra parte anche la forza della memoria, che ci sostiene in questo lavoro, così delicato e particolare.