EUGENIO MIRONE | C’è molta Liguria ne La buona novella di Giorgio Gallione, l’ultimo lavoro del regista genovese dedicato a un illustre concittadino: Fabrizio De André. Il titolo dello spettacolo riprende il primo concept album del cantautore, pubblicato nel 1970, e di quest’ultimo è la riproposizione in versione di teatro-canzone.
Si rinnova, dunque, il sodalizio artistico con Neri Marcorè, che diretto da Gallione aveva già fatto vivere a teatro i gioielli musicali di De André in Quello che non ho. Insieme ai due torna a lavorare anche Rosanna Naddeo coadiuvata da un ensemble di cantanti e musicisti: sul palco si trovano la cantautrice rapallina Giua, il giovane pianista genovese Francesco Negri e la violinista Anaïs Drago; lo spettacolo si arricchisce infine delle maestranze vocali e musicali di Barbara Casini e Alessandra Abbondanza.

In un ambiente simbolico disegnato dalla scenografia di Marcello Chiarenza, i legni del grande arco scenico che svetta alle spalle degli attori ricordano per metonimia il legno della chitarre disseminate sul palco. Al Teatro Carcano di Milano le parole del cantautore riprendono vita e ritmo in un viaggio che riavvolge indietro il tempo fino alla Palestina a cavallo tra I secolo a.C. e I secolo d.C.

Quando De André si accinse a lavorare a La buona novella sentiva dentro sé l’urgenza di «salvare il cristianesimo dal cattolicesimo». Era il 1969, la stagione delle rivolte studentesche era nel vivo e Faber (così lo chiamava l’amico di infanzia Paolo Villaggio) con il suo album voleva compiere un’operazione tutt’altro che anacronistica, essendo intenzionato a mostrare come Gesù di Nazareth fosse stato il più grande rivoluzionario della storia. Uno spirito anarchico come il suo non poteva, però, impostare la ricerca sulla versione canonica della vita di Gesù tramandata dai vangeli sinottici, da ciò deriva la grande particolarità dell’album, i cui testi si basano esclusivamente sui vangeli apocrifi. Non a caso fu De André ad affermare: «questi vangeli sono una lettura bellissima con molti punti di contatto con l’ideologia anarchica».

Sotto l’etichetta di “apocrifo” (meglio traducibile con “nascosto/segreto”) è stato riunito un insieme di scritti eterogenei e molto differenti per età, provenienza, genere letterario e finalità. In questi testi, composti successivamente alla stesura dei quattro vangeli sinottici, si trovano molte informazioni specialmente riguardo l’infanzia di Gesù, un periodo che invece non trova nessun riscontro nelle altre fonti.
Con il formarsi del canone biblico cristiano questi testi a poco a poco acquisirono il loro status di apocrifi. Sotto la decisione della Chiesa delle origini di ritenere sufficiente la narrazione contenuta nei vangeli dei quattro Evangelisti si celava anche una motivazione di carattere teologico: conoscere tutto dell’altro significa non lasciare alcuno spazio.
Nella concezione cristiana la fede è una ricerca, perciò non è necessario conoscere ogni aneddoto della vita di Gesù, altrimenti si rischierebbe di perdere di vista il cuore della sua esperienza. Esempio: Eva viene creata dalla costola di Adamo mentre su quest’ultimo Dio fa calare un torpore affinché, non assistendo all’origine, sia mantenuta l’alterità della donna.

Come si è detto, La buona novella è il primo concept album dell’autore, nel progetto discografico ogni brano ruota attorno all’unico tema religioso contribuendo a dare un significato d’insieme. Lo spettacolo, che ricalca la struttura dell’album, è costruito quasi nella forma di un’opera da camera: le canzoni arrangiate dal vivo dall’organico orchestrale sono i momenti centrali dell’azione. In quest’opera di teatro canzone, però, parole e musica s’intrecciano tra loro completandosi. Alla narrazione di Neri Marcorè e di Rosanna Naddeo è affidato, infatti, il duplice compito di contestualizzare l’azione e di fungere da collante tra i diversi momenti cantati. Il pubblico viene trasportato indietro fino alla cerniera temporale tra secoli che dà inizio alla storia.
Un angelo annuncia a Gioacchino e Anna dell’imminente nascita di Maria, quest’ultima all’età di tre anni venne mandata al tempio dove rimase fino ai dodici anni, quando i sacerdoti ne decretarono l’espulsione per impurità (“ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso”). Del corpo di una vergine si fece “lotteria”, così Maria venne data in sposa al novantenne Giuseppe, “a dita troppo secche per chiudersi su una rosa”. Segue il noto episodio dell’annuncio del concepimento di Gesù.
A questo punto Marcorè si porta al centro del palco e davanti a una sedia narra dell’infanzia di Gesù. Dai racconti dei vangeli apocrifi emerge il ritratto di un Gesù Bambino capriccioso e incline a un uso ‘egoista’ dei propri poteri taumaturgici.
Dopo l’intermezzo parlato il racconto in musica procede con la seconda cinquina di canzoni incentrata sul racconto della passione che conclude la narrazione.

L’aspetto musicale, che è senz’altro l’elemento centrale in uno spettacolo di teatro canzone, ne La buona novella risulta curato con grande attenzione. Il merito non è di un singolo, ma del complesso orchestrale di tutti i professionisti, dai giovanissimi fino ai più esperti.
In un’operazione come questa la natura cantautoriale di De André viene in aiuto in virtù della vestibilità scenica della sua musica, fortemente narrativa e poetica; ciò non toglie il valore dell’operazione narrativo-musicale compiuta dal cast; il pubblico viene così coinvolto dalla bellezza della musica e dalla sinergia con la quale gli artisti la suonano dal vivo. A questo aspetto si aggiunge la sapiente narrazione curata da Marcorè che permette allo spettatore di immergersi ulteriormente all’interno del racconto in musica.
Purtroppo, i codici visivi della pièce non sembrano reggere il confronto con quello che risulta essere il cuore dell’opera, ovvero la musica. Poco riuscita la scelta di Marcello Chiarenza di portare in scena le sue opere artistiche in dimensioni ampliate. Si tratta di lavori di estrema bellezza ma che non riescono a inserirsi nel contesto dello spettacolo. Altri elementi come il ramo di lauro, dopo esser stati integrati brevemente nella narrazione, rimangono sul palco senza riuscire a dialogare con la scena. Non è chiaro quale sia la direzione su cui voglia puntare Chiarenza, di conseguenza il suo disegno scenografico rimane un parco giochi senza bambini.
Un’analoga disorganicità si riscontra anche nel progetto luci di Aldo Mantovani: le luci, spesso impostate su larghe campiture monocromatiche, appiattiscono la scena e insieme all’artificiosità di alcuni elementi scenografici contribuiscono a creare un’atmosfera dal sapore circense. Risulta arduo non far caso all’enorme schermo sul fondo del palco, costantemente illuminato da toni molto accesi e fuori contesto. Fortunatamente la musica, come una stella polare, impedisce lo smarrimento del pubblico.

Ne La buona novella Gallione segue le tracce di un terzo genovese, Don Gallo. Grande amico di Faber, al quale il regista ha dedicato un intero spettacolo dal titolo Papa Gallo, il sacerdote ha sempre dichiarato: «I miei vangeli non sono quattro. Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo Fabrizio De André, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria».
La buona novella è unica nel contenuto, nonostante diverse siano le espressioni che la hanno annunciata. Gallione e Marcorè insieme al resto del cast scelgono di ridare voce e note all’annuncio di Fabrizio De André, il cui senso travalica le questioni formali per riportare al centro la figura di Gesù: prendersi cura l’uno dell’altro, partendo innanzitutto dagli umili. È un messaggio semplice ma rivoluzionario, al quale il cantautore sentì di dover riportare la coscienza sociale proprio nel momento in cui la bandiera della rivoluzione sventolava più forte che mai nel nostro paese.
Non è un caso se lo stesso Don Gallo si riferiva al suo grande amico per ribadire la sua scelta di vita: «E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori».


LA BUONA NOVELLA

drammaturgia e regia Giorgio Gallione
voce e chitarra Giua
voce, chitarra e percussioni Barbara Casini
violino e voce Anais Drago
pianoforte e voce Francesco Negri
voce e fisarmonica Alessandra Abbondanza
scene Marcello Chiarenza
costumi Francesca Marsella
luci Aldo Mantovani
Produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Carcano, Fondazione Teatro della Toscana, Marche Teatro

Teatro Carcano, Milano | 19 aprile 2023