EUGENIO MIRONE | La parola “memoria” deriva dal verbo greco mimnésco che indica la facoltà della mente di mantenere in vita i contenuti del passato. “Ricordo” deriva invece dal latino re-cordor e significa “richiamare al cuore”: è quindi un termine attinente al campo semantico dei sentimenti più che della ragione, e implica un orizzonte soggettivo. In Depois do silêncio (Dopo il silenzio), l’opera con cui Christiane Jatahy giunge al termine della sua Trilogia degli orrori, l’esigenza di riappropriarsi della storia del suo paese, il Brasile, e di mantenerne in vita le ferite si fondono sulla scena nella dolorosa rievocazione di un passato che continua a macchiare di sangue il presente.
Il paese che ha dato i natali alla regista Leone d’oro alla carriera torna dunque a essere l’oggetto della ricerca storico-artistica di un trittico che nei primi due capitoli, Entre chien et loup e Before the sky falls, aveva approfondito le meccaniche fasciste e maschiliste di cui il paese è ancora vittima. Depois do silêncio si sviluppa nell’ardua impresa di comprendere quali strutture sociali consentano al razzismo e al capitalismo di rinvigorire, ancora oggi, il loro antico legame.
Da tempo l’artista brasiliana cammina lungo un percorso che, in seguito alla vittoria di Jair Bolsonaro alle elezioni politiche del 2018, ha acquisito una direzione ancora più nitida: dare voce e mettere in dialogo. In questo senso, il viaggio che Jatahy sta compiendo con la sua opera attraverso l’Europa vuole essere un incentivo all’autoriflessione. Le ferite del Brasile mostrate nella pièce sono davvero una realtà così distante?

Foto di Christophe Raynaud De Lage

Depois do silêncio nasce da un’esigenza interiore dell’artista: «Come donna bianca brasiliana ho sentito il dovere di testimoniare ciò che stavo subendo». La prospettiva è affidata allo sguardo con cui tre donne rileggono le tristi vicende che hanno coinvolto la fazenda in cui vivono, una delle tante sparse nell’immenso territorio di Aqua Negra.
L’elemento femmineo si sprigiona al massimo grado nella natura che avvolge l’intera regione; anche il pubblico può goderne per mezzo delle immagini dei tre schermi situati a fondo palco che ritraggono tutte le bellezze di Chapada Diamantina, l’immensa area naturale situata nello stato di Bahia.
Due tavoli completano la scena: accanto al primo che giace sulla sinistra perpendicolare all’asse degli schermi si trovano Aduni Guedes, insieme ai suoi strumenti, e Gal Pereira; sedute di fronte al secondo, che occupa il fronte destro del palco, le attrici Juliana França e Caju Bezerra cominciano a raccontare la loro storia, che è anche la storia del romanzo Torto Arado (Tuga Edizioni, 2020).
Il libro è il frutto della ricerca antropologica condotta dallo scrittore brasiliano Itamar Vieira Junior proprio nella comunità di appartenenza delle tre donne; la trama di Torto Arado nasce da una precisa scelta narrativa: l’integrazione tra il materiale documentario raccolto e l’invenzione letteraria.
Su questa particolare caratteristica si fonda il lavoro di Jatahy: in Depois do silêncio testo e drammaturgia si integrano con l’opera letteraria di Vieira Junior, il cardine dell’edificio drammaturgico ruota attorno ai quattro attori che impersonano i personaggi del libro narrandone le vicende in prima persona. In questo gioco di realtà e finzione lo spettatore è costretto ad abbandonarsi al racconto di una storia in cui testimonianza e denuncia riescono a convivere con la sperimentazione artistica.

All’interno della regione di Aqua Negra vive una comunità nera che lavora ancora in stato di schiavitù: uomini e donne coltivano le terre dei fazendeiros senza posa, ricevendo in cambio il permesso di vivere in quegli stessi luoghi con le rispettive famiglie. Essi sono i discendenti di quegli oltre dieci milioni di uomini, donne e bambini che dalla metà del XVI alla fine del XIX secolo furono deportati dall’Africa nel nuovo continente e ridotti in schiavitù (per fare un paragone, negli USA furono “solo” quattrocentomila i prigionieri che arrivarono dall’Africa per essere ridotti in schiavitù).
La vicenda si concentra in particolare su due sorelle, Belonísia e Bibiana figlie del guaridor della comunità Zaca Chapeu Grande e unite da un tragico evento che ha provocato la perdita della parola a Belonísia. Le strade delle due giovani si dividono, una volta diventate adulte, in seguito alla decisione di Bibiana di allontanarsi dalla comunità insieme al marito Saverio Dos Santos per assicurare alla sua famiglia una vita lontana dalla schiavitù. Dopo qualche tempo dal loro ritorno, in seguito al tentativo di risvegliare la coscienza della comunità, Saverio viene assassinato dai sicari dei padroni. Bibiana è decisa a non lasciare che il sacrificio del marito sia reso vano. Dalla sua tenacia ha inizio il racconto della pièce.

L’intero lavoro si basa sulla commistione di realtà differenti e per osmosi si estende anche alla scelta, da parte di Jatahy, di servirsi di linguaggi artistici differenti. La partitura drammaturgica di Depois do silêncio prevede da un lato un contatto stretto tra il canale audiovisivo e quello teatrale, dall’altro il venir meno del confine che separa fiction e realtà documentata. Le rievocazioni, ricostruite e filmate sul posto da Jatahy e la sua troupe, ritraggono insieme ai membri delle comunità anche i quattro performer, che nel frattempo sul palco commentano quanto proposto in pellicola. Il film è stato girato con la tecnica della camera fissa da altezza platea, dando la proporzione dimensionale in scala 1:1, uno stratagemma intelligente che facilita il coinvolgimento dello spettatore, il quale mentre osserva è portato a sentirsi parte della scena.
L’operazione scenica ricalca in maniera analoga quella compiuta da Eduardo Coutinho Cabra in Marcado para morrer (Un uomo segnato dalla morte), il film documentario che narra la storia João Pedro Teixeira, il primo lavoratore di una fazenda che osò organizzare una protesta e, per questo motivo, venne brutalmente assassinato. Cabra fu costretto a interrompere le riprese a causa dell’instaurarsi, nel 1964, della dittatura militare brasiliana; in seguito alla caduta del regime di vent’anni successiva, tornando a intervistare gli appartenenti alla comunità di Teixeira, chiese loro di completare le testimonianze dirette con racconti frutto della fantasia.
Nella parte iniziale della pièce le tre donne commentano le immagini tratte dal documentario di Cabra, il legame tra le due opere si stringe: l’assassinio di Teixeira diviene, contemporaneamente, antefatto e prefigurazione della morte di Saverio.

Suggestiva è la sequenza della festa del Jaré, una delle celebrazioni rituali della religione Candomblé. Il momento scenico mostra tutta l’efficacia della composizione ibrida della pièce: mentre sullo sfondo scorrono le celebrazioni della festa da parte della comunità, sul palco Gal Pereira balla a ritmo del conga percosso da Guedes. Il suo corpo, infervorato in una danza estatica, diviene lo strumento che permette a una delle entità divine, gli Orixàs, di comunicare con gli uomini. Anche la divinità è così vincolata al potere della parola.

La tragedia antica presuppone che un delitto venga purgato con lo spargimento di altro sangue. Bibiana e le altre donne cercano vendetta; ma il meccanismo tragico in Depois do silêncio s’inceppa: «Mi vendico parlando», dice una di loro. È una presa di posizione netta che stabilisce il rifiuto a prendere parte in quel marcio gioco di violenze e soprusi che sta distruggendo il Brasile.
Questa è anche la forza delle comunità di lavoratori di Aqua Negra e del resto del paese, per anni costretti all’anonimato e al silenzio. Ad esse Jatahy ha scelto di donare la propria voce, come Bibiana ha fatto con sua sorella. L’importanza fondamentale del dialogo è il motivo per cui Depois do silêncio esiste su un palco: solo condividendo la parola è possibile rafforzare la voce generale.

 

DEPOIS DO SILÊNCIO (DOPO IL SILENZIO)
prima nazionale
di Christiane Jatahy
dal romanzo Torto Arado di Itamar Vieira Junior
ideazione, regia e testo Christiane Jatahy
con Gal Pereira, Juliana França, Caju Bezerra, Aduni Guedes e, per il film, la partecipazione di Lian Gaia e dei residenti delle comunità di Remanso e Iúna – Chapada Dimantina/Bahia/Brasile
collaborazione artistica, scene e luci Thomas Walgrave
foto e video Pedro Faerstein
musica originale Vitor Araujo e Aduni Guedes
sound design e mixing Pedro Vituri
suono (film) Joao Zula
montaggio (film) Mari Becker e Paulo Camacho
costumi Preta Marques
collaborazione al testo Gal Pereira, Juliana França, Lian Gaia e Tatiana Salem Levy

interlocuzione Ana Maria Gonçalves
sistema video Julio Parente
preparazione fisica Dani Lima
assistente alla regia Caju Bezerra
direttore di scena e del suono Diogo Magalhaes
assistente alle luci Leandro Barreto
direttore video Alan de Souza
tour manager Claudia Marques
amministrazione Claudia Petagna
direttore di produzione e distribuzione Henrique Mariano

Piccolo Teatro, Milano | 18 maggio 2023