CHIARA AMATO | Per chi non conoscesse il mito di Pigmalione, bisogna rispolverare il libro X delle Metamorfosi di Ovidio, dove si parla di uno scultore di Cipro, che aveva modellato nell’avorio un nudo femminile (vv. 247-252).

Nel frattempo scolpì con arte mirabile
il candido avorio, e gli diede una forma con cui non può nascere
nessuna donna, e s’innamorò della sua opera:
l’aspetto è quello di una ragazza vera, e si crederebbe
che sia viva e voglia muoversi, salvo il pudore;
a tal punto l’arte nasconde l’arte.

L’artista, innamoratosi della sua opera, l’aveva ritenuta l’espressione più alta della femminilità e aveva sperato che si animasse, finché il suo desiderio divenne realtà grazie all’intermediazione della dea Afrodite.
Traendo spunto dalla vicenda del personaggio ovidiano, e di quel rapporto amoroso che si instaura tra l’artista e l’opera, Giacomo Ferraù, mette in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano, Pigmalione: un testo che affronta la tematica assai complessa della distorsione che l’arte può applicare alla realtà, attraverso i propri strumenti e filtri interpretativi. Lo spettacolo prosegue la linea poetica tracciata dalla compagnia Eco di Fondo con le precedenti produzioni (La notte di Antigone, Orfeo ed Euridice, O.Z., Storia di un’emigrazione, Narciso), in cui il lavoro svolto è una rilettura di miti e fiabe, con una lente di ingrandimento sul contemporaneo. 

Il monologo si basa sulla vita di Kurt Gerron, attore e regista cinematografico, a cavallo fra le due guerre, che morì ad Auschwitz, una volta concluso lo spettacolo più bello del mondo. Infatti il regime nazista aveva chiesto al regista, durante la sua detenzione al campo di concentramento di Theresienstadt, una messinscena alla quale parteciparono come comparse gli stessi ebrei detenuti. L’obiettivo era creare, in occasione dei controlli della Croce Rossa, un’immagine posticcia di Terezin come luogo felice. Gerron realizzò quindi il documentario Theresienstadt. Ein Dokumentarfilm aus dem jüdischen Siedlungsgebiet (Terezin: Un documentario sul reinsediamento degli ebrei), noto anche come Il Führer regala una città agli ebrei.

ph. Laila Pozzo

In scena Ferraù è solo, tranne che per qualche intromissione di un altro personaggio, che però svolge un ruolo puramente strumentale nel cambiamento delle luci a vista, o di supporto per i cambi d’abito.
Sul palco sono presenti, in principio, un secchio capovolto e un’asta con microfono, incorniciati da un cono di luce. Qui il protagonista si presenta in frac nero e camicia bianca: in realtà l’abito è una struttura, o meglio un’impalcatura, ideata da Claudia Groppa, per rendere il nostro Pigmalione un pallone gonfiato, come si autodefinisce lui stesso, e per rendere la fisicità di Ferraù più simile a quella corpulenta di Gerron.
Sullo sfondo si alternano video, selezionati da Lorenzo Crippa, che rimandano al cinema dai tempi del muto, fino a immagini sul nazismo. Attraversiamo tutta la vita del protagonista: il suo avvicinamento alla scatola magica, il racconto delle sue commedie con lieto fine; la sua intenzione di dare una certa angolazione quantomeno ottimistica del reale. Io ho abbellito la realtà.. perché la morale è solo una questione di estetica. Proprio come il Pigmalione di Ovidio, che non si pone nessun freno nel giacere in un letto nuziale con un corpo inanimato di pietra, anche qui l’etica va in secondo piano rispetto a ciò che è bello.

ph. Laila Pozzo

Oltre alla peculiarità della vicenda e all’attenzione per la tematica, sempre calda, dell’Olocausto, di estremo interesse è la regia di Ferraù e Giulia Viana: lo spettacolo funziona grazie all’armonia fra gli elementi, tutti pensati per avere un loro peso specifico nell’opera.

I costumi di Groppa ci mostrano quattro stadi del personaggio: le esperienze giovanili, in camicia e pantalone, mentre gioca incuriosito con le prime strumentazioni del cinema; il successo fra le due guerre, in abito elegante e volutamente voluminoso nella stazza; continuando con una magrezza da fame, quella vera, in tuta rigata da campo di concentramento; per finire poi di schiena, nudo in scena, libero finalmente da quella grande bugia, ma nella morte.
Ancora notiamo il disegno luci, di Giuliano Almerighi, che accompagna sia l’evolversi del protagonista che l’involuzione nella tristezza e nella consapevolezza dell’orrore, quando la Storia cade dall’alto e ci trascina nelle sue decisioni come sabbie mobili. Abbiamo infatti luci aperte con i faretti dall’alto e laterali al palco, nella fase del successo; l’utilizzo delle gelatine rosse, nella rappresentazione della prima guerra mondiale, alla quale partecipò come soldato; illuminazione soffusa, per i passaggi più intimi e introspettivi con la moglie; i giochi d’ombre quando sono le SS a rivolgersi al nostro Pigmalione; e le luci che infine scoppiettano da tutti i lati durantei massacri.

L’interpretazione di Ferraù riesce a mantenere lo spettatore partecipe e interessato alle parole del protagonista per tutta la durata dello spettacolo attraverso la delicatezza dei suoi modi e della sua ironia, e all’utilizzo del corpo, estremamente consapevole e vicino per degli aspetti al teatro danza (si intuiscela consulenza coreografica di Chiara Ameglio). La recitazione si velocizza, diventando quasi nevrotica, durante la detenzione, nel suo maniacale ripetere termini registici: tutto è uno stacco, una sequenza, un carrello, un primo piano. Tutto è cinema nel suo modo di affrontare quell’esperienza brutale, come se fosse una sua forma, folle, di resistenza all’orrore del reale perché l’attore che interpreta Dio non c’è!.
Cosa significa per un’artista cedere l’anima al diavolo? Quante volte il nostro regista ebreo si sarà posto questa domanda? Ferraù prova a condividere con il pubblico il medesimo quesito.
Ma in tempi e situazioni coercitive, come quelle di Gerron, la risposta è marcatamente disperata quando quasi a fine spettacolo esclama, facendo il saluto romano come un soldatino: Ciò che non è nell’inquadratura non esiste, togliete il cadavere. Io devo fare arte! Io devo fare arte! Io devo fare arte!
Lui è solo un grammofono della propaganda nazista, mentre l’arte di Ferraù è un’attiva resistenza e una denuncia contro i sistemi totalitari.

 

PIGMALIONE
Anteprima Nazionale

regia e drammaturgia Giacomo Ferraù e Giulia Viana
con Giacomo Ferraù
disegno luci Giuliano Almerighi
allestimento audiovisivo Lorenzo Crippa
assistenti alla regia Sebastiano Bronzato, Calogero Scalici
distribuzione Elisa Binda
produzione Eco di fondo
con il sostegno di Fondazione Claudia Lombardi per il teatro
consulenza cinematografica Simone Faloppa
consulenza coreografica Chiara Ameglio
costume Claudia Groppa
Spettacolo inserito nel progetto Una casa per l’Umano con il sostegno di Regione Lombardia e del Comune di Milano

Teatro Elfo Puccini, Milano
30 giugno 2023