ELENA SCOLARI | Una Biennale verde smeraldo. Come il colore della laguna nelle giornate ventose, quando l’aria increspa le onde più del moto ondoso provocato dai vaporetti, (diventati cari quasi quanto la pietra preziosa, biglietti a nove carati). Ricci/Forte sono alla loro terza direzione della Biennale Teatro e declinano la sfumatura del colore all’inglese: Emerald, come la Città del Mago di Oz, perché il paese di fantasia raggiunto camminando oltre l’arcobaleno è il luogo del possibile, dove l’incantamento è padrone. Verde è però – ovviamente – anche inteso nella sua accezione eco, inevitabile, e nel suo simboleggiare il rigoglìo dopo l’inverno, rinvenendo nelle arti e nel teatro in particolare la gemma che può guidarci a scoprire cosa brilli davvero.

Verde è anche l’impermeabile che indossa Ana Lucia Barbosa, la performer brasiliana protagonista di Domani, rarefatto e breve lavoro concepito e diretto da Romeo Castellucci. Trenta minuti nella stupefacente Scuola Grande della Misericordia, nei pressi delle omonime Fondamenta, in un salone vuoto che misura 50 metri di lunghezza per 20 di larghezza e 12 di altezza, alle pareti affreschi dei profeti attribuiti alla scuola del Veronese. Fa colore ricordare che lo spazio fu utilizzato come campo di gioco dalla squadra di basket del Reyer dal 1941 al 1974.


Dicevamo di un impermeabile, un trench leggero verde militare stretto in vita da una cintura, sul corpo molto alto di una donna imponente con una lunga cascata di capelli neri che le cadono sulle spalle. Ci aspetta nel salone aggrappata a un lungo ramo secco, alla cui estremità sta incastrata una scarpa da ginnastica blu. La donna avanza lentamente a capo chino tra la chioma, utilizzando il ramo come un bastone da rabdomante o come un supporto per ciechi, misurando insicura l’enormità di quello spazio. Tentenna, tentoni, non è certa né della direzione né del volersi muovere. Il pubblico le gira intorno, la osserva, la segue, la guarda di lato o di fronte o da dietro, tenendosi a debita distanza.
Ma siamo sicuri che sia debita? Uno spettatore non indietreggia al suo avvicinarsi e viene ripreso dalla maschera, da chi avrà avuto questa istruzione? Se la performance si svolge in uno spazio libero, senza barriere, è legittimo immaginare che un incontro, un contatto, debba essere contemplato.
Infatti l’interprete non si scompone e quando alza la testa e apre gli occhi vediamo due bulbi completamente bianchi. Ora siamo sicuri che – almeno nella finzione – questo personaggio misterioso e muto sia una figura che incede all’oscuro di ciò che le sta intorno. Barbosa ora si dirige verso la parete lunga e camminando all’indietro cerca il muro fino ad appoggiarcisi, qui si sfila il trench e la maschera di lattice dal volto lasciandoli a terra in un mucchietto. Rimane con una leggera sottoveste color crema.

ph. Luca Del Pia

Difficile dire cosa possa significare lo spogliarsi, o se effettivamente significhi qualcosa. Data la natura della performance potrebbe anche essere un semplice svolgersi dei gesti, così come i sussulti e i sospiri di quasi pianto che scuotono – sempre con grazia – il corpo della donna, forse la fatica, forse la paura, forse lo sciogliersi dei timori man mano che procede. L’unico altro ‘fatto’ è lo sfilare la scarpa dalla punta del ramo, trovandone dentro un’altra più piccola, uguale, da bambino.
Succede poco, quindi si indaga – o almeno lo fa chi ha la deformazione di voler capire – per sviscerare ipotesi: i bambini sono sempre un passo avanti? I bambini sono il futuro che noi non vedremo? Lo sguardo fanciullo è quello che guida? Chi lo sa. Fatto sta che il clou di Domani è quando la rabdomante colpisce più volte con violenza lo zoccolino della parete con la scarpina al fondo del bastone provocando (probabilmente grazie a un meccanismo di sensori) un frastuono roboante che risuona apocalitticamente in tutta la Misericordia (suoni del fidato Scott Gibbons). I teli che coprono le casse vibrano visibilmente e le violente onde sonore si diffondono passando di persona in persona; si smorzano fino al colpo successivo, poi di nuovo fragore.
La cecità è forse nostra, che cerchiamo di vedere a tutti i costi, di scorgere senso, di leggere segni e scelte di una scrittura scenica che non sappiamo se voglia provocare, generare interrogativi o indurre pensiero, con scaltrezza.

Il giorno dopo, Romeo Castellucci era tra gli spettatori riunitisi in via Garibaldi, nel punto di slargo davanti ai cancelli del parco e al monumento all’eroe dei due mondi, per assistere a Swan, di Gaetano Palermo e con Rita Di Leo, lavoro vincitore del Bando Biennale College Teatro Performance Site-specific (2023). Una ragazza in pattini, tenuta sportiva e ginocchiere, parrucca bionda stopposa, danza sulla superficie della via più ampia di Venezia, indossa cuffie e (anche lei) una maschera di lattice con la bocca spalancata e armeggia con uno smartphone dal quale pare scegliere la musica, che il pubblico non sente. Disegna semicerchi, compie evoluzioni. Una colomba bianca morta – impagliata – giace sul pavimento. Lentamente le casse cominciano a diffondere suoni abissali (di Luca Gallio), una sorta di basso continuo che sale man mano di volume, poi gli spari.
Questa volta fa colore il signore che si allontana dal chiosco-edicola nei paraggi dicendo “Xè sta Garibaldi a sparar?”.


A ogni gragnuola di spari la danzatrice, il cigno del titolo, cade a terra ma si rialza, continuano i colpi ma lei continua a rialzarsi. Come si sa la morte del cigno è una faccenda che non si risolve in tempi rapidi.
Dalle note sul sito di Biennale apprendiamo che c’è un riferimento alla coreografia del 1901 di Michel Fokine per Anna Pavlova, prima ballerina del Balletto Mariinskij. Ma questo non ci colpisce granché. Nemmeno il resto, per la verità: la maschera dismessa, l’abbigliamento urbano, il sangue dal grembo, il ‘fuori contesto’ che dovrebbe causare “uno spostamento perturbante del quotidiano”. Ogni performance prevede che il passante possa entrare a farne parte, anche Garibaldi.

Chiudiamo questa parte del reportage veneziano di PAC riportando le impressioni, assai confuse, ricavate dalla lettura scenica di Addormentate di Caterina Balucani, vincitrice del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia Under 40 (2022-2023).
La confusione comincia dal titolo perché sugli schermi dove scorre la traduzione inglese del testo sembrerebbe essere Belle addormentate, che qualche differenza la fa. Il vero punto debole non è però questo, veniale, il fatto è che del testo di Balucani si riesce a seguire veramente poco: quattro attori, Vincenzo Crea, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran, indossano una sottoveste sopra agli abiti, si rubano un microfono per dire battute che ci fanno intuire si trovino in un dopo-festa, tragico, nel bosco. Gabriel Montesi rappresenta la voce dell’autrice.

Anche qui proviamo ad aiutarci con le note: “Persone che assumono il ruolo delle dormienti. Ognuno di loro si è ferito a causa di qualcosa che non doveva toccare, come la bella addormentata nel bosco. Si è sporcato di rosso la mano, nessuno può più avvicinarsi a lui, e ora non può far altro che dormire, come devono dormire le persone che sono entrate in contatto con lui. Queste belle addormentate si addormentano da sole e sognano da sole, ma nel sogno sono di nuovo tutte insieme”.
Non è chiaro se “lui” sia il bosco (dotato di mani?) ma non è chiaro nemmeno il processo che questi personaggi attraversano. La regia di Fabrizio Arcuri, cui il testo è stato assegnato ma che ha scelto il cast (con esperienze cinematografiche), non ha ancora trovato una linea che aiuti interpreti e spettatori a districarsi in un susseguirsi di azioni concitate, dal costrutto poco intelligibile. Un elemento distinguibile è che tutti e quattro soffrono, mancano di qualcosa, si sentono inadeguati, cercano – desti o no – la strada per uscire dal bosco.
Da registrare una fragilità recitativa condivisa, bisognosa di lavoro su dizione (romanissima) e articolazione delle parole, specialmente nell’interpretazione un testo che già di per sé non scorre affatto placido (nemmeno sui congiuntivi).
Se lo smeraldo del teatro luccica abbastanza, finiranno per trovarlo anche addormentate, cigni e rabdomanti.

DOMANI

concezione e direzione Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
coreografia Gloria Dorliguzzo
con Ana Lucia Barbosa
direzione tecnica Eugenio Resta
progetto sonoro Claudio Tortorici
oggetti di scena Andrei Benchea
direzione della produzione Benedetta Briglia
foto Luca Del Pia
produzione Triennale Milano e Societas; commissionata in occasione della 23a Esposizione Internazionale “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries” di Triennale Milano

Biennale College teatro
SWAN

di Gaetano Palermo
con Rita Di Leo
disegno sonoro Luca Gallio
assistenza e cura Michele Petrosino
prosthetics Crea FX
con il supporto di Casa della Cultura Italo Calvino; h(abita)t – Rete di spazi per la danza; associazione QB Quanto Basta
produzione La Biennale di Venezia
Vincitore del Bando Biennale College Teatro Performance Site-specific (2023)

Biennale College teatro
ADDORMENTATE – Lettura scenica

testo Carolina Balucani
regia Fabrizio Arcuri
con Vincenzo Crea, Gabriel Montesi, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran
produzione La Biennale di Venezia
Vincitrice del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia Under 40 (2022-2023)

Biennale Teatro, Venezia | 28/29 giugno 2023