EROSANTEROS – Agata Tomšič e Davide Sacco | Arrivare in città la notte prima dell’inizio del più importante festival d’Europa è un’emozione particolare. Le strade sembrano “vuote”, fervono di preparativi, furgoni che scaricano, scale che sbucano dalle cantine, artisti che si rincorrono per le vie del centro, primi operatori che si salutano all’imbrunire. Incontrare Tiago Rodrigues, in bicicletta, a mezzanotte, la notte prima del grande evento: sorridente ed emozionato come un bambino, gentilissimo, ti fa notare quanto è diverso quando il direttore artistico è un tuo coetaneo, un artista che ha costruito il proprio percorso partendo dall’indipendenza, prima di diventare uno degli autori teatrali contemporanei più conosciuti e ora il direttore del Festival d’Avignon. È la quinta volta che torniamo qui dal 2018. È sempre un’esperienza fortissima e quest’anno più che mai, leggendo le parole di presentazione del festival ci sentiamo a casa: “Per 21 giorni e 21 notti, ci riuniamo per celebrare il pensiero, per celebrare il dubbio, per sorridere senza essere d’accordo, per danzare la cittadinanza, per cantare il rischio e per applaudire la libertà artistica. […] Ci uniamo nella lotta per un pianeta in cui possano vivere le prossime generazioni, modificando le nostre pratiche e proponendo esperimenti che rinnovino il nostro rapporto con gli esseri viventi. Celebriamo un festival che è una lotta per un futuro desiderabile”.

ph ErosAnteros

La lingua inglese è la grande invitata di questa edizione per costruire ponti dove altri vorrebbero imporre muri: per la prima volta in 77 anni il sito del festival e gli spettacoli vengono tradotti e sovrattitolati anche in lingua inglese e tanti sono gli artisti provenienti da quest’area linguistica, tra cui Tim Crouch, Tim Etchells, Elevator Repair Service, Trajal Harrell, Alistair McDowall, Sam Pritchard. Attira la nostra attenzione anche il progetto “Première fois”, rivolto a spettatori che ancora non hanno avuto il desiderio, o non si sono sentiti legittimati, di visitare il Festival d’Avignon, per fare del Festival un luogo di inclusione e rappresentanza per tutti, attraverso progetti formativi e partecipativi che si sviluppano durante tutto l’anno e di cui il progetto “Prima volta” è soltanto la punta di un iceberg che emerge con attività dedicate ai neospettatori, tra le quali un simpatico “quaderno dello spettatore e della spettatrice” in cui si trovano consigli pratici-logistici, informazioni sui linguaggi dello spettacolo dal vivo, un decalogo di diritti e doveri degli spettatori, nonché un quiz attraverso il quale capire “che tipo di spettatore sei” e scoprire gli spettacoli che corrispondono al tuo profilo.

Il primo giorno non ci vengono forniti accrediti stampa, per cui approfittiamo del nostro molteplice ruolo di artisti e operatori, per incontrare Stefan Kaegi di Rimini Protokoll e partecipare alla prova generale di Payesages partages, che debutterà soltanto venerdì 7, nel parco di Pujaut, villaggio a pochi chilometri da Avignone dove il progetto è stato sviluppato nelle ultime settimane, grazie a un progetto europeo più ampio, Performing Landscapes, ideato da Kaegi con Caroline Barneaud per porsi la domanda su cosa può fare il teatro nel contesto della crisi climatica e ambientale che stiamo vivendo, coinvolgendo numerose istituzioni teatrali in Germania, Belgio, Spagna, Stati Uniti, Francia, Italia, Portogallo, Svizzera e Turchia. I due curatori hanno invitato nove artisti europei a riflettere sul concetto di paesaggio, estendendo le mura teatrali al di fuori delle città, all’interno dei luoghi naturali, per creare costellazioni artistiche che guardano alla terra come a una cartografia del possibile. Un totale di sette ore di vagabondaggio, di performance, di sette episodi, sculture musicali, audio-tour coreografici (Sofia Dias e Vítor Roriz), picnic dirottati (Chiara Bersani e Marco D’Agostin), pièce teatrali tra le vigne (Émilie Rousset), momenti in cui collettivo e individuale si fondono attraverso l’utilizzo di visori o cuffie wireless, a cui ciascuno di noi reagisce in maniera diversa, condivide lo spazio con gli altri in maniera diversa, riconoscendosi in maniera diversa nelle voci che ascolta o nelle immagini della natura che ha di fronte. Un’intensa esperienza sensoriale e partecipativa che si interroga sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, cercando, per lo spazio di un momento collettivo, di collegare natura e cultura in modo diverso, facendosi attraversare da  poetiche e linguaggi, mettendosi in rapporto con gli spazi, il calore, il vento, il tempo.

Kaegi racconta di essersi ispirato alla Land art degli anni ‘70, ma per superarla arricchendola dalla condivisione di uno spazio e di un tempo con altre persone, che è in fondo la base del teatro, soltanto che in questo caso si svolge in un altro luogo. Sarà proprio il suo episodio ad aprire la giornata a Pujaut, dopo essere stati forniti di programma di sala e mappa dell’evento, cuffie wireless e telo per sedersi a terra. Il suo lavoro invita gli spettatori ad ascoltare in cuffia e sdraiarsi sotto agli alberi, con il viso rivolto verso il cielo, le fronde. Questa posizione ribalta la nostra prospettiva quotidiana: ci stendiamo in orizzontale e guardiamo verticalmente, mentre nella vita siamo abituati a stare in verticale e vedere il paesaggio in orizzontale; questa nuova dimensione rallenta la percezione del tempo, ci mette di fronte a un’altra forma di ascolto, altera la qualità della nostra attenzione. Veniamo immersi in una conversazione registrata da persone di diverse età che dialogano stando nella stessa situazione. Sdraiati come quando si fa psicoanalisi, veniamo invitati a prestare ascolto al suono degli alberi, a voci che riflettono sulla vita, la morte, la guerra, sulla bellezza della natura che stiamo distruggendo – inevitabile fil rouge della maggior degli episodi che vedremo nel corso della giornata. Un bambino pone domande senza risposte agli adulti che lo circondano. Una ragazza ucraina ci insegna una canzone popolare che racconta come nel canto del cuculo si nasconda l’anima di sua madre.

ph Christophe Raynaud de Lage

Ci colpiscono particolarmente anche altri due episodi. Il lavoro di Begüm Erciyas e Daniel Kötter, che traendo ispirazione dai bunker militari che ancora si trovano nel parco Pujaut, creano un dispositivo esperienziale in due tempi, dove immagini panoramiche e parole sulle strategie belliche adottate nel conflitto tra Azerbaijan e Armenia vengono messe in rapporto dialettico con l’esperienza suscitata da visori di realtà aumentata che una volta indossati riproducono lo stesso prato in cui siamo posizionati, deserto, sollevandoci molto lentamente da terra e sempre più in alto, fino a farci vedere il territorio da diverse decine di metri d’altezza, riproducendo lo sguardo dall’alto delle fotografie di guerra che prima (nel nostro caso, ma gli spettatori vengono divisi in due gruppi, per cui ci sarebbe potuto capitare di vederle anche dopo) spiegavano il conflitto.

PAYSAGES PARTAGES<br /> Pieces de Chiara Bersani et Marco D'Agostin, El Conde de Torrefiel, Sofia Dias et Vitor Roriz, Begum Erciyas et Daniel Kotter, Stefan Kaegi, Ari Benjamin Meyers, Emilie Rousset, Conception et curation Caroline Barneaud, Stefan Kaegi, Costumes Machteld Vis Accessoires Mathieu Dorsaz, Comite scientifique dans le cadre de Performing Landscape : Frederique Ait-Touati.<br /> Avec Thomas Gonzalez, Emmanuelle Lafon, Clement Papachristou, Guillaume Papachristou
<br /> Et les musiciens Maxime Atger en alternance avec Anton Chauvet, Amandine Ayme (saxophones),
 Julien Berteau (trombone), Teoxane Duval (flute), Leila Ensanyar (trompette), Ulysse Manaud (tuba), Et les voix de Henri Carques, Febe Fougere, Charles Passebois, Sylvie Prieur, Oksana Zhurauel-Ohorodnyx.
ph Christophe Raynaud de Lage

L’ultimo episodio, firmato da El Conde de Torrefiel, inizia poco prima del tramonto, invitando gli spettatori a sedersi in mezzo ai campi e leggere collettivamente su di uno schermo un testo, il cui significato viene enfatizzato da un sapiente utilizzo dell’ambientazione sonora, che per il forte rapporto fra potenza simbolica-evocativa della parola e suono ricorda a tratti il Terzo Reich di Romeo Castellucci. Ma qui la narrazione è completamente diversa: Tanya Beyeler e Pablo Gisbert ci pongono di fronte alla parola di Gaia, di Dio, della Natura o in qualunque altro modo la vogliamo chiamare, che si rivolge direttamente al pubblico, a noi, mediante a un’intelligente dispositivo visivo-drammaturgico che trova nella minimalità la propria forza, collegandosi con il qui ed ora della performance, di quanto abbiamo vissuto durante le sei ore precedenti e di ciò che ancora ci aspetta prima della fine della giornata. Veniamo chiamati in causa e siamo senza scampo, inevitabilmente colpevoli di tutto il male che la nostra specie ha inflitto al Pianeta e fragili di fronte alla spietata verità e forza della Natura.

PAYSAGES PARTAGES<br /> Pieces de Chiara Bersani et Marco D'Agostin, El Conde de Torrefiel, Sofia Dias et Vitor Roriz, Begum Erciyas et Daniel Kotter, Stefan Kaegi, Ari Benjamin Meyers, Emilie Rousset, Conception et curation Caroline Barneaud, Stefan Kaegi, Costumes Machteld Vis Accessoires Mathieu Dorsaz, Comite scientifique dans le cadre de Performing Landscape : Frederique Ait-Touati.<br /> Avec Thomas Gonzalez, Emmanuelle Lafon, Clement Papachristou, Guillaume Papachristou
<br /> Et les musiciens Maxime Atger en alternance avec Anton Chauvet, Amandine Ayme (saxophones),
 Julien Berteau (trombone), Teoxane Duval (flute), Leila Ensanyar (trompette), Ulysse Manaud (tuba), Et les voix de Henri Carques, Febe Fougere, Charles Passebois, Sylvie Prieur, Oksana Zhurauel-Ohorodnyx.
ph Christophe Raynaud de Lage

Belli e delicati anche i frammenti musicali Unless di Ari Benjamin Meyers, compositore e artista americano che scrive e orchestra composizioni musicali disegnando e scolpendo vibranti cartografie sonore durante il corso della giornata, nello spazio. Sei musicisti locali che in momenti diversi emergono tra gli arbusti e i fili d’erba per accompagnarci all’interno del paesaggio attraverso il linguaggio intimo e universale della musica, dedicato volta per volta agli alberi, alla terra, agli uccelli, all’aria.

Rientrati in città incontriamo amici e colleghi che sono stati allo spettacolo di apertura al Palais Des Papes, che vedremo l’indomani. Ci raccontano che è stato preceduto da un 1 minuto di silenzio dedicato al ragazzo di 17 anni ucciso da un agente lo scorso 27 giugno a Nanterre, a cui sono seguiti numerosi moti di protesta e scontri con la polizia nelle principali città francesi. Nuovamente, in poche ore, ci convinciamo che la lotta della festa a cui stiamo partecipando è anche la nostra.

PAYSAGES PARTAGÉS

7 episodi tra i campi e le foreste

Con Thomas Gonzalez, Emmanuelle Lafon, Clément Papachristou, Guillaume Papachristou e i musicisti Maxime Atger / Anton Chauvet / Amandine Ayme (sassofoni), Julien Berteau (trombone), Téoxane Duval (flauto), Leïla Ensanyar (tromba), Ulysse Manaud (tuba) e le voci di Henri Carques, Febe Fougère, Charles Passebois, Sylvie Prieur, Oksana Zhurauel-Ohorodnyx

Episodi di Chiara Bersani e Marco D’Agostin, El Conde de Torrefiel, Sofia Dias e Vítor Roriz, Begüm Erciyas e Daniel Kötter, Stefan Kaegi, Ari Benjamin Meyers, Émilie Rousset

Concezione e cura Caroline Barneaud, Stefan Kaegi

Costumi Machteld Vis Accessoires Mathieu Dorsaz

Comitato scientifico all’interno del progetto Performing Landscape : Frédérique Aït-Touati

Produzione Rimini Apparat (Germania), Théâtre Vidy-Lausanne (Svizzera)

Produzione locale Festival d’Avignon

Coproduzione Bunker e Mladi Levi Festival (Slovenia), Culturgest (Portogallo), Tangente St. Pölten Festival für Gegenwartskultur (Austria), Temporada Alta (Spagna), Zona K e Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa (Italia), Berliner Festspiele (Germania), Festival d’Avignon (Francia)

Con il sostegno di Camões Centre culturel portugais à Paris pour la 77e édition du Festival d’Avignon

Con la partecipazione della città di Pujaut

https://festival-avignon.com/fr/edition-2023/programmation/paysages-partages-331873