SOFIA BORDIERI | I Cantieri Culturali alla Zisa a Palermo sono un labirinto per chi non li conosce bene, eppure già dal primo istante scaturiscono sensazioni di familiarità e accoglienza, infatti, si impara presto a muovercisi dentro. In questi spazi collaborativi si è tenuto il Mercurio Festival, organizzato dallo Spazio Franco, giunto alla quinta edizione che abbiamo seguito durante il week end conclusivo da giovedì 28 a sabato 30 settembre.

Partiamo da Ici soit-il di e con Yann Lheureux, secondo capitolo di un ciclo di ricerca avviato dal coreografo nel 2017 sulla memoria relazionata all’identità, al corpo, al territorio. A partire dall’esperienza diretta con la malattia della madre, l’Alzheimer, l’autore declina il morbo come disturbo del nostro secolo. Allo Spazio Tre Navate, in pantaloni, camicia e scarpe nere Lheureux attraversa lo spazio con brevi e minuziose sequenze di movimento che cambiano repentinamente. L’illuminazione fissa e tenue contribuisce insieme a risa e versi preverbali, udibili nel suono di Arnaud Bertrand, a evocare una vaga confusione. È evidente il nesso memoria-corpo: la figura è come incarnazione di un cervello che soffre di perdite di memoria a breve termine. Con l’incalzare dei beat quell’adesione più letterale si sfibra e la ricerca, tra perdita e persistenza, si sviluppa nelle possibilità dinamiche attraverso riverberi, ripetizioni, cambi. Lheureux si muove continuamente su tutta la scena o su piccole porzioni di essa. La sua presenza è concreta ed evanescente, specie durante i passaggi dietro il leggerissimo telo di plastica, fermo e fluttuante, fissato frontalmente come un fondale. Là dietro, come immerso in un liquido, la sua immagine, grazie al light design, diventa sfuocata, distorta, dilatata come i dipinti di precisione fotografica di Gerard Richter. Al di là del telo i movimenti più interessanti sono quelli lenti, dell’attesa, della stasi che, come dentro una bolla, rivelano i dettagli delle mani, delle posture, degli andamenti. Camminate, riposini, capriole alternano dinamica e paralisi, dramma e libertà. Lheureux è come un neurone indipendente che danza senza ascoltare nessuno, come in una stanza tutta per sé.

Haunted – primo segnale di Gaia Ginevra Giorgi ph. Marta Puglisi

A seguire, presso lo Spazio Franco Gaia Ginevra Giorgi porta in scena la performance Haunted – primo segnale dove ad accoglierci nel buio è un suono grave e graffiante. Una piccola lampadina accesa, posizionata al centro, rivela porzioni di una matassa di fili elettrici e il corpo della Giorgi, figura strisciante biancovestita, che si posiziona dinnanzi a un piccolo mixer analogico. Da qui inizia una narrazione sulla memoria, l’isolamento, la separazione attraverso una registrazione vocale appositamente creata alternata con tape “saccheggiati” da materiali biografici da cui riemergono voci, messaggi, interferenze. Dalla regia a lato, la performer si sposta al centro dove, in una posizione asimmetrica da quadrupede, muovendosi in modo concitato, affonda la testa in una bacinella d’acqua. Gli schizzi si fondono a distorsioni e suoni metallici e anticipano la proiezione finale di un video analogico anch’esso distorto (visivamente) da Giorgi. Al livello sonoro il ricordo evocato è quello degli Imaginary landscape di John Cage per l’aleatorio e la frammentarietà che determina totalmente il progetto drammaturgico non interamente saldo.

Venerdì abbiamo visto Felicia di Stefania Ventura e Quinzio Quiescenti, uno spettacolo teatrale delizioso per giovanissimi spettatori (dai sei anni in su), preparati alla visione con un laboratorio propedeutico curato da Le Giuggiole. Felicia, racconta Ventura nelle vesti di un tasso, è una strega brutta, sporca e cattiva arrivata nel bosco dove si intrufola, porta paura, scompiglio, toglie il sonno e nessuno sa perché. Parlando verso il pubblico, il tasso si rivolge ai suoi amici, gli animali del bosco, tutti preoccupati di perdere la felicità. La strega, infatti, non si appropria solo di fiori, foglie e funghi, ma è alla ricerca di denti di orso, unghie di tasso, piume di civetta. Dopo due tentativi fatti per scacciarla (toglierle l’acqua e il cibo) al terzo (sotterrarla) appare Felicia, un fantoccio di pezza dagli occhi di plastica manovrato a vista dalla performer che si fonde con la sua figura. Nei fitti dialoghi e monologhi tra le due, spicca un’assoluta consapevolezza del movimento e della manovra, nonché della voce diversificata, capace di far percepire il personaggio di stoffa come dotato di vita propria. All’interno della dimora di Felicia si scopre tutta la verità della brutta faccenda che i bambini e le bambine presenti sono condotti a capire, molto prima della fine. La “strega” non era affatto cattiva, raccoglieva le cose del bosco per costruire degli amici, sculture-feticcio, per sentirsi meno sola. Il tasso, dopo aver sconfitto la paura di quella cosa sconosciuta, ha altresì trovato in Felicia la felicità incarnando un essenziale esempio di amicizia, inclusione e abbattimento degli stereotipi dati dalle diversità.

Felicia
Felicia con Stefania Ventura ph. Nayeli Salas

Allo Spazio Tre Navate è andato in scena La vaga grazia di Eva Geatti con il suono prodotto live da Dario Maroldo in regia. La luce è fissa su una scena vuota dove è visibile a sinistra un microfono sospeso in aria appeso al soffitto. Il linoleum bianco è abitato da due triangoli adiacenti, una diagonale intersecata a un cubo, una X e un poligono aperto realizzati con nastro adesivo colorato. Cinque performer, in pantaloni beige e t-shirt bianca, sono già in scena e agiscono, come riportato dalla sinossi, mossi da qualcosa di non conosciuto. Ognuno di loro esplora un task di movimento, legato alla musica o alle figure del pavimento, costruendo nel complesso una partitura astratta, elementare, ludica dalle modalità autistiche per le ripetizioni rituali, i dondolii, l’ossessività tranquilla del muoversi. Il tappeto di pulsazioni sonore prodotte dai sintetizzatori diventa sempre più articolato, distorto e arricchito, nel corso dello spettacolo, dalla voce dei performer che avvicinandosi al microfono emettono suoni gutturali, versi preverbali non riconoscibili. Tutti agiscono in solitaria, sviluppando poi la ricerca nell’incastro, nel contatto e nella presa con l’altro. In totale assenza di schemi estetici canonici i performer alla fine si riuniscono, mentre svapano, in un gruppo che si scompone e ricompone formando una massa mutante. Non c’è una sensazione di inizio o fine, non c’è certezza di cosa stia succedendo davanti ai nostri occhi, e questa è anche la motivazione data da Alessandro Sciarroni che ha invitato Geatti al Festival. Tra la “pesantezza” palpabile nella ricezione del pubblico (forse un po’ sfinito dall’azione portata avanti per 60 minuti), emerge una ricerca performativa cristallina, e anche per questo audace, priva di qualsiasi vezzo.

La vaga grazia di Eva Geatti ph. Nayeli Salas

Sabato sera è poi andata in scena l’ultima replica de L’imbarazzo dell’infinito performance per spettatore solo di Mariagiulia Colace proposto dal 28 al 30 allo Spazio Marceau, la proposta più interessante dell’intero week end per il mio sentire: l’attrice, drammaturga e illustratrice ha ideato un’esperienza one to one ponendosi nei panni di umanoide-macchina.
Dopo aver indossato cuffie e telefono, infatti, mi ritrovo in una stanza, in chiamata con la performer e, sin da subito, ho la sensazione di dialogare con un’anima risucchiata dallo smartphone. Mi ringrazia di essere lì, una stanza vuota in penombra con due poltrone speculari e corrispettivi tavolini, perché non è scontato voler entrare in un luogo senza sapere nulla. L’atmosfera è rarefatta dal fumo di scena, mi siedo e la voce mi tiene compagnia con una serie di domande. La voce è calma e ha un effetto perturbante. Dopo avermi chiesto quanto dura in media un mio pianto, la pseudo-Alexa mi racconta dei molti filosofi e poeti che nella storia hanno considerato il mare come il serbatoio (infinito) di lacrime degli esseri umani. Nella sua voce traspare sicurezza, perché lei è consapevole di poter simulare ogni emozione, gesto, postura, ma anche risentimento perché, in quanto macchina, è dotata di funzioni limitate. Colace, allora, entra nella stanza, siede, mi guarda e mi chiede senza volere una risposta: come hai fatto a diventare così? Una nuova serie incalzante di domande vengono, stavolta, lasciate in sospeso mentre rimango sola in quella stanza in compagnia di qualcosa che mi è caro.

Lo spettacolo conclusivo è IN C della compagnia tedesca Sasha Waltz & guests organizzato in collaborazione con il Goethe Institute Palermo e il Conservatorio di Palermo. Michal Mualem assistente e collaboratrice di Sasha Waltz ha curato attraverso un workshop-laboratorio di dieci giorni il montaggio di IN C che pone le fondamenta sull’omonima partitura di Terry Riley composta nel 1964. Volutamente pensato per non essere un pezzo scenico finito, il materiale coreografico è composto da cinquantatré figure inserite all’interno di improvvisazioni strutturate. La scena è vuota, semplicemente animata da un fondale illuminato da luci di diverso colore a partire dal rosso. Lo spazio viene riempito velocemente con l’entrata, dalla parte sinistra della platea, delle dieci danzatrici. Tra i colori variopinti dei costumi si intravedono i musicisti (in nero) che, in silenzio, partecipano ai primi attraversamenti spaziali con camminate e brevi corse per poi uscire. Percussioni, sax, clarinetto, violoncello, xilofono elettronico iniziano a rianimare la partitura incalzante, a tratti minimale seppur molto complessa, di Riley. Direzioni, modulazioni di energia, qualità rendono sempre eterogenei giri, salti, ritmi, movimenti delle mani strettamente legati alla musica. Ogni danzatrice sviluppa propri moduli perlopiù in solitario, ma anche in coppie, trii e unisoni di gruppo. Lo spazio musica-danza non è diviso, il movimento costante si inserisce anche tra i musicisti e arriva vicino al pubblico (numerosissimo), si dilata oltre la scena per arrivare vicino ai muri, dietro al fondale. Ogni modulo coreografico è definito, fissato e studiato per essere incastrato agli altri e alla partitura. Benché l’esecuzione tecnica sia risultata molto poco limata, è evidente che si tratti di una sfida per le danzatrici che talvolta sorridono, dal loro labiale si riconosce il conteggio. Ma i corpi, le età e le maturità diverse mostrano il piacere della condivisione di IN C e della sua complessità. Un lavoro astratto dal sapore post-moderno anni Settanta, fortemente mentale e fisico.

IN C di Sasha Waltz & Guests ph. Nayeli Salas

A chiude le serate, ogni giorno, sono stati i concerti di diversi gruppi musicali. Abbiamo visto l’ensemble bolognese PIS – Passami il sale che ha presentato una interessantissima poetry music performance all’interno di una bellissima scultura-mostro progettata da Guido Volpi. Il secondo concerto visto è stato quello di Vera Di Lecce, Altar of Love, un miscuglio di musica elettronica, melodie e testi pop, percussioni graffianti arricchiti dai movimenti della cantante. L’atteso concerto di chiusura è stato aperto da Santamarea giovane gruppo palermitano e Stefano Barigazzi che hanno anticipato i Calibro 35 accolti da un Open Spazio Averna gremito di rockettari e non. Nel complesso una chiusa appagante per un festivalis sapido.

Mercurio Festival, 20-30 settembre Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo

ICI SOIT-IL
Coreografia e interpretazione Yann Lheureux
Creazione del suono Arnaud Bertrand
Disegno luci Catherine Noden
Scenografia Yann Lheureux e Ann Williams
Costumi e oggetti di scena Ann Williams
Invited to Mercurio by Col J’am
In collaborazione con Istitute Culturel Français di Palermo

HAUNTED primo segnale
Un progetto di e con Gaia Ginevra Giorgi
Dialogo drammaturgico Giada Cipollone
Cura del suono Glauco Salvo
Disegno luci e direzione tecnica Andrea Sanson
Creazione degli abiti Giuditta Tanzi/Garbage Core
Invited to Mercurio by Elena Rivoltini

SPOSTIAMO GLI ORGANI
Performance a cura dei PIS – Passami il sale con scenografie di Guido Volpi
Invited to Mercurio by Leda Gheriglio

FELICIA
Di Stefania Ventura e Quinzio Quiescenti
Con Stefania Ventura
Marionetta ibrida Giorgia Goldoni
Luci Gabriele Gugliara

LA VAGA GRAZIA
Di Eva Geatti
Con Adriana Bardi, Leandro Pau, Andrea Baghetto, Carolina Bisioli, Patrick Platolino
Musiche Dario Moroldo
Invited to Mercurio by Alessandro Sciarroni

ALTAR OF LOVE
Vera Di Lecce live concert
Invited to Mercurio by Anton Sconosciuto

IN C
Di Sasha Waltz & Guests a cura di Michal Mualem

Closing concert Mercurio
Calibro 35 Nouvelles Aventures on tour
Opening Santamarea e Stefano Barigazzi