RENZO FRANCABANDERA | È un percorso fra culture e geografie del pensiero e del linguaggio della danza quello ideato per la XXX edizione di Fabbrica Europa. Il programma con cui si celebrano i trent’anni della storica rassegna fiorentina, nell’idea della direzione artistica affidata a Maurizia Settembri, tesse fili concettuali che portano gli spettatori in un affascinante viaggio nel linguaggio della danza, della musica, delle arti performative e nel loro intersecarsi, un richiamo all’essenzialità della terra. Non nella sua oggettività, ma in una sorta di sogno creativo, nel guardare a quelle forze generative che la abitano oltre il tempo e la storia, oltre gli stereotipi e i pregiudizi.
Si è testimoni di trenta anni di storia del linguaggio coreutico, ma non come una semplice celebrazione, bensì come un “anno zero” che ci invita a ripartire da una nuova essenza creativa. Il festival di arti performative e cultura coreografica, fra i maggiori in Italia si è animato con i segni e le azioni creative affidate a coreografi individuati come espressioni di una contemporaneità eclettica e polimorfa, dentro una geografia diffusa che unisce centro e periferie: PARC Performing Arts Research Centre, Manifattura Tabacchi, Museo Novecento, Palazzina Reale, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Cantiere Florida, La Compagnia, Tenax. Questi luoghi sono stati per tutto il mese di settembre e saranno ancora per qualche giorno, fino al 12 ottobre, i palcoscenici in cui artisti provenienti da diverse parti del mondo hanno tracciato un percorso culturale e geografico alla ricerca di nuovi orizzonti di futuro.
Il progetto creativo è quindi un invito a esplorare altre vie di una società che sta ancora emergendo, e che mai come in questo momento ha bisogno di luoghi di riflessione senza dogmi, punti da cui osservare l’evoluzione dell’arte e delle società. In questo viaggio, Fabbrica Europa sfida a guardare oltre e ad abbracciare un futuro di possibilità infinite, ispirate dalle energie in continua rinascita che permeano un mondo complesso e in costante cambiamento.
È proprio questa cornice di pensiero che ha fatto da sfondo alle due performance ospitate qualche sera fa a Palazzina Reale, un piccolo edificio di pregio, di epoca fascista, che era la sala d’aspetto personale del re, situato infatti di fianco alla stazione di Santa Maria Novella e ora sede dell’ordine degli architetti.
Qui gli spettatori hanno potuto assistere nella sera del 4 ottobre a due brevi ma intensi assoli di Leïla Ka e Alexandre Fandard.
Leïla Ka ha iniziato il suo percorso artistico con la danza urbana, ma ha rapidamente abbracciato altre influenze. Il suo talento è emerso quando ha danzato per Maguy Marin in “May B” nel 2016, acquisendo una teatralità che ha arricchito la sua ricerca coreografica. Nel 2018, ha creato il suo primo solo, Pode Ser, che ha ricevuto numerosi premi internazionali. Negli anni successivi, ha continuato a sfidarsi con opere come C’est toi qu’on adore nel 2020 e Se faire la belle nel 2022, quest’ultimo selezionato per Aerowaves 2023 e appunto in replica qui.
L’artista attende gli spettatori già in sala, in una mise intima e notturna. La figura femminile è ferma, in un riposo ad occhi chiusi, vestita in una camicia da notte.
Un’immagine di purezza in contrasto con l’oscurità circostante, che diventerà con l’incedere di una musica dal ritmo techno, simbolo del mondo dei sogni e della fantasia, ma anche delle inquietudini. Immobile sulle gambe che resteranno fisse nella stessa posizione per tutta l’azione performativa, la danzatrice muove gli arti e il busto in un singulto di esternazioni del inconscio, che usciranno fra il candore di Alice nel paese delle meraviglie e le angosce in stile Psychosis di Sarah Kane. Il suo corto capello biondo evoca ora dolcezza infantile ora una risposta post-punk all’idea del corpo oltre i generi, mentre il busto viene pesantemente in avanti e le braccia si dimenano forsennate, quasi a voler strappare di dosso la tunica, per poi tornare a una posizione di stasi serena, come se si fosse attraversato un sogno. Il corpo di Leila Ka si contorce dunque in un atto di ribellione, desiderando ardentemente la libertà, cercando di liberarsi dalle catene dell’obbligo e del condizionamento. Dentro lo spazio spoglio ma sontuoso della Palazzina, questa geografia fisica vulnerabile ma audace lotta per la liberazione, accompagnata da una colonna sonora elettronica che enfatizza il suo grido muto.
Dopo il caloroso applauso riservatoli dal pubblico è stato il turno del secondo artista in programma, Fanard, che entra in scena dal lato della platea.
Nel mondo della danza, Alexandre Fandard ha assunto un ruolo peculiare, per la sua vocazione multidisciplinare. Fandard è infatti un artista visivo delle arti performative, con una scrittura coreografica che fonde danza, teatro e performance. La sua produzione artistica è permeata da un’approfondita esplorazione della psiche umana, raffigurando desideri, limiti e il potere di sublimare ciò che non può essere compreso.
La sua carriera è stata plasmata dall’esperienza all’Académie Internationale de la Danse di Parigi e dalla sua partecipazione in spettacoli come Exhibit B di Brett Bailey e Heroes di Radhouane El Meddeb.La sua estetica “organica” unisce il movimento fisico con influenze pittoriche, creando opere che sono un incrocio tra le arti e la materia stessa.
In Comme un symbole il danzatore, dal fisico imponente, veste i panni di un “banlieusard” ovvero il giovane delle periferie, figura complessa e controversa, di cui rende sintesi gestuale fra protesta e sfinimento da droghe, tentativi di riprendere una identità politica e sociale e isolamento, in un assolo breve ma potentissimo in cui si fanno sintesi temi attuali come la paura, l’emarginazione ma anche la curiosità dell’esistenza.
Vestito in una tuta acetata con i colori della bandiera francese, Fandard cerca in qualche modo di riabilitare, o quanto meno di spiegare la complessità di questa figura spesso fraintesa, sfidando i cliché che la circondano.
I gesti sono tutti vicini al comprensibile ma rifuggono il didascalico: si fanno cenno ma mai risposta. Il movimento dell’artista calamita lo sguardo.
I due assoli raccontano fondamentalmente le profonde solitudini del nostro tempo: la prima è quella del disagio interiore, la sua difficoltà di essere comunicata all’esterno tanto da dilaniare.
La seconda nasce invece dall’esterno: è la solitudine sociale, il non essere organicamente parte di una struttura di integrazione e possibilità, di accettazione del proprio sentire.
Entrambe nascono dalla condizione di diversità: nel caso di Leila Ka è la diversità del sensibile soggettivo, in quello di Fanard è invece diversità di origine, spesso emarginazione da migrazione.
La giustapposizione di questi due pezzi del mosaico spiega molta parte del nostro oggi.
SA FAIRE LA BELLE
coreografia e danza: Leïla Ka
disegno luci: Laurent Fallot
partner e supporti: Chorège Cdcn Danses à tous les étages DRAC Pays De La Loire Espace 1789 Scène Conventionnée, L’étoile du nord Scène Conventionnée, Le Gymnase CDCN, Le 104 – Paris, Les Hivernales CDCN, Les Quinconces – L’espal Scène Nationale, Le Théâtre Scène Nationale, Musique et Danse en Loire Atlantique, RAMDAM, un centre d’art, Théâtre de Vanves Scène Conventionnée, Tremplin Réseaux Grand Ouest, Sainte-Anne St-Lyphard
con il sostegno della Ville de Cormeilles-en-Parisis
A Fabbrica Europa Se faire la belle è realizzato con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea.
Lo spettacolo fa parte della programmazione della Florence Art Week (28 settembre – 8 ottobre 2023).
COMME UN SYMBOLE
coreografia, interpretazione, sound design: Alexandre Fandard
light design: Chloé Sellier
partner e supporti: Le CENTQUATRE-PARIS, L’Étoile du nord – scène conventionnée, L’Espace 1789 – scène conventionnée, Théâtre de Vanves – scène conventionnée, La Briqueterie – CDCN, Le SEPT CENT QUATRE VINGT TROIS / Cie 29×27, Festival Hip Opsession – Pick Up production, Festival 30/30, Festival Fabbrica Europa, Karukera Ballet (Guadeloupe), La Commanderie-SQY, Collectif 12