CHIARA AMATO* | La compagnia I Pesci è stata nuovamente in scena al Teatro Franco Parenti, presentando lo spettacolo Supernova al pubblico milanese.
L’opera prende il titolo dal fenomeno scientifico di esplosione stellare, provocata da una stella che ne ingloba un’altra più piccola e che dà luogo a una reazione violentissima e luminosissima. La materia prodotta dall’esplosione si disperde nell’universo dando vita a nuove stelle mentre il nucleo collassa su se stesso e crea un buco nero.
Così avviene in una famiglia quando, alla morte tragicomica e improvvisa del padre, i tre figli (Alessandro Gioia, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto) si scoprono adulti, senza essere pronti. La madre (Lia Gusein-Zadé) è il nucleo, è la supernova ma morente, e i destini dei tre figli si allontanano per poi ricongiungersi nel finale per riveder le stelle.

Questa produzione originale della compagnia, con la regia di Mario De Masi, è a loro molto cara e ha avuto una gestazione di anni, espandendosi nella durata e nell’intensità. Iniziata come frame laboratoriali in seguito a un lavoro sul corpo che il regista ha condotto in un carcere femminile, si è fatta via via spettacolo.
Con la delicatezza e l’ironia che contraddistingue l’autore campano, ci interfacciamo con temi importanti: il rapporto con la figura materna, nutrimento e desiderio; le dinamiche di potere fra i fratelli, poi pareggiate dal gioco che facevano da bambini di sollevare il naso a guardare gli astri nel cielo; il trauma del lutto paterno, il padre è il grande assente che viene impersonato in scena in alcuni momenti da Gioia, in altri da un plastichino che viene modellato e fatto a pezzi dai figli; la famiglia e le sue mille contraddizioni che formano e lacerano.

La scenografia è inesistente (sul palco c’è solo una sedia), ma viene compensata dal disegno luci di Desideria Angeloni: si accendono faretti laterali fino ad accecare la parte antistante al palco; le luci sullo sfondo si fanno blu all’esplosione della supernova e diventano calde e basse nel ballo iniziale e finale della madre. Accompagnano gli attori, comunicando con la drammaturgia.
I costumi (di Diana Magri) sono coerenti infatti finché i figli sono ancora sotto la protezione materna, calzoncini corti con i calzini tirati fino al ginocchio; l’unica che cambia più spesso abito è la madre, prima ragazzina liceale poi puttana e anziana demente alla fine (si alternano un vestito a fiori, una gonna di pelle e una camicia da notte); infine la prole si cambia di costume quando diventa adulta e ognuno di loro, più o meno traballando, ha preso la propria strada.

Come anche altre opere della compagnia ritorna l’elemento familiare (vedi Caini ora in scena sempre al Parenti); ritorna il fuoco iniziale di fogli bruciati, come ne La Foresta; torna la brutalità delle parole: il più tagliente e distruttivo resta il personaggio interpretato da Madonna, il quale essendo il figlio brillante, umilia di continuo gli altri due, in particolare Stoccuto. Quest’ultimo è indietro anche nel linguaggio, più degli altri, perché in fondo resta “il figlio scemo”, quello attaccato al seno materno, quello che poi si occuperà della cura della madre anziana, quello che non ha mai trovato una strada autonoma: il potere della supernova lo ha totalmente divorato.
Il contraltare combattivo, invece, interpretato da Gioia, non molla, è forse il più sempliciotto della famiglia, quello che deve portare avanti il lato pragmatico, la persona che ha preso il ruolo paterno e ha infatti una recitazione matura, adulta, che si fa carico della sofferente macchina familiare.


Quello che fa la differenza in questo spettacolo sono il testo e l’interpretazione.
L’intreccio non è originale ma è interessante l’utilizzo che viene fatto del dialetto napoletano, che entra in campo nel suo lato aggressivo più che nella sua dolcezza e musicalità. È la lingua con cui litigano, con cui si attaccano, e viene masticata in particolare dai due fratelli maggiori con sapienza e pienezza, sporca e bassa.
Le immagini, molto evocative e mai banali, delle strutture familiari de I Pesci risentono di echi diversi: c’è il dato personale dei vari interpreti, ci sono elementi culturali, c’è il sacro e la sua desacralizzazione (Cristo viene citato più volte insieme a Marx, ma entrambi senza toni reverenziali), c’è il grottesco e il carnascialesco.
L’interpretazione accomuna per alcuni tratti il trittico maschile in scena: lottano ma in realtà la madre tira le fila, pur non parlando guida e schiva i colpi. Peculiare ma estremamente efficace la scelta di non concedere al personaggio femminile la parola: le danze della Gusein-Zadé in principio ammaliano e ci introducono magicamente allo spettacolo; si trasformano in un gioco infantile nella parte centrale – dove interagisce con i figli spintonandoli – per poi diventare quasi una marcia funebre, durante la quale si sfalda pezzo per pezzo. Molto toccante l’accettazione rassegnata e dolorosa della condizione di salute materna, da parte dei figli: il climax emotivo però raggiunge il suo apice nell’assordante musica finale, con gli ultimi battiti/passi della interprete. È lacerata nel volto e nel corpo, ha movimenti spezzati, come se le ossa cedessero per poi crollare al suolo in lacrime. Non sono lacrime disperate, ma di accettazione, come se naturalmente tutto avesse una fine e questo significasse anche un nuovo inizio per i suoi figli.

Lo stile è molto riconoscibile: la compagnia e l’esperienza registica di De Masi trasudano la sua personalità eclettica, ingombrante e un po’ borderline, sempre rivolta a raccontare un sottobosco di varietà umana; uno sguardo attento a quelle pieghe tristi e nostalgiche dell’essere umano che lo rendono così tanto e troppo umano da arrivare forti al pubblico.
Opere che lasciano pensare ai demoni interiori. Che rimandano domande a cui rispondere.


SUPERNOVA

regia e drammaturgia Mario De Masi
con Alessandro Gioia, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto, Lia Gusein-Zadé
disegno luci Desideria Angeloni
disegno sonoro Alessandro Francese
costumi Diana Magri
aiuto regia Serena Lauro
foto di scena Ivana Fabbricino
produzione Teatro Franco Parenti / Compagnia I Pesci
Rassegna La nuova scena a cura di Natalia Di Iorio

Teatro Franco Parenti, 24 novembre | Milano

* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.