SARA PERNIOLA | Una delle caratteristiche più evidenti del talento di Toni Servillo – sia a teatro che sul grande schermo – è riuscire a interpretare i propri personaggi attraverso diversi linguaggi comunicativi. Un solo gesto, infatti, una sola parola o espressione sul suo viso riescono a dare un significato intenso alle sue interpretazioni, piene di una carica magnetica capace di risvegliare continuamente l’interesse e la riflessione degli spettatori. Con lo spettacolo Tre modi per non morire, andato in scena al teatro Arena del Sole di Bologna accade questo: Toni Servillo recita alcuni meravigliosi stralci dell’omonimo testo di Giuseppe Montesano, scritto appositamente per essere portato a teatro dall’attore napoletano. Un viaggio teatrale in tre tappe, all’interno del quale grandi poeti – Charles Baudelaire, Dante e i classici greci – mostrano le passioni, le pratiche utili per conoscere sé stessi e il mondo: ci ricordano come e quanto l’amore e la bellezza debbano scontrarsi con una realtà molto spesso squallida e, nonostante questo, riescano a mantenere viva la fiamma della felicità. Ci insegnano, insomma, l’arte del non morire. 

La pièce si apre con Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?, un elogio della bellezza capace di ingentilire il dolore e l’indifferenza più arida, il quale prende la forma di una conversazione intima tra lo scrittore e il poeta, interrogato sul tempo presente e su ciò che siamo, su come sia possibile che la poesia sia stata sconfitta dalla realtà e «su quale mattino verrà». Servillo, elegantemente vestito in nero, è la voce narrante che accompagna il pubblico verso un mondo in cui di fronte alla vertigine, alla mancanza, all’apatia, si può volgere lo sguardo altrove, verso un luogo in cui la poesia può trasformare il dolore in conoscenza e dire la verità, anche con atmosfere perturbate.

Le emozioni iniziano a intensificarsi quando l’attore comincia a parlare di Jeanne Duval, la «négresse», la musa con la quale Baudelaire vivrà per vent’anni: il contenuto narrativo e la parola lavorata, scolpita, manipolata dall’intonazione di Servillo, fanno trasparire con evidenza ciò che autore e interprete vogliono raccontare. Grazie a quei mesi di passione Baudelaire inizierà la sua vera educazione, che poi si intreccerà con la politica, con la libertà, con la dicotomia tra il bene e il male, ripudiando sempre la retorica e il governo sanguinario di Napoleone III. È così che gli esiliati, gli sconfitti, i folli, si ritrovano nei suoi versi incantevoli, sia in quelli che frequentano l’oscurità e la disperazione sia in quelli ebbri di gioia e utopie. Nella disfatta, infatti, «zampilla il furore paziente della poesia», capace di sconfiggere il mostro senza testa più terrificante di tutti: la noia. 

Ph. Masiar Pasquali

In questo dialogo il tempo di Baudelaire si configura come un carnevale in cui appare il nostro tempo carnevalesco, dove trionfano la «prostituzione del danaro» e l’estetizzazione della vita, fondata sul solo comandamento della società del consumo: desiderare e godere di qualunque cosa venga indicata come degna di desiderio da altri. Quali sono, quindi, gli antidoti per non essere risucchiati dall’«oppio mediatico» e dagli uomini d’affari che ci rubano il respiro, che popolano questo contemporaneo «feudalesimo digitale» fatto di peccati testardi e pentimenti codardi? Quando finirà la notte? Finirà quando si tornerà nuovamente a godere di una minestra profumata vicino al fuoco la sera, accanto a un’anima amata; quando la poesia e l’immaginazione non cambieranno la vita di uno solo, ma di tutti; quando saremo smarriti nella selva oscura, ma cercheremo ancora le stelle: è questo ciò che il testo e lo spettacolo, codificando le voci dei grandi, suggeriscono come possibili antidoti.

Le diverse parti della pièce e i momenti più intensi di ciascuna sezione sono suddivisi e caratterizzati da intermezzi di musica grave, profonda, e dal cambio di colore (rosso o blu) sui pannelli video che fungono da sfondo: insieme al microfono ad asta costituiscono gli unici elementi scenografici.
In questa atmosfera illuminata da un’unica luce a pioggia concentrata sull’attore prende avvio la seconda parte della rappresentazione, ovvero quella che conduce a Dante e ai personaggi della Divina Commedia. Il primo incontro  è quello con gli ignavi, coloro che, «sanza infamia e sanza lodo» nella vita non si sono mai schierati, non agendo mai né per il bene né per il male: gli ignavi oltrepassano i secoli e giungono fino al presente. Nella contemporaneità, infatti, sono i «tiepidi che sanno delle stragi e girano la faccia dall’altra parte», imperdonabili per le loro indifferenza e paura, e che cercano di salvarsi invocando la miseria del prossimo.                           
In questo labirinto infernale si stagliano, però, anche voci che sono piccoli miracoli: prima quella di Ulisse e poi quelle di Paolo e Francesca. Il primo, insaziabile di conoscenza, intraprende un viaggio che lo fa ardere di passione e di virtù, a testimonianza di come la ricerca del nuovo, dell’ignoto, sia azione salvifica. Qui l’interpretazione di Servillo diventa energica, veloce, il volume aumenta. «È tempo! Leviamo l’àncora!»: Ulisse pare catapultarsi tra gli spettatori, viaggiatore del tempo presente.
Un paradiso terrestre tra le fiamme è poi l’amore tra Paolo e Francesca, che rappresentano l’infinita delicatezza sensuale per i quali è peccato solo ciò che si commette contro i sentimenti. 

Ph. Masiar Pasquali

L’ultima tappa del viaggio ci conduce ai saggi antichi Greci, dopo l’invocazione di Dante ad Apollo, il dio selvaggio della poesia. La voce dell’attore, perfettamente consapevole del proprio valore drammaturgico, segna una traccia viva sullo spettatore, un canale per innumerevoli riflessioni. Un pathos percepibile dall’inizio alla fine, da quando Dante, invasato da sublime grazia, riesce a dire l’indicibile, a quando inizia il racconto del popolo greco che ha forgiato il nostro pensiero e ha fatto del teatro un luogo aperto, nemico della paura e alleato della luce della Verità. Un popolo che non è mai appartenuto a una sola patria, libero e con vesti leggere, con l’occhio della conoscenza sempre ricettivo e amante della natura, che ha costruito quell’Europa che adesso stiamo portando verso un’interminabile notte della ragione. Autore e attore raccontano, infatti, della nostra capacità di sacrificare i nostri fratelli sull’altare del denaro e del mercato, non riuscendo più a riconoscere che cosa sono la Bellezza, la Giustizia, l’Amore. Sacrifichiamo l’anima al totem elettronico che ci strangola e, insaziabili, siamo animati da egoismi che godono del possesso che esclude gli altri. Una critica arcigna al tempo presente e un elogio dell’umanità dei Greci: ora il parlare di Servillo ha una cadenza puramente napoletana, al cui interno vi sono infiltrazioni dialettali che rendono la narrazione teatrale profondamente comunicativa, come se l’impuro della lingua, lo scarto, la durezza, rappresentassero il guscio estetico della fermezza del messaggio. 

Tre modi per non morire è un testo magistrale esaltato dal linguaggio e dalla fisicità di un attore capace di comunicare anche con il singolo movimento o la singola espressione. Si esce dal teatro con l’inconscio risvegliato, augurandosi che accada ciò che Montesano scrive e che Servillo recita in chiusura: «riuscire a inseguire sempre il fuoco sapiente che divamperà».  

 

TRE MODI PER NON MORIRE 

di Giuseppe Montesano
con Toni Servillo
luci Claudio De Pace
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
si ringrazia Agenzia Teatri
Teatro Arena del Sole, Bologna | 14 gennaio 2024