RENZO FRANCABANDERA | Giovedì 8 febbraio, al Teatro Metropolitan di Catania, ha avuto luogo un evento composito che ha messo assieme università, critica e perfomance dentro il convegno-evento organizzato Dipartimento di Scienze della formazione, nell’ambito dell’VIII ciclo del Corso di specializzazione per le attività di sostegno, e intitolato I teatri della diversità: prospettive presenti e future.
Si è fatta organizzatrice della giornata la professoressa Paolina Mulè dell’Università di Catania, facendo convergere sull’evento, oltre a un gruppo di esperti, una amplissima platea di studenti e appassionati delle pedagogie speciali e della formazione, proponendo all’interno della giornata di studi anche la visione di Libri, l’ultima produzione di Nèon Teatro, compagnia catanese che da decenni sviluppa un codice di teatro-danza di cui sono interpreti performer con e senza disabilità.

Ideato e diretto da Monica Felloni, il lavoro è ispirato all’omonimo volume del poeta bolognese Roberto Roversi, poeta, libraio, editore e antiquario. Si tratta di una raccolta di 40 anni di riflessioni intorno al libro, inteso come oggetto di per sé, ma anche come veicolo di relazione, come metafora della persistenza del pensiero che si incarna nel rapporto con il lettore, fra chi scrive e chi legge, come medium e oggetto quasi transizionale della relazione interpersonale.
Scrittore che attraversò i turbamenti e le rivoluzioni culturali del secondo dopoguerra, compagno di scuola di Pasolini e richiesto come scrittore e poeta da tutta l’editoria italiana del tempo, Roversi, dopo una prima serie di uscite a mezzo stampa, decise di non pubblicare più: resosi conto che la comunicazione e la cultura si stavano accumulando nelle mani di pochi, dalla metà degli anni sessanta tagliò i rapporti con i grandi editori e decise di distribuire i suoi scritti su fogli fotocopiati, nella libreria bolognese Palmaverde, che aveva aperto nel 1948 insieme a Elena Marcone, sua moglie.
Gli scritti di Roversi da cui lo spettacolo trae ispirazione (insieme ad altri testi di Skolovskij, Szymborska, Whitman e di alcune figure organiche al gruppo di lavoro, come Piero Ristagno, Danilo Ferrari e Stefania Licciardello) appartengono proprio a tale periodo e incarnano il rapporto speciale che lo scrittore bolognese ebbe con questa trasmissione di conoscenza diretta e non mediata dal mercato.

foto Eletta Massimino

In scena, un folto gruppo di performer, come nella tradizione della compagnia, composto da professionisti con e senza disabilità, cui si aggiunge, in questo caso, un gruppo di giovani dei licei catanesi, provenienti dai laboratori teatrali di Nèon nelle scuole. L’idea intorno alla quale lo spettacolo si costruisce è proprio la traslazione di senso dal libro come oggetto, forma di sapere condensato, al libro vivente, ovvero il corpo dell’attore, e a come questo si faccia traslatore di senso, di come “sopporti” le parole.

Lo spazio scenico è sostanzialmente libero da presenze oggettuali, eccezion fatta per una serie di libri disposti quasi in proscenio, una sorta di piccola parete che separa e al contempo unisce. I riflessi della luce giocano sul palco, mentre i performer, un mix diversificato di talenti e abilità, si preparano a trasportare il pubblico in un viaggio emotivo attraverso le parole, alternandosi in scene di gruppo, per lo più di movimento, e monologhi.
Non mancano a fondale quadri in video proiezione. Felloni, che ha un approccio libero e intenso con il medium artistico in senso lato, utilizza qui la proiezione a fondale di opere d’arte dell’artista Massimiliano Frumenti Savasta. Come per i precedenti artisti con cui Nèon Teatro è entrato in relazione, come Piero Guccione, ma anche fotografi come Mustafa Sabbagh e Jessica Hauf, o lo scultore Felice Tagliaferri, l’artista è diventato parte del progetto, curando una serie di attività laboratoriali legate alla strutturazione della creazione scenica.
Il linguaggio performativo originale e cifra del codice registico è dunque una commistione fra il segno coreografico, il colore, la scrittura, l’immagine, che si fondono come corpo unico in scena. Frumenti Savasta era stato per oltre una settimana coinvolto nel laboratorio Corpi Insoliti, tenuto dalla compagnia e a cui partecipano performer con e senza disabilità. Le sue opere campeggiano come tela su cui si muovono le azioni dei performer.

foto Luca Di Prato

Qui la scena si apre con un gruppo di giovani studenti liceali, energici e pieni della loro precipua vitalità, che danzano e interpretano lo spazio con leggerezza e spontaneità, evocando il rapporto possibile con la conoscenza e la vita, ma anche la sovrapposizione concettuale fra libro ed esistenza. Dentro un’atmosfera rivelatrice, in qualche modo mistica, di colore blu scuro, per non configgere con la proiezione a fondale, arricchita da alcune luci spot per illuminare porzioni della scena, le movenze riflettono la bellezza dell’età giovane e l’entusiasmo per l’esplorazione del mondo che li circonda.
Piano piano, in un mélange di musiche senza tempo, e che spaziano dal classico al pop, il ritmo si attenua e l’atmosfera si fa più intima, mentre i performer con disabilità entrano in scena, portando con sé la profonda sensibilità dell’incontro con lo sguardo degli spettatori e una vasta gamma di esperienze soggettive, talvolta difficili a dirsi, come per bocca di altri rivela di sé Danilo Ferrari, o talvolta spiazzanti, come la voce lirica di Alfina Fresta, che emoziona a più riprese la platea, e a cui viene affidato il lirico finale della creazione.

foto Luca Di Prato

Attraverso un movimento ora vorticoso, ora delicato, e la grazia silenziosa di un’intento accogliente e che vuole accogliere il possibile di tutti, i performer scelti da Felloni per questo allestimento, comunicano la forza e la resilienza dell’animo umano, sfidando le percezioni convenzionali di bellezza e perfezione.

La regista è attenta studiosa dei codici della contemporaneità e non ha mai inteso il teatro che coinvolge performer con disabilità come un luogo di semplice autonarrazione; l’artista, attiva anche con il codice filmico, è piuttosto fautrice di una prospettiva più ampia e intonata alla ricerca più avanzata. I contesti e le pratiche che hanno disciplinato il legame tra disabilità e arti performative mettono in luce il mai ovvio riconoscimento delle specificità del corpo, e diventa fondamentale la forma rappresentativa che gli viene attribuita e la sua presenza scenica. Nel teatro di Felloni e del suo compagno di vita e d’arte Piero Ristagno, la disabilità diventa sempre più dispositivo drammaturgico attraverso il quale esaminare la diversità che caratterizza l’esistenza umana. 

In Libri, le parole, intrecciate con il linguaggio del corpo e dell’espressione emotiva, risuonano trasportando il pubblico in un mondo di poesia e immaginazione. Le scritture si fondono con le coreografie, creando una sinergia di suono e movimento, di cui, quasi come biblioteca disponibile, diventa emblematica trasposizione scenica la parata, i corpi allineati, ora frontalmente, ora in diagonale, dentro un movimento che alterna il momento collettivo a quello individuale.
Questo scorrere di quadri in dissolvenza, che fluiscono volutamente l’uno nell’altro senza mai uno stacco netto, porta progressivamente lo sguardo dello spettatore a riconsiderare il rapporto tra corpo e soggettività, gettando luce su realtà spesso conosciute solo attraverso stereotipi e pregiudizi.

foto Eletta Massimino

La performance si sviluppa attraverso una serie di scene, dal chiarore delle scene collettive ai più notturni momenti di incontro, quasi iniziatico, con la forza rivelatrice della profondità dell’esperienza-libro del corpo con disabilità. Ogni quadro offre uno sguardo diverso sulla bellezza e la complessità del mondo, mentre i performer trasformano le parole in esperienze tangibili e visive.

Con l’andare della performance, pur in taluni passaggi di più naturale ingenuità delle performatività più inesperte e giovani, i confini tra i performer e il pubblico si dissolvono, dando vita a un’esperienza collettiva di condivisione e connessione. Il teatro diventa uno spazio sacro in cui le differenze si fondono e le storie si intrecciano, creando un’armonia unica di diversità e inclusione. Alcuni giovani studenti rivelano una già naturale propensione al linguaggio e affrontano con pienezza lo stare in scena. I performer più a lungo affiancati al percorso della compagnia puntellano con esperienza il dialogo con le fragilità, permettendo a tutti di esprimere il proprio possibile.
Alla fine, mentre la luce svanisce dopo il Nessun dorma interpretato dalla Frenza, il pubblico prorompe in un applauso pieno di emozioni, evidentemente con l’anima nutrita dalla bellezza e dall’umanità della performance.

Al termine dello spettacolo, infatti, il pubblico non ha lasciato la sala, partecipando all’incontro critico e accademico, intitolato Il teatro tra cultura e cura: paradigmi epistemologici e piste di ricerca per l’inclusione formativa e sociale, una riflessione teorica sui teatri della diversità quale risorsa per l’inclusione formativa e sociale, con interventi di docenti del Disfor di Catania, di altri atenei e di docenti di sostegno.

 

LIBRI

regia di Monica Felloni
testi di Roberto Roversi, Victor Sklovskij, Wislawa Szymborska, Danilo Ferrari, Stefania Licciardello, Piero Ristagno
visioni pittoriche di Massimiliano Frumenti Savasta
con Beatrice Asta, Anna Cutore, Emanuele Dei Pieri, Gaetano D’imprima, Danilo Ferrari, Alfina Fresta, Massimiliano Frumenti, Vittoria Genovese, Gabriele Guglielmino, Irene Ingallina, Angela La Rocca, Stefania Licciardello, Rosi Ligreggi, Angela Longo, Luigi Magnano San Lio, Enzo Malerba, Giulina Mustica, Aurelio Pappalardo, Manuela Partanni, Matteo Platania, Carmelo Privitera, Emily Reitano, Dorotea Samperi, Francesca Sciatà, Fabrizio Cairo

Teatro Metropolitan, Catania | 8 febbraio 2024