RENZO FRANCABANDERA | Danza in Rete, il festival di danza contemporanea che si svolge annualmente a Vicenza e Schio, giunto nel 2025 alla sua ottava edizione si articola in diverse sezioni, tra cui Danza in Rete Off, dedicata alla sperimentazione e alla promozione di giovani artisti emergenti, sezione che abbiamo negli anni seguito sempre con particolare attenzione e che nel 2025 ha presentato una programmazione assai variegata, con proposte di artisti italiani e internazionali.
Tra questi abbiamo già raccontato i lavori andati in scena a inizio marzo di Panzetti e Ticconi, la performance rituale del coreografo mozambicano Vasco Pedro Mirine e la creazione della performer canadese Clara Furey, che esplora la sensualità queer.
Peraltro il festival non è solo una rassegna di spettacoli che si estende per tutta la stagione da febbraio a maggio, ma prevede diversi progetti di formazione e promozione della giovane danza d’autore in un contesto di network in cui Danza in Rete si muove. Segnaliamo, fra gli altri, il progetto “Artista in Rete”, che vede quest’anno la partecipazione di Nicola Galli, con la presenza dell’artista per l’intera durata del festival, durante la quale l’artista presenta una nuova creazione, conduce laboratori e masterclass, e partecipa attivamente agli eventi del festival. Danza in Rete, come si diceva, è parte di diverse reti nazionali e internazionali, tra cui Anticorpi XL, che promuove la giovane danza d’autore in Italia ed ha una collaborazione attiva anche con l’Università IUAV di Venezia per iniziative formative rivolte agli studenti di coreografia.

Raccontiamo qui invece quanto successo il 12 aprile scorso a Schio, città che nelle ultime edizioni ha assunto un ruolo progettuale specifico all’interno della programmazione di Danza in Rete. Partiamo da Dancing Strides – Harvest, che ha avuto luogo nello spazio pubblico del centro urbano di Schio, tra le tracce dell’archeologia industriale e i giardini storici della città. Si tratta di una camminata coreografica ideata da BASE 9 collettivo attivo dal 2022 che si distingue per il suo approccio laboratoriale e comunitario alla danza: una pratica aperta, inclusiva, sensibile ai contesti, che trasforma ogni incontro in un’occasione per generare presenza e ascolto. L’azione è riservata a massimo 45 partecipanti per volta: lo spettacolo ha infatti avuto più repliche durante la giornata. Non la semplice passeggiata urbana con audiocuffie, come ormai usato e abusato nei festival, ma un dispositivo in cui i corpi, i luoghi e i gesti si contaminano reciprocamente, perchè progressivamente educati a creare piccoli gesti, a sviluppare una piccola biblioteca di movimento da cui attingere insieme per l’atto performativo finale, che vede negli spazi del bellissimo Giardino Jacquard, dopo essere passati per il Castello, le Scalette San Rocco e la Fabbrica Alta della Lanerossi, le tre guide all’atto performativo, portare il gruppo a realizzare una piccola ma godibilissima coreografia di gruppo, attingendo proprio alla biblioteca creata via via.

ph_alice gasparotto

L’esperienza raccoglie nel percorso stimoli visivi, tattili, acustici e motori, come se si camminasse dentro una partitura che emerge dal paesaggio stesso, in cui i partecipanti vengono guidati a osservare, reagire, interpretare il contesto urbano non più come sfondo, ma come materia viva. Il movimento nasce per accumulo, per deriva percettiva, per dialogo silenzioso tra corpi in presenza, e quella che all’inizio è una semplice e sconnessa carovana di spettatori, diventa un piccolo ensamble spontaneo, ma a suo modo coordinato che genera una sorta di terzo paesaggio danzato. Nella fase conclusiva, i frammenti di esperienza raccolti lungo il tragitto vengono rielaborati sia collettivamente in un momento performativo condiviso, senza separazione netta tra interpreti e spettatori, sia poi distillato per astrazione dalle tre danzatrici Beatrice Bresolin, Federica Dalla Pozza, Giovanna Garzotto, in una delicata restituzione fra le meravigliose piante del giardino cittadino. L’intervento si inserisce nel progetto Dancing Strides, una ricerca che unisce camminata e composizione coreografica, nella convinzione che il movimento sia un atto di relazione e che lo spazio urbano possa essere risignificato dall’attraversamento consapevole e poetico.

In serata ci trasferiamo presso il bellissimo Teatro Civico di Schio, per un programma che riserva due chicche. Si parte con Superstella, in cui Vittorio Pagani affronta il cortocircuito tra l’ideale e il reale che attraversa il gesto creativo. Pagani formatosi tra Milano, Ginevra e Londra, è uno dei giovani autori italiani più interessanti per la capacità di far dialogare corpo e immaginario contemporaneo. Il suo percorso — dal Ballet Junior de Genève alle selezioni per RIDCC, Resolution, Aerowaves — già nel precedente lavoro solista, A solo in the spotlight che avevamo commentato in occasione dell’edizione passata di Danza in Rete, trasformava la scena in uno spazio liminale in cui si condensano backstage, fantasmi cinematografici e interrogazioni sulla possibilità stessa della creazione, investigando allora il ruolo del performer e qui il ruolo dell’opera stessa.
Si comprende fin da questi assai interessanti esordi solistici come Pagani sia interessato, cosa invero assai rara nella sua generazione, a un’indagine semiotica e quasi strutturalista al fatto coreografico. Superstella è una creazione immersa in un immaginario felliniano, e prende spunto dal capolavoro del maestro,  di cui vengono utilizzati alcuni campionamenti vocali con la voce di Mastroianni. Anche qui, in questo revival nostalgico, l’artista, proprio come Guido, il protagonista del film, nell’atto di costruire, si lascia attraversare dalla precarietà del desiderio e dall’ambiguità della rappresentazione. Sebbene ancora a cuore aperto e con alcune ovvie limature da portare a compimento per asciugare qualche ridondanza dopo questo debutto, la creazione è pregevole. Pagani si muove su più registri espressivi, integrando video, testi e movimento in un montaggio scenico che non risolve ma espone le tensioni del processo creativo. L’intermittenza tra ordine e caos, tra l’urgenza di dare forma e il fascino della sospensione, viene trattata non come impasse, ma come condizione fertile. La ricerca fondata sulla contaminazione dei linguaggi e sulla riflessione critica dei dispositivi performativi, in Superstella, trova una sintesi provvisoria e aperta: una messa in scena della crisi come gesto generativo; non una narrazione lineare ma una successione di frammenti, riflessi, inversioni di marcia, in cui il pubblico è chiamato non tanto a comprendere quanto a condividere uno stato di transizione fin dall’inizio, quando gli spettatori decidono cosa il performer debba indossare in alcune scene della creazione. È un abboccamento iniziale, dall’impatto invero marginale, ma che si ricollega poi a una caustica riflessione, che l’artista compie nell’evolvere dell’azione scenica, sui criteri ministeriali adottati per valutare gli spettacoli, con le famigerate griglie che attribuiscono ridicoli punteggi su elementi quali, tra gli altri, il coinvolgimento del pubblico. Il tutto mentre Pagani ora in luce piena, ora sagoma in controluce, si prosciuga in un continuo e ininterrotto gesto danzato che termina in una azione a pavimento in cui, ora assetato, ora ingozzato dal sistema stesso, finisce per bere l’amaro calice della creazione che nutre e fagocita l’artista stesso. Molti gli stimoli, molte le idee, interessante e promettente la crescita. Se il primo lavoro era esuberante nel suo essere pensato, questo è pensato con esuberanza ma con dentro già una crescita visibile.

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The Fridas di Sofia Nappi/Komoco a chiudere la serata: un duetto che interroga l’identità nella sua molteplicità, a partire dal celebre dipinto Le due Frida di Kahlo. Due danzatori, Paolo Piancastelli e Adriano Popolo Rubbio, si muovono tra complicità e tensione, in una coreografia che riflette le contraddizioni intime, l’alterità interna e l’instabilità dell’io. I gesti, fin dalle prime sequenze che affiorano in una penombra di luci calde ma concentrate, sono ora simmetrici ora in opposizione, e diventano espressione tangibile di conflitti e convergenze, di affinità e differenze. Il corpo è al centro della ricerca, non come supporto tecnico ma come territorio emotivo e politico.

In questo lavoro, Sofia Nappi disegna una scrittura coreografica che si alimenta di vulnerabilità, sovversione dei codici maschili, introspezione e ironia. L’azione, che richiama visibilmente l’opera della artista messicana tanto nella panca, unico elemento scenico della creazione quanto nei costumi, visibilmente ispirati nelle cromie al doppio del quadro dell’artista, si sviluppa per quadri successivi. Il finale, infatti, rinuncia alla gravitas per abbracciare un umorismo disincantato, che alleggerisce ma non banalizza. Il caos esistenziale è accolto, non risolto. Il gesto si fa caricatura, parodia, atto di sopravvivenza.

Il lavoro s’inserisce all’interno della ricerca coreografica di KOMOCO, compagnia fondata dalla stessa Nappi, che negli ultimi anni ha ottenuto riconoscimenti significativi e si è affermata su circuiti internazionali di primo piano. L’approccio di Nappi, segnato anche dalla sua formazione all’Alvin Ailey American Dance Theater e dall’influenza del linguaggio Gaga, tende alla composizione come indagine emotiva e fisica, in cui il movimento è strumento di pensiero. Pensato per spazi teatrali e non convenzionali, il duetto si apre a un’esperienza visiva cangiante, dove l’osservatore è invitato a più livelli di lettura. L’assenza di frontalità univoca che si perde dopo il primo istante in cui i due corpi allineati e seduti uno davanti all’altro sviluppano una immagine proiettata e bicefala, è coerente con il tema stesso della molteplicità: ogni punto di vista genera una Frida diversa.

SOFIA NAPPI THE FRIDAS ph _alice gasparotto

Anche The Fridas non cerca risposte definitive, ma si muove nel terreno incerto del riconoscersi, dove l’identità è sempre rifrazione, frammento, dialogo. A tratti si sente mancare un po’ di sporco, perchè è tutto curato, pulito e preciso, mentre forse un ulteriore spazio al fragile in questo lavoro, nato come esercizio di ritorno al lavoro interno della compagnia dopo le tante commissioni internazionali, può restituire ulteriore enfasi al corpo come archivio di possibilità, sempre in bilico tra essere e rappresentarsi. In fondo anche il corpo della Kahlo era frammentato, rotto, scomposto.

 

DANCING STRIDES #4 Harvest

ideazione, conduzione, danza Beatrice Bresolin, Federica Dalla Pozza, Giovanna Garzotto
musiche di artisti vari
produzione Associazione Culturale Base 9

 

SUPERSTELLA

di e con Vittorio Pagani
supervoce, supporto alla drammaturgia e riprese video Pietro Angelini
testi originali, coreografie, proiezioni Vittorio Pagani
disegno luci Stefano Moriondo
consulenza artistica Francesca Santamaria
musiche Fred Again.., Bo Burnham, Nils Frahm, Myss Keta, Andrea Laszlo De Simone, Kyle Bobby Dunn, Dylan Henner, I Cani
residenze artistiche nell’ambito di ResiDance – azione del Network Anticorpi XL presso L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna, Fondazione Armunia, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Lavanderia a Vapore
produzione CodedUomo
coproduzione Festival Danza in Rete – Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
durata 40 minuti

Prima nazionale e coproduzione

 

THE FRIDAS

coreografia Sofia Nappi
in collaborazione con i danzatori Paolo Piancastelli, Adriano Popolo Rubbio
assistente alla coreografia Glenda Gheller
costume design Adriano Popolo Rubbio
realizzazione costumi Adriano Popolo Rubbio, Adelaide D’Ago
luci Alessandro Caso
musiche Gurevitsch, Martinez Serrano, Thornato (feat. The Spy Spy from Cairo), Casalis, Goldenthal
produzione Komoco
coproduzione Festival Danza in Rete – Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
con il sostegno di Oriente/Occidente, Centro Coreografico Nazionale/Aterballetto
residente a progetto presso il Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza Scenario Pubblico/CZD
durata 20 minuti

Prima nazionale e coproduzione