PAOLA ABENAVOLI | Un uomo che ascolta e un altro che ricorda e racconta. Guardando lo Stretto, lo “ScillaECariddi”, che è tutta una parola, un luogo unico, inscindibile. Un uomo affascinato da un vecchio, solo, che agli occhi degli altri appare come una persona con disturbi cognitivi ma che invece è soltanto qualcuno che cerca di non dimenticare, che viaggia nei suoi sogni, perchè “per riconoscersi bisogna innanzitutto sognarsi”. Così dice Saro, l’anziano che riposa su una panchina, assorbito dai suoi pensieri e da quei colori che affollano la sua mente e che ripete come un mantra: “azzurro, viola, blu e rosso, tutti i culuri”, quelli dello Stretto, che “a furia di guardarlo” sono come entrati nel suo occhio. E, insieme ai colori, i viaggi in un mondo tra mito e storia, la guerra, le navi che solcano quel tratto tra Calabria e Sicilia, le “femminote” (le contrabbandiere di sale descritte nel romanzo Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo), che custodiscono i segreti di quel mondo. E di quel mare: che può travolgere o cullare, che trasporta con le sue onde, piegate dallo scirocco, che improvvisamente si placa e immerge in un vento fresco, sempre in mezzo ai colori.

I colori danno il titolo al nuovo testo, scritto e interpretato da Dario Natale, fondatore della Compagnia lametina Scenari Visibili: Di tutti i colori viaggia, appunto, nello Stretto (e l’anteprima non poteva che essere ospitata proprio davanti a questo luogo, a Reggio Calabria) attraverso lo sguardo e i ricordi di un uomo: un lembo di mare che diviene metafora di memoria, quella che a volte sembra sfuggirci, come sottolinea l’autore, mosso dal desiderio di parlare di quest’area così iconica e al tempo stesso da tutelare. Saro è il motore del ricordo, insieme all’uomo che lo ascolta: due personaggi cui Natale dà anima ed emozioni, mutando toni, postura e sguardi. Saro diviene lo Stretto, che conosce “piega per piega, magagna per magagna”. Un mondo a sè stante, ma che riflette la vita; un mondo sempre mutevole, che pensi di avere conosciuto ma ti sfugge subito nuovamente: e questo racconto – che si dipana attraverso altre piccole storie, altre narrazioni, ricordi di traversate, personaggi come i “Pellisquadra, gente con la pelle cuciuta dal sole a cuoio antico” – viene còlto dall’amico, che ne fa tesoro, comprendendone la metafora: il punto di vista sempre cangiante, come i colori, come la vita. L’unicità, frutto del mescolarsi di quei colori, di culture, di persone.

L’incontro tra due uomini, dunque, che incarna tanti elementi: il ricordo, la memoria storica che viene trasportata dal vento e dal mare; il percorso di un territorio, di un luogo, impossibile da imbrigliare. Chi ascolta e chi racconta creano uno scambio, che sembra quasi riflettere quello delle due sponde: è una narrazione viva, che tratteggia immagini con le parole, grazie a un testo stratificato, che recupera sicuramente dalla storia e dalla tradizione (anche con l’uso del dialetto, con cui si esprime Saro, e che sottolinea l’unicità e la profondità di alcuni termini, strettamente legati proprio al mare, alla vita marinara), ma anche dai riferimenti, letterari e sociologici, partendo da una pietra miliare come il citato Horcynus Orca – “una scrittura profondissima”, sottolinea Natale – volendo quasi far continuare idealmente la vita e l’anima del protagonista del romanzo.
E ancora, Laura Imai Messina con Il Giappone a Colori, i colori nell’accezione giapponese, ovvero l’uso di tante sfumature per esprimere le emozioni; e soprattutto l’ispirazione data dall’opera e dalla visione sulla difesa del territorio di Osvaldo Pieroni, sociologo, docente all’Università della Calabria, scomparso nel 2013: le loro parole “hanno gettato le basi del ponte sospeso su cui è salito Saro, una passerella che appare e scompare, unico ponte da cui guardare lo Stretto di Messina, lo Scilla e Cariddi, in quanto patrimonio presente e futuro di pesci, uccelli, esseri umani, mostri marini”. Lo Stretto che non obbedisce a nessuna regola, perchè è lui a dettarle. “Per questo rideva – racconta l’uomo ricordando Saro – quando sentiva parlare del Ponte sullo Stretto di Messina”, e aggiungeva “ne ho viste di tutti i colori, mo ci vò!! Ma questo…”. L’unicità di un luogo che Dario Natale, sottolinea anche con il riferimento, lieve ma preciso, al Ponte, che sottende una narrazione in cui realismo e mito non possono che andare di pari passo: è il racconto, quindi, a esplicitare questa unicità. Partendo dalla poesia, dalla memoria, dall’”ondeggiare tra i sogni” e nella semplicità di una traduzione scenica densa di complessità.

E a rendere concreta, quasi palpabile, questa atmosfera è soprattutto l’interpretazione di Dario Natale che, nei due versanti – quello dell’ascoltatore e quello del sognante narratore – vede l’attore incarnarne letteralmente le personalità, le paure, le sfaccettature: seduto sulla panchina al centro della scena – che diventa il luogo di incontro tra i protagonisti – o spostandosi su un lato del palco, sotto una luce che fa quasi da specchio a Saro mentre parla con se stesso, Natale diviene parte dei due personaggi, traducendone gesti, vocalità, risate e, alla fine, una commozione visibile e autentica.
DI TUTTI I COLORI
di e con Dario Natale
paesaggi sonori Alessandro Rizzo
consulenza e supporto Domenico Benedetto D’agostino e Gaetano Subhaga Failla
produzione Scenari Visibili/Tip Teatro
Stagione 2025 La casa dei racconti
SpazioTeatro, Reggio Calabria | 13 aprile 2025