Beutè animale mostraMARIA CRISTINA SERRA | Un percorso suggestivo attraverso i secoli, dal Rinascimento ai giorni nostri, che traccia un fil-rouge fra “bestialità e umanità”. Da Durer a Picasso, passando per Géricualt, Goya, Bonnard, Steinlen e Van Gogh, solo gli animali sono protagonisti, liberi di affermare tutta la consapevolezza dei loro “sentimenti umanizzati”: fedeltà, mitezza, aggressività, forza, vitalità, tristezza, furbizia, malinconia. E di meritarsi per questo degni ritratti. Al Grand Palais, la mostra Beutè animale celebra la bellezza della rappresentazione ferina nella storia. I curatori e la commissaria della rassegna, Emmanuelle Héran, hanno centrato l’obiettivo di conciliare la spettacolarità dell’avvenimento con il rigore estetico e scientifico.

Le frontiere fra l’arte e la scienza si incrociano alternandosi su piani di racconto tematici e temporali, sostenuti da dettagliate schede tecniche, che raccontano la vita e l’evoluzione di queste creature, l’accettazione o i pregiudizi da cui erano circondate, le teorie elaborate dagli studiosi nelle varie epoche. Così il naturalista, illuminista, G.L.Leclerc, conte di Buffon, nella sua “Historie naturelle”, 100 anni prima di Darwin, aveva prefigurato la somiglianza dell’uomo con le scimmie, suddiviso le specie fra nobili e ripugnanti.

Cartesio, padre del pensiero moderno, negando ragione e coscienza agli animali, ne giustificava le sofferenze, considerandole delle mere reazioni meccaniche a stimoli esterni; bisognerà attendere la metà del XIX secolo (con la fondazione in Inghilterra e poi in Francia della Società per la difesa degli animali), per riconoscere loro la dignità di esseri viventi. Fra i 120 quadri prescelti (oltre a sculture, installazioni, stampe e preziosi volumi antichi), per segnare il percorso di un’esplorazione affascinante, dalle molte sorprese, tanti sono quelli sconosciuti al grande pubblico che mai avevano lasciato i loro paesi di origine. E’ il caso del magnifico “Les oiseaux” di un anonimo tedesco, datato 1619, prestato dal Museo di Strasburgo. Una trama di colori fiammeggianti, intarsiati di lucidi scuri e chiare trasparenze, senza interruzioni né vuoti (gli esperti hanno contato ben 71 tipi di uccelli). Una tela enigmatica, che si sviluppa in verticale con una simmetria dal potere ipnotizzante per la misteriosa diagonale impressa in alto da un pipistrello, proseguita da un fenicottero rosa, con il contrappunto di un ramo secco che proviene dal basso. Dal Museo Van Gogh di Amsterdam arriva per illuminare la notte scura il “Chauve-souris” del maestro del colore: un pipistrello espressionista, rosso-aranciato dalle grandi ali spalancate, screziate di giallo. Il “Giardino dell’Eden”, il “Dodo” di F.R.Savary (mitico volatile estinto nel 1662, vittima della crudeltà umana) , “La lepre fra l’erba” di Hans Hoffman, dagli occhi languidi e dal pelo soffice, reso “palpabile“ con sottili pennellate dorate, il superbo “Fenicottero rosa” di J.J.Audubon, e lo stupefacente, ibrido “Rinoceronte” di A.Durer, ci introducono nel mondo della natura e nell’impianto “ideologico” della narrazione.

Il rosso pompeiano delle sale, i grandi spazi centrali occupati dalle bacheche e dall’imponente scultura in bronzo di A.D.Barye, “Tigre che divora un caimano” (destinato alle Tuileries e ora al Louvre), accentuano l’importanza delle opere esposte e l’empatia fra i soggetti e gli autori. T.Géricualt, il sublime pittore romantico dal realismo energico e anticonvenzionale, coglie nei suoi adorati cavalli quelle lacerazioni della vita, che furono al centro della sua poetica. Il “Cavallo grigio” su sfondo scuro emerge con la forza possente della sua muscolatura, manifestando una palpabile drammaticità (fu proprio una caduta da cavallo ad uccidere il pittore a 33 anni). La “Testa di cavallo bianco” è vigorosa, modellata dal colore che le conferisce la solidità di una statua .I suoi “Studi di anatomia”, sono veri e propri trattati che meritano il confronto con le tavole dell’ “Anatomy of the horse” (1756) dell’inglese G. Stubbs; la “Testa di leone” un vis-à-vis con il re della foresta.

La fiamminga “Tete de Boeuf” di J.Asselijn ha l’intensità dei grandi ritratti. E’ fiero lo “Struzzo” di Nicasius Bernaerts, testimonianza di una moda nel fine Seicento per gli animali esotici, che trionfavano nei serragli privati, giardini reali e fiere popolari, con tale successo da suggerire nel 1793 (in piena rivoluzione giacobina) di aprire all’interno del Jardin des Plantes di Parigi uno Zoo. Le scimmie suscitavano curiosità e ilarità, tanto da diventare soggetti privilegiati per gli artisti. La “Scimmia pittrice” di G.Decamps e le “Scimmie critiche d’arte” di G.Van Max sono una metafora della vanità umana, mentre il muso scolpito in marmo nero dell’ “Orango” di F.Pompon esprime un’autentica malinconia. Il suo “Orso bianco”, levigato, essenziale, posto a metà percorso, in una nicchia isolata, pone l’inquietante questione della sua estinzione.

Lungo la scalinata Art Nouveau del museo, che congiunge le due parti dell’esposizione, la spettacolare istallazione di Gloria Friefman “Les rapprèsentants” (cervo su tappeto di foglie morte, a ridosso di un grande tondo muschiato) allude alla fragilità dell’ecosistema in cui viviamo. Simile ad un lampadario spettrale il “Chauve.souris” di César pende sulle nostre teste, inquietante. Quindi, il verde pastello delle sale seguenti, invita al relax.

E’ un principe trasfigurato il “Rospo” di Picasso dalla pelle ricamata per esaltarne viscosità e asperità. Numerose sono le raffigurazioni di cani e gatti. Sempre nobilitati i primi, in pose che esaltano la loro eleganza e proverbiale fedeltà. Ma sono i secondi ad impadronirsi della scena e dei nostri cuori. C’è il gatto accovacciato e sornione di T.A. Steinlen, uno dei tanti che abitavano nel suo atelier, “compagni di anarchismo”, come li definiva. E poi i “Due felini arruffati” e litigiosi di Goya (con le pupille dilatate, pronti alla corrida), in bilico su un muretto, nel fondo grigio-azzurro del cielo schiarito di rosa. E’ misterioso, voluttuoso, il gatto stilizzato di Bonnard, dalle “mistiche pupille” che inglobano ogni visione: scostante, irraggiungibile, mentre “penetra nei recessi più scuri e passeggia dentro il mio cervello come se fosse in casa sua, mite, leggiadro, forte”, scriveva Baudelaire nella sua “Ode al gatto”.

Ma la stagione delle Bestie in scena non termina (il 18 luglio) con questa storica mostra. Al Museo degli Anni Trenta (fino al 28 ottobre) prosegue, infatti, con “Cento sculture animali”, da Bugatti, Degas, Pompon, a Giacometti, Brancusi e Zadkine. Inoltre, fermo nel tempo come un Gabinetto enciclopedico dall’atmosfera intrigante e charmant, il Museo della Caccia e della Natura, a Rue des Archives, nel Marais, resta un appuntamento da non mancare per gli amanti degli animali e le sue raffigurazioni.

Bartabas, creatore del teatro equestre ci porta ad una particolarissima visita guidata di “Beauté animale” au Grand Palais
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